domenica 6 settembre 2015

TRENTAQUATTRESIMO SOLILOQUIO

Ripristino il filo interrotto del mio accogliere quello che per me Deleuze suggerisce un monitoraggio a riflettere il manifestarsi di una emergenza, prodotta da una sincope che scuote l’equilibrio del corpo sociale, non in relazione a ciò che essa manifesta all’attenzione di chi osserva, ma in correlazione alle <condizioni sotto ciò che (ad essa) si manifesta>.

La svolta di Kant della temporalizzazione dell’esperienza mondana dell’esistente, in risonanza degli effetti politico-culturali della rivoluzione francese (la borghesia al potere)  e della svolta capitalistica dell’economia (il filo rosso che indirizzerà e indirizza le organizzazioni stagionali del corpo sociale / il taglio che segna la storia: freccia – incurvatura d’attenzione, in comunanza problematica con Deleuze, dalla <coppia disgiuntiva apparenza/essenza alle condizioni attraverso e per i quali si danno i fenomeni che appaiono al discernimento dell’osservatore: il traghettarla è il mio sforzo esplorativo di riesumare da quella svolta quell’elemento che la qualifica tale – centralità dell’osservatore, l’io, nell’esercizio di un suo pensare, assurto, in quella svolta, a coniugazione trascendentale, condizionante il <manifestarsi qual cosa che si manifesta a ciascun soggetto empirico>: mio risalto:

il primo: l’io pratico, corpo vivente, per sua natura pensante, legato al suo soggettivo complesso processo psichico /  quindi produttore di enunciati soggettivi / questo stesso io, traslato in un Io, figurante un Noi, processo mentale di quello stesso processo mentale di ogni individuo nella naturalezza del suo agire pensante, in grado di produrre enunciati, mi suggerisce Hölderlin (Sul tragico) <non catturati dall’ordine stabile della ragione>; l’io nell’Io quegli enunciati vengono riconosciuti veri, in quanto oggettivi, e, pertanto configuratividell’esistente;
il secondo: il traslare non richiede un legame, necessariamente non linguistico. garante della sua oggettività?
il terzo: in conseguenza, non siamo in memoria al rivolgimento del pensare mitico, operato da Aristotele con l’introduzione del logo apofantico, per il quale un enunciato è riconosciuto, ribadisco riconosciuto, vero? Quindi, corrispondente a una situazione di esperienza mondana: il novecento non ha tentato, invano, per il ricorso a tecniche di

 montaggio di ricomposizione una esperienza mondana disgiuntiva nei sui segni di manifestazione, di rompere tale saldatura?
      
Controverso e dibattuto dilemma, quel taglio / desta in me una esplorazione provocatoria di un interrogativo basilare intorno a quella svolta che ci qualifica moderni / chiederci, cioè, se quella svolta illuminante, storicamente si sia costituita: indice di un rivolgimento totale di quel <nucleo logico>, genealogia della nostra cultura, garante dell’ordine oggettivante della produzione dei nostri pensieri soggettivi o indice di una sua attualizzazione.

 Il procedimento di un controllo nell’investigare quella svolta, l’esortazione di Deleuze, circoscrive il mio riflettere, ribadisco, sull’osservatore, il cui agire pensante, nella sua pratica deliberante, viene esercitato, in quel taglio storico,  attraverso la funzione giudicante di una intelligibilità, figurata intelletto, spartita sia dalla percezione sia dalla ragione, in quanto garante della sua oggettività correlazione con il rapsodico / in tale correlazione, io-cose, la quale verifica la distanza dall’adeguazione della cosa all’intelletto della tradizione e della stessa svolta psicologica di Cartesio, l’io giudicante, in auto-riflessione, si pone esistente, rendendo, in contemporanea temporalità, esistente il costituirsi della nuova esperienza mondana.
  
Kant, il referente storico della breccia verso tempi nuovi, il sogno di Hegel, operato sul moderno: indubbio nella mia esplorazione / svolta, tuttavia, alla mia osservazione,
 della curva culturale della rettilinea uniformità del fluire temporale, tracciata da Aristotele, in influsso tolemaico: continuità in discontinuità, il rilievo, non scalfito, ma graffiato dall’unità del nome nel travaglio del superamento del limite di quella concordanza tra il pensare dell’uomo, aggiornato, della concordanza tra pensare e totalità dei fattidistintivo della matrice logica della nostra cultura nell’avvicendarsi del nome proprio: si chiamerà un pensare in formato dialettico o logico formale o produzione desiderante o produttività disseminatrice o new onto(techno)logy, in tacita concordanza propositiva, in dicibile apofantico: il loro spiegare propositivo, nella differenza che segna una indubbia svolta / riflettiamola in noi stessi in ogni nostro atteggiamento propositivo / io stesso denunciante: ciascuno, centro di propagazione di un processo diverso, ma concordante nella direttiva organica della disorganicità dei fatti insorgenti nella fluente nostra esperienza mondana: io reo confesso.

