Ripristino il filo interrotto del
mio accogliere quello che per me
Deleuze suggerisce un monitoraggio a riflettere il manifestarsi di una emergenza, prodotta da una sincope che scuote l’equilibrio del corpo sociale, non in relazione a ciò
che essa manifesta all’attenzione di
chi osserva, ma in correlazione alle <condizioni sotto ciò che (ad essa) si
manifesta>.
La svolta di Kant della
temporalizzazione dell’esperienza mondana dell’esistente, in risonanza degli
effetti politico-culturali della rivoluzione francese (la borghesia al
potere) e della svolta capitalistica
dell’economia (il filo rosso che
indirizzerà e indirizza le organizzazioni stagionali del corpo sociale / il taglio
che segna la storia: freccia – incurvatura d’attenzione, in
comunanza problematica con Deleuze, dalla <coppia disgiuntiva
apparenza/essenza alle condizioni
attraverso e per i quali si danno i fenomeni
che appaiono al discernimento
dell’osservatore: il traghettarla è il mio sforzo esplorativo di riesumare da
quella svolta quell’elemento che la
qualifica tale – centralità dell’osservatore, l’io, nell’esercizio di un suo pensare,
assurto, in quella svolta, a
coniugazione trascendentale, condizionante il <manifestarsi qual
cosa che si manifesta a ciascun soggetto empirico>: mio risalto:
il primo: l’io pratico, corpo vivente,
per sua natura pensante, legato al
suo soggettivo complesso processo
psichico / quindi produttore di
enunciati soggettivi / questo stesso io, traslato in un Io, figurante un Noi,
processo mentale di quello stesso
processo mentale di ogni individuo
nella naturalezza del suo agire pensante, in grado di produrre enunciati, mi suggerisce Hölderlin (Sul tragico) <non catturati
dall’ordine stabile della ragione>; l’io
nell’Io quegli enunciati vengono
riconosciuti veri, in quanto oggettivi, e, pertanto
configuratividell’esistente;
il secondo: il traslare non richiede un legame, necessariamente non linguistico. garante della sua oggettività?
il terzo: in conseguenza, non siamo in memoria
al rivolgimento del pensare mitico,
operato da Aristotele con l’introduzione del logo apofantico, per il quale un enunciato è riconosciuto, ribadisco riconosciuto, vero? Quindi, corrispondente
a una situazione di esperienza
mondana: il novecento non ha tentato, invano,
per il ricorso a tecniche di
montaggio di ricomposizione una esperienza
mondana disgiuntiva nei sui segni di
manifestazione, di rompere tale saldatura?
Controverso e dibattuto dilemma, quel taglio / desta in me una esplorazione provocatoria di un interrogativo basilare intorno a quella svolta che ci qualifica moderni / chiederci, cioè, se quella svolta illuminante, storicamente si sia
costituita: indice di un rivolgimento totale di quel <nucleo
logico>, genealogia della nostra
cultura, garante dell’ordine oggettivante
della produzione dei nostri pensieri
soggettivi o indice di una sua attualizzazione.
Il procedimento di un controllo nell’investigare quella svolta, l’esortazione di Deleuze, circoscrive il mio riflettere,
ribadisco, sull’osservatore, il cui agire pensante, nella sua pratica deliberante, viene esercitato,
in quel taglio storico, attraverso la funzione giudicante di una intelligibilità, figurata intelletto, spartita sia dalla percezione sia dalla ragione, in quanto garante della sua
oggettività correlazione con il rapsodico
/ in tale correlazione, io-cose,
la quale verifica la distanza dall’adeguazione della cosa all’intelletto
della tradizione e della stessa svolta psicologica di Cartesio, l’io giudicante, in auto-riflessione, si pone esistente,
rendendo, in contemporanea temporalità,
esistente il costituirsi della nuova esperienza mondana.
Kant, il referente storico della breccia
verso tempi nuovi, il sogno di
Hegel, operato sul moderno: indubbio
nella mia esplorazione / svolta,
tuttavia, alla mia osservazione,
della curva culturale della rettilinea uniformità del fluire temporale,
tracciata da Aristotele, in influsso tolemaico: continuità in discontinuità, il rilievo,
non scalfito, ma graffiato dall’unità del
nome nel travaglio del superamento del limite
di quella concordanza tra il pensare
dell’uomo, aggiornato, della concordanza tra pensare e totalità dei fatti
– distintivo della matrice logica della
nostra cultura nell’avvicendarsi del nome
proprio: si chiamerà un pensare in
formato dialettico o logico formale o produzione desiderante o produttività
disseminatrice o new onto(techno)logy, in tacita concordanza
propositiva, in dicibile apofantico:
il loro spiegare propositivo, nella
differenza che segna una indubbia svolta / riflettiamola in noi stessi in ogni
nostro atteggiamento propositivo / io stesso denunciante: ciascuno, centro di propagazione di un processo diverso, ma concordante nella direttiva
organica della disorganicità dei fatti insorgenti nella fluente nostra esperienza
mondana: io reo confesso.
