giovedì 26 febbraio 2015

VENTUNESIMO SOLILOQUIO

Crisi, soffermarsi è basilare. Osservarla con occhio micologico: il suggerimento di Adorno in Dialettica negativa / frantumarne <il guscio dell’impotentemente isolato> / far <saltare la sua identità> / costringere <il pensiero a sostare davanti al minimo> ed io aggiungerei, coglierne i messaggi nella loro enigma leggibilità, per l’indice polivalente delle loro oscillazioni - input al bisogno di capire <che implica <il pensare come fare>.

Suggerimento, direi di guardia, per un agire pensante operativo di un taglio interruttivo di analisi, anche supportate da tecniche specifiche, praticate sia dall’esperto analista sia dallo stratega politico, che lasci implodere l’identità di una crisi, leggibile, per sue certe manifestazioni, non più con i criteri di un sapere accreditato – un per me.

Implosione, non esplosione della sua identità, poiché viene  esercitata dalla pressione dei minimi focolai, indescrivibili nella decifrazione per la loro dinamica non programmabile, la quale rendendo variegata la causalità del suo manifestarsi, si dà alla trasparenza della lettura del suo evidenziarsi  sincope che inceppa il campo del vivente.
Campo, il quale, in forza dell’implosione mostra l’incompiutezza della pertinenza legata ad un determinato sapere, rendendo necessaria l’azione correlata dei vari saperi.
Sinergia, quindi, di pertinenza delle scienze sociali e umane, compresa la politica e la filosofia, in interscambio delle informazioni e del loro interscambio con la fisica, la chimica, la biologia, la psicologia, l’epistemologia, deviandone, appunto, la pertinenza settoriale per una circolarità dell’informazione. – ancora un per me; una meditata convinzione in ascolto.

Sfida, quindi, all’oggettività dell’analista scientifico o politico per una nostra decodificazione del nostro transfert di lettura?

Sfida, pertanto, al criterio di verità del nostro esercizio del pensare? Slittare, cioè, <la caratteristica formale del pensiero (la quale), esige la priorità sull’autoriflessione di questo: vengono denunciati, per essa in quanto “demanio”, diritti di possesso. Ma quanto più il “campo” scientifico è astratto, tanto maggiore è la tentazione e la prontezza a ipostatizzarlo> (Adorno, Metacritica)?

La caratteristica formale del pensiero, non è l’elemento organizzativo dei nostri pensieri soggettivi, divenuto criterio di verità della loro oggettivazione, anche nell’esercizio della critica?
<Legge del pensiero>, sottolinea Adorno in quel lavoro: tu deviil cammello interiorizzato dall’uomo leone / Nietzsche / in noi presunti post-moderni / tu devi <ha come contenuto, insiste Adorno, un divieto: non distratti dal pensare, non ti fare distogliere dalla natura inarticolata, ma trattiene salda come un possesso l’unità dell’intenzionato> / l’urlo di Foucault: <staccare il potere della verità dalle forme di egemonia (sociali, economiche, culturali) all’interno delle quali per il momento funziona> (Microfisica del potere, già citato) e funziona oggi in una crisi che solleva tragicamente l’interrogativo radicale sul come pensiamo / interrogativo, che il vocio babelico annebbia tra il silenzio complice degli intellettuali impegnati.


Quel monito è la mia voce nel deserto  
Franco Riccio

VENTESIMO SOLILOQUIO

Un per me, stimolato dall’interrogativo di Marco Furia

* Un quadro, un’alba, una circostanza: coinvolgimento in immediato turbamento dei sensi / attimo sfuggente in barlume memoria / sfiorito risveglio nel racconto – indice di emotività, tonalità di uno stato d’animo, legata alla sensibilità del reagente.

