lunedì 24 novembre 2014

QUINTO SOLILOQUIO

Il risveglio in noi del bisogno di storia, - e la memoria ridesta in me Habermas e il relativo dibattito, esposto nel volume Il discorso filosofico della modernità. Dibattito, aperto da Hegel; continuato senza interruzione sino all’altro ieri, dopo la parentesi Marx della realizzazione della filosofia nella prassi, attraverso vibrazioni interpretative, variabili nel timbro, registrabile o un recupero aggiornato della filosofia o la consapevolezza di una sua <fine…malamente dissimulata> nel superamento della differenziazione hegeliana tra il suo concetto scolastico e  quello mondano.

Seguitandone la lettura, è rilevabile un temporalizzarsi di pensieri, il cui esposto argomentativo, in relazione al proprio paradigma di riferimento, staglia la differenza; aspetto da prendere in considerazione in uno svolgimento meditativo posteriore.
Ora, soltanto un risalto delle diversità argomentative, indispensabile base storica per verificare il perpetuarsi, proprio nella differenza, il retaggio di quel che definisco virus, cicatrizzante la relazione intercomunitaria nella genesi della nostra civiltà.

Pensieri, messi in moto: - da Heidegger, il cui <recupero…apre ad un movimento di pensiero genuinamente filosofico>, nel quale inscrive, e in ciò il diversificarmi da Habermas, in equiparazione <gli hegelo-marxisti e Lukács, Horkeimeir e Adorno, che ritraducono il Capitale, con l’aiuto di Max Weber, in una teoria della reificazione>; - da una diversa angolazione, attraverso la quale <la filosofia riconquista competenza per la diagnosi del tempo attraverso una critica della scienza che dal tardo Husserl conduce, attraverso Bachelard, fino a Foucault>. 

Un interrogativo sopraggiuntomi distoglie la mia mente dalla riflessione in atto. Tiro mancino della memoria. Impensierisce la motivazione dell’apertura di questo blog, non sull’opinabilità argomentativa / essa è tale: è un per me, gridato ad alta voce / sulla sua incisività operativa nel perturbamento che travaglia il nostro presente: blocca il rilievo in corso. 
Interruzione sospensiva di un evento, piega deviante il discorso filosofico della modernità, ma in disgiunzione connettiva, avente in concomitanza referente: la filosofia scolastica, cioè la metafisica come suo bersaglio critico fondamentale, nel tracciato parallelo di una filosofia, propositiva di un nuovo scientismo: una piega su cui è indispensabile il rifletterla.

Ancora una volta debbo confessarmi reo. Diserto le regole del discorso retto. Tronco la questione, prorogandola. Avverto imprescindibile esternare l’interrogativo, il quale, in ultima analisi, compendia il travagliato orientamento dei miei soliloqui. Per tal motivo, preferisco rinviare l’esternazione ad un prossimo soliloquio.
Franco Riccio



sabato 15 novembre 2014

QUARTO SOLILOQUIO


Abbiamo bisogno di storia / oggi, in movente incalzante dall’ondeggiamento incoativo attraverso il quale emergenze contraddittorie inviluppano quel legame, in tonalità senza tono, che ci identifica, fuori delle varie argomentazioni, abitatori temporanei di una terra comunitaria, nell’articolazione di un insieme, il quale, nel manifestare la sua organicità operativa nel segno del rapsodico che avvolge in sé il fluire incoativo di una esperienza individuale e collettiva che va costruendosi, traluce una correlazione oggettiva difensiva contro le variabili insorgenti negli equilibri raggiunti, cementando la dipendenza di sempre del nostro esistere dall’insieme dell’esistente, configurato all’interno dalla perenne questione del rapporto tra pensiero e essere.



Ciò mi induce a un riflettere puntato, come determinata condizione preliminare, non sulla critica né sulla denuncia, ma attraverso un risveglio di memoria intorno alla genealogia della nostra civiltà, che ci qualifica uomini occidentali.
Un risveglio indispensabile, per me, per comprendere l’attuale nostra vicissitudine esistenziale, travagliata da una crisi mondiale dagli esiti incerti e nella prospettiva di persistere nello status di individuo amministrato da una formazione politica, che si farà chiamare Stato (Nietzsche, Così parlò Zarathustra), in quanto vincente; un conoscere, il quale è un conoscermi, socializzandolo a un conoscersi; ciò affinché possiamo imparare sempre meglio <a coltivare la storia a scopo di vita>, lasciando <agli uomini sovrastorici la loro nausea e la loro saggezza> (N. Considerazioni inattuali, II) e a noi il compito di cercare in essa, <attraverso i dettagli quel frammento di stregoneria ontologica che ha presa sul reale> (Adorno, Dialettica negativa) e rilevare in essi le cicatrici del nostro legame sociale.



