sabato 25 luglio 2015

TRENTUNESIMO SOLILOQUIO

2000 / oltre i cardini del tempo / Deleuze, sprone di un mio  disarmonico svolazzo nell’intensità climatica di radiazioni diverse che accerchiano il corpo sociale in un divario irriducibile

/ corpo sociale, interrogativo in sospensione dei risultati delle neuroscienze, della fenomenologia, di ogni teoria vitalistica, animistica, dialettica, per una piega esplorativa sulla sua genesi concettuale: postulazione telemonica di una struttura oggettivata dal gioco di invarianza e di variabilità negli interstizi di perturbazioni, provocati o dalla  natura o dalla operatività umana
/ postulazione, produttività elaborativa sprizzante da una spira dell’intelligenza dell’agire pensante di individui, sospinto dall’attrito di un fuori in movimento sismico, per la commistione di fattori perturbanti quel pensato, strutturato attraverso l’articolazione di coordinate culturali che ne delineano la tipologia del legame che lo configura corpo sociale in equilibrio mobile
/ perturbazione, soglia critica in esteriorizzazione: il bordo, appropriandomi del testuale di Nancy, che apre all’esterno i sui tratti interni, costituendosi genesi materiale dell’oltre di quel compiuto, temporalmente oggettivato nell’unità del nome che ne qualificava la stagione / perturbazione, sindrome di una sincope che manifesta il limite di quel pensato (Le discours de la sincope)
/ limite, manifestazione di un’articolazione rettilinea di una uniformità temporale, inscrittoria di un compiutotraghettare dell’esperire mondano di quel corpo sociale, culturalmente   precomprensibile del suo superamento / quindi, segnale-indice di una genealogia di una emergenza nel movimento del tempo in spazializzazione configurativa in perturbazione, rendendo possibili diversi suoi percorsi: insorgenza in una esperienza mondana compiuta nell’interconnessione dei fattori che la compongono e culturalmente formalizzata nell’unità del nome

/ Lezione del 14 marzo 1978 di Deleuze: germe per un mio rifletterla, sfoltendola in arbitrio dalla dinamica di apparenza ed essenza / arbitrio ragionevole, il taglio / l’entrare in quell’ottica, per attinenza, mi legherebbe direttamente: sia a Kant e alla sua postulazione di una condizione trascendentale di un super-Io, connettivo, nel costituire l’esperienza mondana del mondo e, quindi del corpo sociale, configurativo di quella disgiunzione; sia alla modificazione di registro, messa in atto dal positivismo logico nelle sue variazioni enunciative, demitizzante quella disgiunzione nel valutare il mondo come <totalità dei fatti>, tradotti in verità attraverso un sviluppo di una logica discorsiva, la quale, riportando il letterale di Krisis, espresso da Massimo Cacciari, nel formalizzare <i limiti della proposizione (ne) mostra la forma necessaria e costante (del loro dotarsi) di senso>, in forza della quale <è il suo accordo col fatto>: registri e codici linguistici diversi, Io trascendentale e correttezza logica, in concordanza mentale, figli della stessa cultura, si ergono <sul fondamento del dominio della realtà> (Adorno, Metacritica).

/ Esigenza del taglio in arbitrio: estrarre dalla tematica del testo e senza comporlo in testo, l’indice che mi rende intelligibile gli effetti solventi in ogni critica oggettiva di una conformazione mentale, divenuta in ciascuno di noi occidentali congenita per educazione e per contagio, di configurare il corpo sociale una società-unita da un principio anonimo, al punto che ogni aspetto è normalizzato, tale che <non ha più importanza chi dipende e da chi dipende, (in quanto) ogni cosa è unificata> (Adorno, Prismi).