* Ingiunzione di un percepire acuto, in affrancamento istantaneo da ogni patologia psichica, che sopraggiunge nell’urto tra l’io e una turbante insorgenza, genesi fisica di un quid, ghermito nella sua indicibilità
 /  percezione, intrinseca proprietà intensiva del taglio netto (L’anti-Edipo) e dell’istante sospensivo (Lacan) / getto, germoglio a “gemma nuda senza protezione”, esperibile in botanica – emozione materiale: il figurabile di Klossovoski, da me rivisitato, della Stimmung, enigmatico termine espresso da Nietzsche, quasi ad indirizzarci a rifletterla nella sua atonalità, segnandone il divario dal rilevarsi manifestazione di uno stato d’animo – l’equivoco di Heidegger.
 
* emozione materiale, quindi altro dall’emotività; altro, anche dall’intuizione, ispiratrice del pro-getto dal quale si produrrà il reale che riempie spazio e tempo.

* emozione materiale, flutto intensivo di intelligibilità, lievitante un segnale inedito nella sua dicibilità, ghermito punto critico nell’attimo interattivo
/ l’istante fibrillazione lirica senza poetica che amalgama filosofo, scienziato, poeta e che la divisione dei saperi renderà inconciliabili.

Noticina: un timido sollecito ai redattori di Antirem di un loro contributo nel merito, per una circolazione di idee, necessarie in questo momento di crisi della cultura. Grazie.


Franco Riccio

domenica 15 febbraio 2015

DICIANNOVESIMO SOLILOQUIO


Sfrondando un testo di Severino del 1989, La filosofia futura, una frase increspa la mia immaginazione

׀ fraseattrattore frattale, per me / influsso di lettura, provocante in me, quell’emozione materiale che spinge il mio pensare verso ׀ appropriandomi, senza ritegno, di singole espressioni di Derrida, le quali esplicitano la mia intenzione ׀ un <attraversamento questionante>, riconducibile <nei paraggi del poetico> ׀

impressionata dalla spinta a riflettere <ciò che non è mai stato discusso e che sta alla base di tutto ciò che noi, abitatori dell’Occidente, siamo e sappiamo. Rimane da discutere ciò che è stato ritenuto indiscutibile o di cui si sono discusse solo le forme apparenti>.

Slitto la sua intenzione: <il senso del divenire> / una riflessione non trascurabile / inaugura una scelta di campo che dà valore fondante al conoscerci / una scelta: non entro nel merito; né intendo prospettare la discutibilità di certe questioni che possono rilevarsi, se inquadrati a livello di un modello teorico più generale / il mio dilemma, direi, ricordando Nietzsche, è, per così dire, a livello “terapeutico”; livello, il cui esplicito non è espresso nell’attivazione semantica denotativa, indirizzata a circoscrivere un compiuto connettivo e quantificatorio, resistente all’usura del tempo, ma attraverso i rilievi dei sintomi, i retaggi, sollevare la causa della nostra malattia, la quale è sociale, in quanto esso, in reciproca convertibilità con l’individuale, <produce i suoi figli come la proiezione biologica vuole che li produca la natura, cioè “determinandoli ereditariamente”>: equiparazione di una progettualità (Adorno, Minima moralia) di <modi e mezzi di strutturare la psiche dell’individuo, così da indurlo ad agire in certe prevedibili maniere> (A.I. Hallowell, Culture, personality, and society) / esplicito, tra l’altro, per nulla originale, poiché già sollevato da Nietzsche e Adorno/Horkheimer, concordi nello smuovere la cristallizzazione di una critica alla ragione sul modello illuministico e di indirizzarla all’elemento formativo della cultura occidentale, e cioè alla forma mentis.

Da tale angolazione, è quell’indiscutibile, base di tutto ciò che noi siamo e sappiamo, mi chiedo?

e il mio senso esplorativo rintraccia nel saggio di I. Dobzhansky, non filosofo, ma, psicologo sperimentalista, L’evoluzione della specie umana, (Einaudi, 1965), una citazione di Hadas del 1959. da me sconosciuto, che ha eccitato l’interrogarmi su quell’indiscusso e dato alimento al mio intento: <Isocrate ci dice che Atene aveva “fatto sì che il nome Ellade non distinguesse più la razza ma l’intelletto, e il titolo di ellenico fosse un indice di educazione anziché di discendenza comune”>.

