Discostarmi
dalla loquacità della chiacchiera quotidiana / eludere l’eccessiva verbosità
comunicativa dei preposti governativi, degli eruditi specialisti, dei saccenti
addetti all’informazione o alla contro-informazione: la mia illetterata
pensosità, espressa nei tre precedenti soliloqui, sul darsi in atto nella forma
di un capitale finanziario, per sua peculiarità, immateriale, volatile e non
connesso a una persona fisica, una capitalismo, disertante la fabbrica, fisionomia dei due volti, attraverso i quali si personificava il capitalismo nel passato
sia remoto che prossimo.
Una
metamorfosi? Se è tale, non slitta la successione
temporale delle due forme precedenti? Interrogativo che attiva un ulteriore
interrogativo ad esso connaturato: successione
non sottintende l’annessione della reiterazione del limite? Quindi, non esterna uno sviluppo progressivo di tempi ripetitivi in modo rettilineo uniforme
inscritti in una logica catturante
l’individuo e il suo spazio interrelazionale nei tagli connotativi dei suoi
rispettivi registri e regimi argomentativi: il distacco dal mito?
Non è proprio questa reiterazione a
venire messa in tilt proprio
nell’atto dinamico della coordinata in progressivo trascendere il suo irrisolto? La liquidazione del capitale
in prodotti finanziari nelle attività diversificate non spezza, appunto, quella
coordinata progressiva, in quanto ogni risolto
non segna un limite, ma una
operazione conclusa sic et simpliciter
nel delineare un contenuto senza resto?
La reciproca connessione di successione e
limite, dinamica conforme del
capitalismo storico e dell’ieri, così come la virtualità del capitale finanziario, anima dell’attuale
capitalismo, rispettivamente nel reiterarla
e nel sospenderla, non mettono,
pertanto, entrambe a fuoco l’annosa questione intorno al tempo e allo spazio in
relazione al modo d’essere temporale
del farsi dell’esperienza in generale e, nello specifico, di noi viventi nella costruzione di spazi di vivibilità, snodabile in un presente, posizione mobile come loro punto critico tra il passato e il futuro?
Interrogativi, e un pungente sospetto provoca diffidenza verso
me stesso nel descriverli nello specifico letterario / sicché mi chiedo: a
quale gioco essi ci ingabbiano? Al
gioco di un pensiero catturante il tempo, estrinsecandolo in rettilinea uniformità di flusso
all’interno del quale viene a configurarsi il “tutto”? il “tutto”, spazio
irrigidito nei rapporti distintivi uomo-natura,
società-natura, storia-natura, entità isolate connotativate dalla sua traiettoria simmetrica e omogenea, compreso il
travagliato mestiere del vivere degli uomini nella costruzione di spazi di vivibilità? – fiato grosso dei
filosofi. Sottolineo filosofi; di buon grado eclisso l’uniforme e monotono
riferimento alla Filosofia, considerandola un genere di discorso, cosi come scienza, politica, teologia, ecc, con
un proprio regime costitutivo e
stile enunciativo con le corrispondenti
forme linguistiche; in tale scelta, allusiva in esse di una pretesa ontologica/ontica, slitto il formalismo
logico e il gioco del mettere ordine la consonanza
tra coerenza e situazione; riporto quel gioco
a una connotazione genealogica, complessa per l’interreazione della
combinata articolazione dei vari accidenti
confluenti in essa che ne segnano la data, a partire dalla quale si danno le
loro contraddistinte figure.
Valuto, cioè quel gioco in
relazione ai veri protagonisti, gli
uomini, attori primari che entrano in scena, nella crucialità del momento,
con i loro interessi, ambizioni, talento, artefici provocanti, nell’input critico del passaggio, un
rivolgimento in quelle certezze e in
quell’ordine costituito di un
equilibrio sociale in congiuntura e
nel quale sono coinvolti.
In tale momento storico, cruciale, in quanto il loro
spazio di convivenza sociale evidenzia lacerazioni, irritati da problemi
interni non risolti e gravati dal sopraggiungere di eventi esterni, ingeneranti
nuove sia risorse che difficoltà, è il formarsi di una intellighènzia, laboratorio di soluzione dell’irrisolto attraverso nuovi parametri disciplinari, i quali
<vengono inculcati agli apprendisti specialisti> (T.S. Khun, La struttura delle rivoluzioni scientifiche)
e i cui effetti solventi elaborati intagliano nuove condizioni di equilibrio
della società, producendo diverse catene interpretative e regolative,
proliferatrici di una rete di interrelazioni, con influenze diversificate nella
storia individuale e sociale.
La scelta, la mia, in nocciolo,
una esplorazione ridefinita attraverso gli effetti
solventi di quel laboratorio;
praticare, in conseguenza, un’analisi genealogica che coinvolge in sé, con
sguardo micologico: le interreazioni tra i “tratti intramondani”, frantumante
il guscio dell’”impotentemente isolato in base al criterio del concetto
superiore” (Adorno, Dialettica negativa).
Ciò rivendica una più accurata riflessione esplorativa che, purtroppo, rimando.
Il blog ha un suo limite di lettura.
È nelle mie intenzioni. Spero in seguito: in quei tratti sono rintracciabili i retaggi
della reificazione di un rapporto di vivibilità tra gli individui,
ingabbiato in vincolo sociale, e con esso le rivoluzioni perdute.
In parentesi temporanea l’esplorazione dovuta; come chiusura non conclusiva dei
quattro soliloqui sulla crisi tenterò di tratteggiare in ossatura quel mio ritenere
dilemmatico il traghettare oggi. –
fase, ribadisco, di recessione,
<caratterizzata da mancanza di investimenti, diminuzione della produzione,
aumento della disoccupazione>, in una inversione dei <capitali investiti
nell’industria> in operazioni finanziarie,
in funzione delle quali il capitalismo sancisce e conferma il suo potere
decisionale, non solo sulla politica economica della società, ma sulla cultura della società, e quindi
dell’individuo, in quanto si fa messaggio
di un comportamento.
Rendere nota in ossatura quella
mia riflessione, poiché non vuol dire sommario,
mi necessita uno spaziare non
soffocato; quindi rinvio al successivo blog.
Franco Riccio
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