Necessità, pertanto, per me, di un sospendere riflessivo la condizione da Kant sollevata, come
distacco da quel logo / sospensione,
ineluttabile per orientare l’interrogativo
sull’aggiunzione di Deleuze <quando io dico> / didattica del
far sorgere in me il comprendere
quella sua (Kant) indubbia innovata culturale,
centrandola nel rilievo fondamentale, dato dallo stesso Kant: - la situazione relazionale di quella senza tempo questione tra pensiero/essere / così fondamentale,
tale da essere convertita, ieri: altro del pensiero/essere in squilibrio “naturale”; oggi: <interconnessione
onnimoda di tutte le procedure (almeno
a livello di software) in una
rete comune, costituita proprio da differenze in costante mobilità> (F. Duque,
L’età è mobile, qual cella al vento,
in <Anterem>).
Interrogativo: il mio / bisogno di un capirmi / bisogno in affanno, tanto da mettermi in dubbio la via che sto percorrendo / il sospetto:
non sono coinvolto dalla passione che trascina l’uomo di scienza nelle sue
speculazioni, nelle sue estrapolazioni a tal punto da dimenticare ciò che oggi
è posto in gioco? Non dimentico, nella foga culturale, il travaglio del vivere
individuale e sociale della grande maggioranza degli uomini da sempre, trattati, per una logica
culturale, minorenni, tali da
essere governati, anche se hanno
raggiunto con fatica l’età del voto? La crisi odierna non ha
denudato l’eterno contrassegno della sudditanza di chi, maggioranza degli uomini, ritenuto, per cultura, quella cultura,
sgombrante dalla terra gli antichi dei,
sfibrato dalla capacità di gestire i suoi bisogni e il relativo spazio di
convivenza, da chi, invigorito di sapere o
di denaro, ha acquisito
potestà di gestirlo nei suoi bisogni?
Cicatrici che si riaprono oggi, risonanze di interazioni
congiunturali, fluttuanti nelle geografie socio-politiche europee <una serie
di cause ed effetti (che) si mescolano in una ridda di problemi
contrastanti….(colpendo) il cittadino in maniera diversa, interagendo e
determinando la complessità di un disagio esistenziale che si sta dimostrando
sempre più rilevante> (C. Bordoni, Stato
di crisi / testo edito nel 2014 (Cambridge) e tradotto nel 2015 (Torino),
adottato come referente nei miei 5 soliloqui precedenti sulla crisi).
Cicatrici, testimonianza di un male atavico, connaturato in una
società, istituita, sin dagli albori
della nostra matrice culturale,
in intelaiatura
relazionale gerarchica.
Cicatrici oggi scottanti per la
loro visibilità, resa spettacolare dalle
ribalte televisive, tali da far straziare
le vesti dei vari moralisti di turno,
ognuno distinto nel proprio abito, ma imbrogliati nel medesimo dire
assertorio, parodia dei quel logo
apofantico, matrice logica ribadisco della
nostra cultura, riformisti e
rivoluzionari, credenti e atei, e le cui lacrime,
illuminate dalle luci della ribalta, trasudano la drammaticità del momento nel lirismo patito della comprensione delle sofferenze di un popolo in attesa del segno di redenzione; lirismo,
il quale si colora, grazie al
risveglio delle coscienze, stimolato da un pontefice, indubbiamente in buona
fede, ma nella veste di Papa, di un pietismo misericordioso verso le
sofferenze di sempre della
molteplicità di quelli che oggi si scoprono gli ultimi.
porcata, la
mia denuncia / io parlo e affermo: non sto operando un montaggio
di corrispondenza tra il mio dire e una situazione di esperienza? Dov’è il taglio che fa la differenza fra il mio dire e il dire di chi, con
disgiunto linguaggio e intenzioni, trasmette con il suo dire una esperienza di verità? Rifletto: non lo trovo / mi scopro
nella stessa condizione, io, cosiddetto laico,
di quella parabola figurativa di una presunzione di incorruttibilità, il fariseo, e la consapevolezza di corruttibilità, il pubblicano / scrollo
il sorriso ironico degli impigri,
addormentati dal sonno dogmatico della loro incorruttibilità, e, nella veste
attribuitami, mi interrogo: il vagito,
testimonianza della nostra presenza
nella comunità associata, non presenta qualità distintiva che lo caratterizzi un possibile corrotto o un possibile incorruttibile:
ci immette in una situazione relazionale
con uno spazio normato culturalmente: il problema irrisolto – il mio problema che il messaggio di
Deleuze, strappato dalla sua organica dissertazione, risveglia in me.
il problema: il
bisogno di rifletterlo, in onestà intellettuale, io, reo confesso dei miei limiti, legati
alla mia individualità, educata, nel suo viverla inserito naturalmente nelle coordinate culturali del mio spazio di
convivenza, io, - trasmettitore, per professione, di una esperienza di verità, maturata attraverso le mie convinzioni, sento la necessità di una più
approfondita riflessione / rimando al
prossimo, se la mia fragilità lo consentirà.
Franco Riccio