Il mai discusso, non è individuabile in quella citazione? Il non discuterlo non segnala la ruga di vecchia del tentativo dell’altro della ragione, specificamente nell’oggettivazione di Sé come Altro?
Nel rapporto tra connotazione argomentativa e il fatto, anche nell’uso corretto di una sintassi del linguaggio e persino nella sua critica, e, a maggior ragione, nel linguaggio ordinario, attuato dalla svolta innovativa della disgiunzione, rilevata da Schönberg, tra forma e sviluppo tematico, tra soggetto e oggetto o tra, come nel caso della prestazione nell’uso della tecnologia mobile, soggetto e materiale, quella disgiunzione non sfocia nella messa a punto di tecniche di normalizzazione?
Non stiamo ricreando in noi stessi, sopraffatti, da un lato dal delirio delle interpretazioni dagli “addetti ai lavori”, e dall’altro dalla corruzione dilagante, dalla criminalità organizzata, e non, per sottrarci dall’attuale instabilità del nostro vivere la quotidianità, travagliato dalla disoccupazione, dalla scarsità del nostro potere d’acquisto, l’esigenza della norma come protezione da questa razionalità incerta?

Ciò mi spinge a un riflettere pensoso / mi interrogo: non stiamo traghettando un torrente burrascoso nell’oscurità, resa più greve dall’ampollosità ridondante dei vaticini di tanti illuminati? Non ci stiamo dimenticando: sia dalla nostra identità di uomini occidentali, impregnati di individualismo e razionalità; sia che ogni fenomeno emergente, ogni disfunzione è sociale, quindi da riportare alla tessitura configurativa della società, ordita da se stessa?

La cadenza rimbombante degli avvenimenti in casa nostra, in miscellanea sagoma, e che si aggrovigliano con quelli emergenti in Europa e in Asia, ai quali si addiziona un “piombare” una sorta di rivoluzione climatica, non ci impone una presa di coscienza in prima persona?
L’attenersi ad un atteggiamento di denuncia o ad un posizionarsi neutro ed affidarci a coloro che ne parlano o chiedere una normativa più severa o affidare le redini del governarci a persone per bene, non è un appagarci del nostro stato di appendice di un processo sociale in cui vengono poste in gioco le nostre pratiche quotidiane?
L’esperienza di “mani pulite”, la quale accende nella mia mente la parabola del fariseo che decanta la sua verginità, nell’additare nel pubblicano il peccatore incallito, ha estirpato la corruzione?
Se è un atto di giustizia sociale legittimo e doveroso punire il colpevole del reato, il persistere del fenomeno “corruzione”, lo stesso dicasi per il fenomeno “mafia”, in una società, in cui il rapporto fra i suoi componenti è alieno da ogni conflitto di esercizio del potere, non deve porsi il problema politico della natura della sua causa attiva; problema, quindi, non giuridico, la cui pertinenza è in relazione all’accertamento del reato; ma specificamente eziologico?

Perché da noi su tale argomento vige un sorta di omertà del silenzio? Qualche voce si è udita. Pura creazione mediatica. Strategia operazionale di candidatura al potere.
La prima cosa che mi colpisce nelle tematiche sulla nostra società in crisi è il venir meno della ricerca dei presupposti che ci permettono di orientarci nella ricerca di una via da intraprendere. Promessa della soluzione dei nostri problemi etico-politici attraverso l’altermativa all’esercizio del potere.

Capacitarsi, e, quindi conoscere, è la titolarità del prendere coscienza, in quanto individuo comunitario: proprio oggi, nel vivere una crisi di vaste proporzioni che investe sì economia, finanzia, lavoro, ma dalla quale traspirano, in rapida accelerazione, venti di avvisaglie di mutazioni che investono alla radice la nostra cultura; una tra le varie, nella linearità di corrispondenza tra genotipo e fenotipo, per un ? genotipo, provocato da una crescente osmosi tra razze diverse.

