Riprendere la frase di Habermas,
referente per il mio agire pensante / circoscrivere
l’espressione legame / investigarne l’alterazione
snaturante – il problema per me, esternato a riflessione
comparativa per una interattiva comunicatività affiliativa ad
annetterlo nostro / il legame: il problema: il
nostro, coinvolgente, in una fisiologica patologia, il costume
di vivere la nostra esistenza nella relativa costruzione di spazi che
la rendono possibile.
Un problema geminazione
di problemi con i loro interrogativi in sospensione
prima del loro indurirsi, per dirla con Isabelle Stengers, in
Concetti nomadi, nella cattura della loro
determinazione / problemi e interrogativi, genealogia di una sincope
dell’agire sociale / sincope, il luogo, facendo mio,
in arbitrio, un rilievo di René Vinçon, in Ermeneutica teoria e
pratica, <dove il linguaggio stormisce, fa un rumore tale che
è difficile individuare le singole fonti: un fruscio generalizzato
domina come parodia della voce unitaria del Senso. Appunto: tutti
parlano nello stesso tempo e non si capisce più niente>.
Io mallevadore del
<rumore insopportabile del concerto delle voci mescolate>
(ibidem) / voce a distanza ravvicinata con le altre,
in quanto la flessione politica e teorica,
intenzionalmente atonale, pratica la capacità comunicativa
all’interno della normativa non linguistica di
organizzazione di un dicibile, referente paradigmatico
dell’azione umana, - e <ciò che potrebbe aiutare il
soggetto a uscire dalla prigionia di se stesso> viene a ricondursi
<subito entro la chiostra del noto> (Adorno, Metacritica).
Io sono il risultato di una
educabilità ad attualizzare quella tendenziale attitudine di
predisposizione mentale, stampo dell’uomo occidentale,
nell’atto del traslare l’intenzione del dire ciò che è
problema per me in messaggio fissato sia dalla parola
che dalla scrittura, a circoscrivere le coordinate
configurative delle contingenze associative del mio problema
soggettivo in un legame non linguistico
organizzativo della polisemia delle singole mie espressioni, onde
tenere salda l’unità del mio intenzionato, e così
trasformare il problema per me in problema oggettivo e
ottenere il suo riconoscimento o la sua smentita di
oggettività.
Corporatura mentale,
indipendente dai meccanismi e ingranaggi del nostro cervello /
l’irrudicibilità del suo costrutto in criterio preposizionale al
fattuale costituisce una necessità per non cadere in
un relativismo culturale, alterante l’equilibrio stabile,
indispensabile a una società civile per non scivolare nel
dispotismo e, inoltre, consoliderebbe l’eterno conflitto fra
individualismo e collettivismo; tra, quello che
Adorno, in Metacritica, descrive il <pensare ut sic
e il pensare logico>
eppure quella denuncia, recepita
nelle frase di Habermas, brucia.
<nella fase attuale si è
trasformata in un segno caratteristico dell’esistenza. Ciascuno è
abbandonato al suo cieco caso. Da qui questa nostalgia di perfetta e
consumata giustizia> (Horkheimer, La nostalgia del Totalmente
Altro).
<la necessità di mascherare
׀
forse l’altro
ieri / oggi smascherare in mistica insurrezione di mani pulite –
e il risultato non cambia ׀
questo fatto di
importanza decisiva ׀
emergenze –
ieri, oggi – incomparabili, inscritte nel
medesimo rigo: il “prezzo”, il quale, nella
implicazione analitica dei suoi segni e delle sue significazioni,
in una riflessione genealogica, indurisce il retaggio ׀
determina tutta
una sfera di ipocrisia, che non solo si estende ai rapporti
internazionali, ma invade anche i rapporti più privati, determina
una diminuzione delle aspirazioni culturali…, un abbrutimento della
vita pubblica e privata, così che alla miseria materiale si associa
quella intellettuale> (ibidem).
Frase in venatura defluente di
pessimismo / coralità di voci “senza “corpi” / tonalità
<istituita> su cui il critico costruisce l’intenzione
testuale dell’autore, contestualizzandone la qualità del
suo dicibile / memoria immemore: la “dimenticanza”: denuncia di
Adorno, la quale nel risveglio genealogico, impronta di Nietsche,
di Foucault, si fa, notevolmente oggi, indispensabile nella
confusione dei linguaggi, nella diatriba di un riformismo
amministrativo e nella “distrazione” della tecnologia mobile / si
propone memore stimolante a ritrovare la trafila della
nostra storia, complessa per gli accidenti, le
sue minime deviazioni, i suoi rovesciamenti completi
(Microfisica del potere).