Necessità, pertanto, per me, di un sospendere riflessivo la condizione da Kant sollevata, come distacco da quel logo / sospensione, ineluttabile per orientare l’interrogativo sull’aggiunzione di Deleuze <quando io dico> / didattica del far sorgere in me il comprendere quella sua (Kant) indubbia innovata culturale, centrandola nel rilievo fondamentale, dato dallo stesso Kant: - la situazione relazionale di quella senza tempo questione tra pensiero/essere / così fondamentale, tale da essere convertita, ieri: altro del pensiero/essere in squilibrio naturale”; oggi: <interconnessione onnimoda di tutte le procedure (almeno a livello di software) in una rete comune, costituita proprio da differenze in costante mobilità> (F. Duque, L’età è mobile, qual cella al vento, in <Anterem>).

Interrogativo: il mio / bisogno di un capirmi / bisogno in affanno, tanto da mettermi in dubbio la via che sto percorrendo / il sospetto: non sono coinvolto dalla passione che trascina l’uomo di scienza nelle sue speculazioni, nelle sue estrapolazioni a tal punto da dimenticare ciò che oggi è posto in gioco? Non dimentico, nella foga culturale, il travaglio del vivere individuale e sociale della grande maggioranza degli uomini da sempre, trattati, per una logica culturale, minorenni, tali da essere governati, anche se hanno raggiunto con fatica l’età del voto? La crisi odierna non ha denudato l’eterno contrassegno della sudditanza di chi, maggioranza degli uomini, ritenuto, per cultura, quella cultura, sgombrante dalla terra gli antichi dei, sfibrato dalla capacità di gestire i suoi bisogni e il relativo spazio di convivenza, da chi, invigorito di sapere o  di denaro, ha acquisito potestà di gestirlo nei suoi bisogni?

Cicatrici che si riaprono oggi, risonanze di interazioni congiunturali, fluttuanti nelle geografie socio-politiche europee <una serie di cause ed effetti (che) si mescolano in una ridda di problemi contrastanti….(colpendo) il cittadino in maniera diversa, interagendo e determinando la complessità di un disagio esistenziale che si sta dimostrando sempre più rilevante> (C. Bordoni, Stato di crisi / testo edito nel 2014 (Cambridge) e tradotto nel 2015 (Torino), adottato come referente nei miei 5 soliloqui precedenti sulla crisi).
Cicatrici, testimonianza di un male atavico, connaturato in una società, istituita, sin dagli albori della nostra matrice culturale, in  intelaiatura relazionale gerarchica.
Cicatrici oggi scottanti per la loro visibilità, resa spettacolare dalle ribalte televisive, tali da far straziare le vesti dei vari moralisti di turno, ognuno distinto nel proprio abito, ma imbrogliati nel medesimo dire assertorio, parodia dei quel logo apofantico, matrice logica ribadisco della nostra cultura, riformisti e rivoluzionari, credenti e atei, e le cui lacrime, illuminate dalle luci della ribalta, trasudano la drammaticità del momento nel lirismo patito della comprensione delle sofferenze di un popolo in attesa del segno di redenzione; lirismo, il quale si colora, grazie al risveglio delle coscienze, stimolato da un pontefice, indubbiamente in buona fede, ma nella veste di Papa, di un pietismo misericordioso verso le sofferenze di sempre della molteplicità di quelli che oggi si scoprono gli ultimi.

porcata, la mia denuncia / io parlo e affermo: non sto operando un montaggio di corrispondenza tra il mio dire e una situazione di esperienza? Dov’è il taglio che fa la differenza fra il mio dire e il dire di chi, con disgiunto linguaggio e intenzioni, trasmette con il suo dire una esperienza di verità? Rifletto: non lo trovo / mi scopro nella stessa condizione, io, cosiddetto laico, di quella parabola figurativa di una presunzione di incorruttibilità, il fariseo, e la consapevolezza di corruttibilità, il pubblicano / scrollo il sorriso ironico degli impigri, addormentati dal sonno dogmatico della loro incorruttibilità, e, nella veste attribuitami, mi interrogo: il vagito, testimonianza della nostra presenza nella comunità associata, non presenta qualità distintiva che lo caratterizzi un possibile corrotto o un possibile incorruttibile: ci immette in una situazione relazionale con uno spazio normato culturalmente: il problema irrisolto – il mio problema che il messaggio di Deleuze, strappato dalla sua organica dissertazione, risveglia in me.


il problema: il bisogno di rifletterlo, in onestà intellettuale, io, reo confesso dei miei limiti, legati alla mia individualità, educata, nel suo viverla inserito naturalmente nelle coordinate culturali del mio spazio di convivenza, io, - trasmettitore, per professione, di una esperienza di verità, maturata attraverso le mie convinzioni, sento la necessità di una più approfondita riflessione / rimando al prossimo, se la mia fragilità lo consentirà.  
Franco Riccio