Titolarità, la quale si impone al di fuori di ogni alternativa di potere o soluzione della crisi – ritorno di una forma classica di antagonismo / riproposizione di un metodo razionale e oggettivante.
Titolarità si impone come provocazione a risvegliare le coscienze a prendere consapevolezza di una questione tacitata e che sta alla radice della nostra cultura: come pensiamo / ravvivare il nostro problema di sempre, negato da coloro che non vi vedono alcuno argomento valido.

Abbiamo bisogno di storia.
Franco Riccio

mercoledì 4 febbraio 2015

DICIOTTESIMO SOLILOQUIO

Mandare a memoria il già archiviato non suona ridondante proprio in questo periodo travagliato da una crisi economica planetaria, la quale, nel rendere permanente la situazione di povertà i sempre poveri, tende ad una inarrestabile pauperizzazione dei vari livelli della classe sociale, compresa quella imprenditoriale, un tempo nemica del proletariato?

E in più, non stiamo vivendo una inarrestabile e incontrollabile deoccidentalizzazione dell’Occidente? Ancora, non avvertiamo l’addensare in noi l’ombra della morte per l’intensificarsi di una strategia interventista, dissimulata in lotta di religione?

Perplessità e sconcerto nell’interrogarmi / siamo in balia del mondo, ed io discuto e propongo di discutere sul sesso degli angeli / in affanno mi penso, e un confederarsi di pensieri circolanti intorno al buon governo, da affidare agli onesti, mette alle strette l’interrogarmi sul mio tentativo: polivocità in tonalità a gradazioni sfumate immobilizzano la storia: il detto illuministico riecheggia nella sincope dell’oggi orchestrato in moralistica arroganza – e il fuori storia  si fa reinvestimento nel pensare quotidiano di ciascuno.

Non ho scelta / mi sottraggo al dire che inchioda la storia e la cui immobilità porta il peso schiacciante del tu devi: adeguazione alla parola d’ordine che indora l’attesa della gente, incespicata nel sempre ruolo di appendice del processo sociale nel silenzio complice dell’intellettuale, occupato a formalizzare la pertinenza del dire e la coerenza della sua forma logica.

Io fuori tempo coinvolto nel dilemma:   

Io e me stesso tra il sentire mio il travaglio della gente e lo sconcerto impressionato dalla evidente incoerenza fra: ׀ la luminosità di un sapere germogliante condizioni paritarie di vivibilità nella sfida alla sofferenza, in virtù del progredire della ricerca scientifica e alla prevaricazione ad ogni forma di dominio per la consapevolezza culturale della potestà dell’agire pensante di ogni individuo nella parità della diversità dei ruoli ׀ e ׀ il rimbombante e promiscuo vocio di antichi e nuovi improvvisati messia che, nel segno della redenzione si offrono al mercato del voto fideiussori dell’amministrazione del nostro vivere individuale e comunitario ׀

/ piagnistei soffusi di miscellaneo misticismo e moralismo sulla miseria della gente e sulla disoccupazione giovanile, in realismo premonizionale di una soluzione adeguata
/ improvvisati unti cacciatori dei profanatori del tempio del potere, portatori della buona novella di essere i giusti e onesti nostri governatori
/ strilli in sciacquio di bocca di rivoluzione culturale

impantanano la mia sensibilità, scuotendomi dalla vigliaccheria del mio silenzio – e la memoria spinse e spinge i miei pensieri a sollevare all’attenzione su una negligenza: la radice della nostra cultura, generativa della forma mentale dei nostri pensieri, 

e la mia voce, schiva dalla qualità del timbro, solleva quella dimenticanza per ravvivarla per un conoscerci.


