mercoledì 13 maggio 2015

VENTISETTESIMO SOLILOQUIO

Discostarmi dalla loquacità della chiacchiera quotidiana / eludere l’eccessiva verbosità comunicativa dei preposti governativi, degli eruditi specialisti, dei saccenti addetti all’informazione o alla contro-informazione: la mia illetterata pensosità, espressa nei tre precedenti soliloqui, sul darsi in atto nella forma di un capitale finanziario, per sua peculiarità, immateriale, volatile e non connesso a una persona fisica, una capitalismo, disertante la fabbrica, fisionomia dei due volti, attraverso i quali si personificava il capitalismo nel passato sia remoto che prossimo.

Una metamorfosi? Se è tale, non slitta la successione temporale delle due forme precedenti? Interrogativo che attiva un ulteriore interrogativo ad esso connaturato: successione non sottintende l’annessione della reiterazione del limite? Quindi, non esterna uno sviluppo progressivo di tempi ripetitivi in modo rettilineo uniforme inscritti in una logica catturante l’individuo e il suo spazio interrelazionale nei tagli connotativi dei suoi rispettivi registri e regimi argomentativi: il distacco dal mito?  Non è proprio questa reiterazione a venire messa in tilt proprio nell’atto dinamico della coordinata in progressivo trascendere il suo irrisolto? La liquidazione del capitale in prodotti finanziari nelle attività diversificate non spezza, appunto, quella coordinata progressiva, in quanto ogni risolto non segna un limite, ma una operazione conclusa sic et simpliciter nel delineare un contenuto senza resto? La reciproca connessione di successione e limite, dinamica conforme del capitalismo storico e dell’ieri, così come la virtualità del capitale finanziario, anima dell’attuale capitalismo, rispettivamente nel reiterarla e nel sospenderla, non mettono, pertanto, entrambe a fuoco l’annosa questione intorno al tempo e allo spazio in relazione al modo d’essere temporale del farsi dell’esperienza in generale e, nello specifico, di noi viventi nella costruzione di spazi di vivibilità, snodabile in un presente, posizione mobile come loro punto critico tra il passato e il futuro?

Interrogativi, e un pungente sospetto provoca diffidenza verso me stesso nel descriverli nello specifico letterario / sicché mi chiedo: a quale gioco essi ci ingabbiano? Al gioco di un pensiero catturante il tempo, estrinsecandolo in rettilinea uniformità di flusso all’interno del quale viene a configurarsi il “tutto”? il “tutto”, spazio irrigidito nei rapporti distintivi uomo-natura, società-natura, storia-natura, entità isolate connotativate dalla sua traiettoria simmetrica e omogenea, compreso il travagliato mestiere del vivere degli uomini nella costruzione di spazi di vivibilità? – fiato grosso dei filosofi. Sottolineo filosofi; di buon grado eclisso l’uniforme e monotono riferimento alla Filosofia, considerandola un genere di discorso, cosi come scienza, politica, teologia, ecc, con un proprio regime costitutivo e stile enunciativo con le corrispondenti forme linguistiche; in tale scelta, allusiva in esse di una pretesa ontologica/ontica, slitto il formalismo logico e il gioco del mettere ordine la consonanza tra coerenza e situazione; riporto quel gioco a una connotazione genealogica, complessa per l’interreazione della combinata articolazione dei vari accidenti confluenti in essa che ne segnano la data, a partire dalla quale si danno le loro contraddistinte figure.

Valuto, cioè quel gioco in relazione ai veri protagonisti, gli uomini, attori primari che entrano in scena, nella crucialità del momento, con i loro interessi, ambizioni, talento, artefici provocanti, nell’input critico del passaggio, un rivolgimento in quelle certezze e in quell’ordine costituito di un equilibrio sociale in congiuntura e nel quale sono coinvolti.
In tale momento storico, cruciale, in quanto il loro spazio di convivenza sociale evidenzia lacerazioni, irritati da problemi interni non risolti e gravati dal sopraggiungere di eventi esterni, ingeneranti nuove sia risorse che difficoltà, è il formarsi di una intellighènzia, laboratorio di soluzione dell’irrisolto attraverso nuovi parametri disciplinari, i quali <vengono inculcati agli apprendisti specialisti> (T.S. Khun, La struttura delle rivoluzioni scientifiche) e i cui effetti solventi elaborati intagliano nuove condizioni di equilibrio della società, producendo diverse catene interpretative e regolative, proliferatrici di una rete di interrelazioni, con influenze diversificate nella storia individuale e sociale.

La scelta, la mia, in nocciolo, una esplorazione ridefinita attraverso gli effetti solventi di quel laboratorio; praticare, in conseguenza, un’analisi genealogica che coinvolge in sé, con sguardo micologico: le interreazioni tra i “tratti intramondani”, frantumante il guscio dell’”impotentemente isolato in base al criterio del concetto superiore” (Adorno, Dialettica negativa). Ciò rivendica una più accurata riflessione esplorativa che, purtroppo, rimando. Il blog ha un suo limite di lettura. È nelle mie intenzioni. Spero in seguito: in quei tratti sono rintracciabili i retaggi della reificazione di un rapporto di vivibilità tra gli individui, ingabbiato in vincolo sociale, e con esso le rivoluzioni perdute.

In parentesi temporanea l’esplorazione dovuta; come chiusura non conclusiva dei quattro soliloqui sulla crisi tenterò di tratteggiare in ossatura quel mio ritenere dilemmatico il traghettare oggi. – fase, ribadisco, di recessione, <caratterizzata da mancanza di investimenti, diminuzione della produzione, aumento della disoccupazione>, in una inversione dei <capitali investiti nell’industria> in operazioni finanziarie, in funzione delle quali il capitalismo sancisce e conferma il suo potere decisionale, non solo sulla politica economica della società, ma sulla cultura della società, e quindi dell’individuo, in quanto si fa messaggio di un comportamento.


Rendere nota in ossatura quella mia riflessione, poiché non vuol dire sommario, mi necessita uno spaziare non soffocato; quindi rinvio al successivo blog
Franco Riccio