/ L’indice in rilievo esterna il captare, nella scorreria del testo, quella che preciserei una variante didattica sospensiva, messa in libertà dalla formalizzazione dell’esegesi del tema per mettere in risalto un elemento di conoscenza, sfuggibile nella coerenza logica della trattazione
/ è una lezione: quindi una trasmissione formativa di sapere
/ in tale recezione ravviso un sollecitare a <prendere coscienza> del rivolgimento <categorico> del tempo e dello spazio, delineato da Hölderlin, nel suo risalto del distacco dal figurato dal mito (circolarità del tempo), propositivo di un tempo in movimento in linea retta uniforme: prendere coscienza: uno stimolante, per me, proprio perché,“rigenerato” da una scuola a pensare secondo il suo orientamento, a riflette riflettendomi, il suggerimento di Nancy: lo spettro selettivo di scuola: sottomettere tale sviluppo all’angolazione introiettata: ripetizione di un comportamento specifico
/ prendere coscienza, risveglia alla mia memoria il propositivo dello stesso Deleuze dello <sguardo senza volto>, cioè, per me: tener vivo, in quella che è la funzione negativa di ogni critica, il retaggio culturale dell’istituirsi, genealogicamente come legge del pensiero, la salvaguardia dell’oggettività, prodotta dalla trasformazione dei pensieri soggettivi in pensieri oggettivi: trasformazione, la quale <ha come contenuto un divieto: non distratti dal pensare, non ti fare distogliere dalla natura inarticolata, ma trattieni salda come un possesso l’unità dell’intenzionato> (Adorno, Metacritica)
/ e Adorno mi sollecita a drizzare l’indice di intelligibilità di quella variante didattica verso due rilievi, da me letti nei soliloqui precedenti cardini di quel che nel dicibile di Frege è il <nucleo logico> della nostra cultura – oggi segnalandosi in situazione dilemmatica per variazione di registro, cagionata dalla contemporanea congiuntura economica a livello internazionale, provocata dalla natura finanziaria del capitale – il volto nuovo del capitalismo
/ <il tempo non è più subordinato a qual cosa che si svolge in esso; al contrario, è tutto il resto che si subordina  al tempo. Dio stesso non è più che il tempo vuoto. L’uomo non è più che cesura nel tempo> -  mutazione di conformazioni mentali nella costante funzione regolativa dell’esperienza mondana del vivere degli uomini la temporalità del loro esiste: il pensare figurativo (il mito) si attualizza in un pensare per astrazionecesura stagionale di <mettere in linea retta> un immutato orientamento nell’organizzazione del pensare in auge: in forma classica, nel periodo fondativo della nostra cultura, e successivamente in moderno, in modernità e post, oggi in  tecnologia mobile: <si è cessato di parlare dell’ineffabile> (Cacciari): la novità
/ genealogia del manifestarsi del nuovo, il secondo rilievo: <ogni manifestazione rinvia a delle condizioni del manifestarsi> - rilievo, comprensibile a colpo d’occhio, lascia, invece, insorgere un problema, la cui complessità è tale che impone una meditata riflessione per una presa di coscienza, atta a rendere intelligibile le rivoluzioni perdute e a vedere oggi, nella confusione delle idee in reclame e nel diffuso clima di pietismo mistico per gli ultimi, un argomento necessario per una configurazione di prassi che slitti tempi ripetitivi di una disparità, - divario di una uguaglianza fra gli uomini dilapidata da sempre in primi e in ultimi.


per tale motivo rinvio a domani, se sarà per me un altro giorno
Franco Riccio

domenica 12 luglio 2015

TRENTESIMO SOLILOQUIO

Non siamo moderni, allacciatura di una chiusa, vulnerabile per la sua semplificata considerazione / limite della mia costruzione linguistica, la quale, per la trasparenza comunicativa di tale valutazione, decisamente mette in gioco la complessità della riflessione.

Oggi viviamo, e ne siamo tutti consapevoli, una fase in percorso, per così dire, a forcella, in cui il bivio è incentrato al di là della nostra viabilità / ciò dovrebbe farci riflettere: allontanare il piagnucolio; il pietismo mistico; capacitarci che la denuncia è un venticello, un refolo, se non è sorretta da un interrogarci sul clima di incertezze che sta distruggendo in noi il senso di comunità, e soprattutto il senso dell’umano che è in ciascuno di noi / che la norma, se è indispensabile, non rimuove la causa della deviazione / che la ribellione vandalica non è insurrezione  popolare, ma una forma di nichilismo auto-lesionista perché non intacca le radici di fondo della nostra reificazione così come le liste di impresentabili per le varie candidature politiche o la delega alla magistratura.