Risveglio di una presa di
coscienza della radice di <quel che conosciamo e di quel
che siamo>, rintracciabile nelle esteriorità delle accidentalità
del legame attraverso il quale prende storia il corpo
sociale, costituendosi, spostando l’accento di Foucault,
<superficie d’iscrizione degli avvenimenti>. La sua evasione
ripristina <il vuoto tautologico delle sacrosante determinazioni
supreme>, sacrificando <razionalità e critica, in convivenza
oggettiva con una società che si dirige verso le tenebre del dominio
immediato> (Adorno, Metacritica).
Sacrosante determinazioni
supreme, voci “senza corpi” che si inscrivono sul nostro
quotidiano vivere nel segno della redenzione/perché
questa generazione chiede un segno? Interrogativo in istanza
sospensiva di Cristo (Matteo, 9.24), quasi a volerne registrare
l’atemporalità/segno, oggi, profetizzato, con
enfasi ciarliera, da improvvisati veggenti, la cui diversità risiede
nell’abito del loro ruolo sociale, perché convergenti nella
manovra del migliore offerente, installante, nel nostro subire
la crisi, la seduzione/sfilano in passerella negli schermi
televisivi di noi audienti impotenti, instillandoci il loro seducente
segno: politici professionisti, magistrati, comici,
giornalisti, sindacalisti, professionisti della criminalità
organizzata, improvvisati saccenti opinionisti – e i nostri timpani
si dispongono in cassa di risonanza di una sciorinante
mistica, includente: lavoro, povertà, i giovani, i vecchi, le
donne, la pace; mistica, della quale non è immune la chiesa
di papa Francesco/e noi eterni confinati appendici di un processo
sociale in accettazione della nostra reificazione, la quale
attualizza, nella continua demitizzazione, l’esproprio della
connaturata socialità, comunicata da quel vagito, col quale
annunciamo la nostra presenza: in quel vagito, il sigillo
della nostra individualità sociale; il legame che
l’<uomo leonino, predatore> (Nietzsche) ha mistificato in
vincolo normativo, snaturandoci in soggetti normativi.
mordente adorniano,
motivo di riflessione per chi, come me, l’inquietudine di incedere
su <suole nuove> (Nietsche) è scoraggiata dal perpetuarsi
nell’odierno nostro vivere della sua <trasformazione nella
ideologia della reificazione, letteralmente in una maschera
mortuaria…, e ciò (perché) nell’autentico senso di falsa
coscienza non ci sono più ideologie, ma unicamente la réclame del
mondo attraverso la sua duplicazione, e la menzogna provocatoria
ingiunge il silenzio…sulla questione della dipendenza causale della
cultura> (Prismi).
Il silenzio ingiuntivo sulla
dipendenza causale della cultura, e schegge di pensieri in
libertà mi distolgono dalla riflessione in atto. Risveglio di
memoria. Quel silenzio ha scritto la storia della duplicazione
delle articolazioni temporali di quel legame di integrazione
né affettiva né razionale, né un apriore né un aposteriore, ma
parte integrante della nostra costituzione individuale; duplicazione,
di conseguenza, della nostra stessa coscienza costituente, accettando
le variazioni storiche della duplicazione – strumento della
normalizzazione, dell’identificazione degli individui a
standards sociocompartimentali diversificati – per assicurarci un
migliore rendimento. Il suo radicamento in attualità costituisce una
tara sul legame sociale in quanto altera la costituzione degli
stessi individui nella doppiezza del loro attivarsi: agenti
pensanti/agenti operativi.
Da qui, per me, ׀
astraendo tale
riflessione dalla sua complessa genealogia, sulla quale, penso,
di occuparmene in seguito ׀
viene a generarsi,
sulla base della pertinenza, ׀
un concetto
funzione, il cui effetto solvente <impedisce di pensare
circolarmente (Lévy-Leblond, L’Esprit de sel, 1981) ׀
la separazione tra
cultura e società, determinante nella separazione tra
teoria e prassi, originante sia la distinzione tra
sovrastruttura e struttura sia il divario tra società
politica e società civile.
Quel silenzio, denunciato
da Adorno, turba la mia riflessione in esternazione. Il suo
indurimento nella nostra mentalità la rende inutile e fuori
luogo in questo momento di crisi economica e politica, opera
strategica di un capitalismo sempre più camaleontico. Trasforma
quella che voleva essere una voce dissonante, in una oziosità
di un intellettuale a tempo libero.
Non si intravede apertura di
orizzonti nuovi. Si procede, per dirla con Nietzsche, su suole
vecchie, non solo in Italia, ma nel mondo, con due aggravanti:
egemonia cinese e la trasformazione dell’antagonismo occidente e
oriente da razziale in lotta religiosa.
ma io sono un coriaceo
spudorato, e dico, con Horkheimier: bisogna <riprendere
a parlare veramente e sul serio> (citato).
Franco Riccio
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