al prossimo  

Franco Riccio

DICIASSETTESIMO SOLILOQUIO

Rilancio questa mia esternazione nel tentativo di risvegliare in me, palesandola, una dimenticanza, oscurata da un rinsaldarsi in noi uno schema mentale tendente ad attivare i nostri pensieri soggettivi in pensieri oggettivi, ascrivendo in essi quello che Aristotele nell’Organon definisce <enunciato dichiarativo>, diverso dalla retorica e dalla poetica, in quanto <attribuisce qualcosa a qualcosa> attraverso un giudizio affermativo contrapposto alla sua negazione.
Contrapposizione, genealogia dell’affermativo – e nel mio rifrangerlo, il richiamo a Derrida si fa vivo: <il pensiero della gerarchia violenta>, il quale si costituisce genesi dell’univoco, in cui <uno dei due termini comanda l’altro> (Posizioni) / mi interrogo: nell’univocità, anche nel verso negativo, strutturalmente omogeneo al positivo, non è da collocare il dispositivo onto-teologico che mira a proteggere dal divario dell’esperienza qualsiasi equilibrio determinatosi, a prescindere dalla sua natura politico-sociale o da qualsiasi struttura o fissazione paradigmatica o linguaggio? 
Affermazione, non è <essa stessa potere>? La verità (Foucault) riprodotta in chiave genealogica a nostro schema mentale?
 
e la memoria, irrispettosa della cronologia dello storico dei fatti, delle idee, della scrupolosità del filologo, dell’invasamento specialistico, del burocrate censore, mi rievoca pensieri provenienti da quel mondo della “fantasia”, il mondo della poesia che per Frege, sulla scia di Aristotele, definisce regno che si situa al di qua del vero e del falso (Il pensiero).
Al di qua del vero e del falso, una via liberatoria dalla reificazione, condizionante le primavere del nostro agire pensante, percorribile attraverso un rivolgimento totale del nostro schema mentale – e il ghigno beffardo del nano, spirito di gravità (Nietzsche, Così parlò Zarathustra), si fa ponderato giudizio in Hölderlin (Sul tragico): <Un rivolgimento totale qui, come in genere ogni rivolgimento totale, è privo di qualsiasi ritegno, non è lecito all’uomo in quanto essere conoscente> - e il suo eco si rifrange nella riflessione profetica di Ulrich (R. Musil, L’uomo senza qualità, v. II): sottratto dalla vita l’univoco l’uomo si smarrisce nel crepuscolo…<fra un po’ di tempo gli uomini saranno molto intelligenti e parte dei mistici. Forse avverrà che anche ai nostri giorni la morale si divida in queste componenti. Potrei anche dire: in matematica e mistica. In miglioramento pratico e avventura ignota!>.

Pensieri in attualità, i quali mi danno una mano a focalizzare, il bacillo che ravviva la malattia sociale, espandendosi attraverso nuovi focolai, i quali, nella variabile, mantengono viva quella funzione programmatica dell’univoco che dà alle relazioni che attualizza quel carattere affermativo che, per dirla con Gadamer, a proposito della scrittura ( Verità e metodo), si impone <agli occhi di tutti in una superiore sfera del senso>: io so, tu no (Adorno), ma in moltiplicazione di io. / e la confusione regna sovrana, ma l’elemento per me preoccupante è l’avvertire la mancanza di una sua tematizzazione, tale, mi sembra, che essa assurga a “grammatica” del nostro pensare.

e ciò mi induce a persistere nella convinzione che il ritorno del sempre identico nelle attualizzazioni delle primavere esperenziali, interruttive irriducibili, per innovazioni di variabili innovative, anche al loro passato prossimo, debba cercarsi in quel bacillo, identificabile nel come pensiamo


È qui la motivazione del risvegliare in noi le origini della nostra civiltà, e spiegarci perché la sua originalità cognitiva, che non possiamo né dobbiamo perdere, abbia mietuto e continua a mietere morte nel nome della redenzione.
Franco Riccio