Il problema è in ciascuno di noi, nessuno è esente, io incluso / la questione morale è una delle sue espressioni, come la criminalità organizzata e non, le sperequazioni sociali a vari livelli, la violenza sui bambini e sulle donne, e cosi via / lo abbiamo riversato nella costruzione del nostro rapporto di coabitazione in un pianeta, la terra, della quale nessuno è il proprietario, ma lo abbiamo recintato, piantato le nostre bandiere, costruito le nostre geografie sociali – e queste hanno riversato su ciascuno di noi le nostre modalità operative, venendo così a istituirsi un circolo vizioso di reciproca reversibilità di reazioni, fertilizzando insieme grano e gramigna / un fertilizzare, se risvegliamo in ciascuno di noi la memoria della nostra storia - e su tale aspetto sarebbe imprescindibile una riflessione comparativa -, che manifesta, proprio per l’incorporare in sé i due fenomeni incompatibili, uno stato inveterato che ha stabilizzato una evoluzione tangibile su una situazione relazionale gerarchica fra uomini uguali per nascita.

 / attenzione: non intendo riferirmi ad un rapporto fra dominatori e dominati: diafano di uno stato di guerra fra uomini / il mio problema è sollevare l’attenzione sulle condizionali ascendenti l’agire pensante di ogni uomo nella costruzione degli equilibri mobili delle varie stagioni di quella che abbiamo imparato a definire società: equilibri, i quali, nel divario delle condizioni materiali di esistenza e  nella relativa conflittualità delle forze emergenti alla loro gestione, mantengono in vita la costante situazione relazionale gerarchica che designa il governante e il governato, duplicando, di fatto, il rapporto mondano di vivibilità fra gli uomini in due aree: quelli che sanno ed hanno il diritto al governo e quelli che non sanno ed hanno il dovere ad essere governati – Platone redivivo secondo la moda stagionale.
  
Io so, tu no – Adorno, e l’immediato interrogativo che esso desta risveglia in me il momento genealogico di un passaggio, al verificarsi di mutamenti radicali nelle già determinate condizioni materiali dell’esistente in dissipazione strutturale, culturale da una esperienza mondana predeterminata in tutte le sue varianti a ad un avvio del farsi di una esperienza mondana, in grado di vitalizzarsi  nell’oltrepassare i propri limiti, attraverso una meccanica rinnovabile, produttiva di un equilibrio mobile tra le sue varianti.

/ il pre-figurato di un pensare figurativo, il mito: l’insorgenza della capacità immaginativa dell’uomo nel suo agire pensante nel contesto del suo circostanziato territorio / territorio, culturalmente plasmato dal vigente orientamento sovrumano e in coabitazione comunicativa orale col suo prossimo / in tale contestualità, focolaio pedagogico, il  ravvisare l’esperire l’esperienza della sua mondanità entro il limite invalicabile della compiutezza: tutto è dato come doveva essere dato, in una circolazione temporale di un perenne ritorno del medesimo

/ il figurabile in fieri  di un pensare razionale, capacità cognitiva dell’agire pensante dell’uomo: genealogica radice a rizoma del <nucleo logico> della nostra cultura / l’inattualecesura, provocata da una sincope delle condizionali del territorio di provenienza / sincope, provocatoria di quello che Nancy definisce <ondeggiamento incoativo>, il quale situa in congiuntura quell’unità del nome, configurativa della cultura territoriale, poiché ne qualifica l’assetto relazionale, giunto alla sua saturazione / cesura, “materialismo” genealogico di una prospettica configurazione di una attuale, genesi concettuale di una configurazione relazione di una geografia sociale corrispondente alle nuove emergenze, definendone gli strumenti atti alle loro qualità.

Squarci genealogici per un risveglio di memoria / capire fuori “testo”, nella consapevolezza dell’errore e nel tenere presente che il nostro angolo di rifrazione è fatturato da quella memoria: ciò per capirci / memoria, pedagogicamente attiva nella nostra dimenticanza: dispieghiamo un pensare, nell’interazione con l’ambiente circostante, attraverso un esperire sempre aperto a nuove possibilità: non testimoniamo un ritorno dell’identico / apertura oltre il limite, prerogativa del mito / apertura, congegnata, per scuola e per propagazione epidemica, in una fisiologia del pensare, tendente alla formalizzazione ed alla oggettivazione dei pensieri soggettivi / fisiologia di un procedere predicativo, al di là delle forme storiche del meccanismo formativo (da Aristotele, nelle differenze, al positivismo logico), di sensi degli oggetti o eventi esperiti, mutandone il loro “destino” / procedura, la quale segna i confini tra la nostra capacità immaginativa e la nostra capacità cognitiva, angolandola in propedeutica regolativa di un pensare che configuri il suo oggetto” esperito secondo, appunto, l’istanza normativa delle sue regole formali, onde renderlo “reale”, - verità pubblica.

non siamo moderni, ma attuali.  

Attuali, auto-recintati nel dedalo dei risultati, rizomanti una interazione associativa tra operatori, normati da quella che è la loro cultura e il contesto in cui essi vivono, strutturato dalla stessa cultura: un medesimo tessuto culturale, pertanto, affastella produttori e prodotto in una reciproca reversibilità d’informazioni, configurativa del grado di equilibrio raggiunto, e, nell’unità d’informazione acquisita, la salvaguardia della conservazione della normativa strutturale specifica  e della sua trasmissione / riflettiamo, fuori letteratura: reticolo interattivo di una esperienza mondana segna il realizzarsi genealogico di una rete territoriale comune, in differenze in costante mobilità, costituita, ripeto, dall’interattività di protagonisti, normati da una tipicizzata cultura, e, in quanto tale, formativa di uno schema di mentalità, tessuto del loro variabile agire pensante, e il relativo prodotto, esigenza configurativa della loro relazione di coabilità, oggettivazione, quindi, del loro schema di mentalità – configurato, la cui tessitura, non essendo il canovaccio né di Dio né della natura, ma dalla produzione logico-linguistica del loro schema mentale, viene a riflettere la medesima cultura di base / da tale condizionabilità oggettivizzata, il tracciato di uno spazio inedito di un reale”, il quale ci torreggia e ci stimola con i ritmi dei suoi messaggi: – interattività, la quale mette in moto il prolificarsi temporale di procedure in temporanea modifica e alterazione, in rapporto al verificarsi di determinate condizioni “materiali” di esistenza e al relativo gioco di cattura e di gestione delle forze competitive emergenti.

Riflettiamo:  non è il figurato, e purtroppo, il figurabile, di quella che noi viviamo come società? possiamo chiamarci moderni? non è più realistico chiamarci gli attuali di una interazione variabile di una invarianza riproduttiva, in quanto, cementata da una formazione logica, non linguistica,  sostegno grammaticale, di un procedere catturante, prima, riduttiva all’unità del nome, successivamente regolativa, in base all’unità del nome dell’incoativo dell’esperienza? qual’è il titolo che ci fregia moderni? il raggiunto progresso scientifico, tecnologico, informatico, frontiera attuale di conoscenze abissali? Ma, tale conquista, che ci apre nuove forme di adattamento, non è attinta dagli innumerevoli tentativi, dalle rigorose selezioni che segnano il faticoso cammino di costruzione dell’uomo della esperienza della sua mondanità? dove si regge il titolo che ci qualifica moderni, se in ogni stagione  quella costruzione, in separazione dualistica, che per necessità virtù, si configura, nella differenza, gerarchica?

Qui, il mio interrogarmi in esternazione, - spinoso e discutibile, esigenza a capirmi / come disgregare quel reticolo che ci abbranca? Come sottrarci al pericolo del rinnovo, all’interno delle nostre primavere, dei redentori del destino della moltitudine, ancorata allo stato di perenne minorità? Come aspirare ad un rinnovamento climatico in un persistente habitat, rinnovante corruzione, criminalità organizzata e non, e in un clima di sospetto reciproco?

Scorro le pagine di Aurora / una frase di Nietzsche mi strega / la propongo alla riflessione:


la realtà più vicina, quella che è intorno e dentro di noi, comincia a poco a poco a mostrare colori e bellezze e ricchezze di significato, cose, queste di cui l’umanità più antica non sognava neppure
Franco Riccio