<Stregoneria ontologica>, oggi, rilevabile, con micologica investigazione, secondo il suggerimento di Adorno, in un prendere forma una intelligenza artificiale, in virtuale ondeggiamento costruttivo, attraverso il quale rende dicibile l’indicibilità del legame sociale, dispiegandosi e rispiegandosi in essa, per riassettarla secondo il suo timbro.



Retaggio culturale in attualità che rifinisce una mentalità, genealogicamente affermatasi, in corrispondenza all’emergere di fattori innovativi esterni e ad esigenze interne ad un legame sociale in sincope, geograficamente circoscritto. Un rivolgimento totale di un agire pensante, - e qui è necessario riflettere in sospensione ideologica e scientifica - connaturale alla natura pensante di ogni individuo di produrre pensieri, fuori da qualsiasi ordine stabilito; ordine, il quale è genealogicamente socio-culturale. Una punteggiatura per capire e per capirci: in questo campo si misura la cessazione di ogni conflittualità armata o dialettica / fuori da questo campo è il terreno di quella reificazione, urlata e tacitata dal punto di vista di colui che giudica da Adorno, prodotta dall’uomo sull’uomo /  in quel campo sono da portare i vari saperi, le varie istituzioni, le forme storiche di pensiero e di razionalità, le erranze del linguaggio, le diversità di religioni, non alla loro autosufficienza / il responsabile è l’uomo: e qui il riflettere riflettendoci si rende indispensabile: ci coinvolge, e ci coinvolge proprio nel processo d’interazione con il reale processo della vita della società, mediante il quale apprendiamo la cultura, acquistiamo i ruoli, costruiamo il nostro , e si formano e si trasformano i modelli, attraverso i quali si innesta un relativo processo di apprendimento, mediante il quale li incorporiamo psicologicamente, determinando in noi un comportamento o conforme o deviante (cfr. A.K. Cohen, Controllo sociale e comportamento deviante). / processo d’interazione da connaturale alla nostra singolarità, la quale è individuale in quanto sociale ed è tale in quanto individuale, perché abitanti temporanei nello spazio che configura la nostra appartenenza, per un processo selettivo e di equilibrio di una organizzazione umana, culturalmente normativa, diventiamo soggetti normativi: uomo, sia filosofo, scienziato, statista, progettista  informatico, teologo, senza qualità.



Ecco perché abbiamo bisogno di storia /  una storia, non per la vita (Nietzsche), ma per un’assunzione di responsabilità, non delegabile, del diritto di ogni uomo a vivere la sua quotidianità in quella superficie comunitaria che è la terra, attraverso quel legame che unifica le diversità senza annullarle.



Storia, non <pensata come pura scienza e divenuta sovrana, sarebbe una specie di chiusura e liquidazione> (Nietzsche, Considerazioni inattuali II) del legame che ci identifica per quel che siamo per natura, e non per contratto né per quello che siamo sempre stati: individui statalizzati sin dalla nascita: singolarità amalgamante in sé comunicatività nel vagito, - voce senza timbro che, in osmosi atonale ci omogenea nella diversità incomparabile / nel timbro, tonalità di una organizzazione associativa umana, prodotta, nelle varie configurazioni stagionali, dall’esito conflittuale dalle formazioni in competizione, la malattia, la quale più che logorare il legame (Habermas), ne trasmuta la spontaneità in vincolo formale, in un aggiornamento di un rituale consolidato, fissato in ogni momento della storia e che <impone delle obbligazioni e dei diritti; costituisce delle procedure accurate> (M. Foucault, Microfisica del potere) - il virus, che, in propagazione, infetta ogni individuo, il quale si fa portatore attivo, sia esso conservatore, progressista, rivoluzionario, senza qualità.



<Ciò che perdura non è un quantum di sofferenza, ma il suo progresso infernale>, scrive Adorno in Minima moralia, e dà spazio al mio rifletterla / intensificazione di un “indurimento” intensivo di un criterio normativo coniato sul timbro del segno che rende tangibile la trasmutazione di un pensare soggettivo in un pensare oggettivo e oggettivante, valorizzando, in conseguenza una forma di comportamento adatto alla società in cui si manifesta (suggerirei la lettura del saggio di J. Gervet, Comportamento. Una realtà in cerca di concetto, in Concetti nomadi, citato, per gli spunti di riflessione che suscita).
Svilupperò in seguito, almeno lo spero, tale riflessione. Ora mi è utile per un quadro sulla situazione odierna, la quale mi afferma, nell’accettazione della novità emergente, il bisogno di non dimenticare la nostra storia.



Oggi, siamo inviluppati, così penso, nei meandri labirintici di un anonimato di quel sempre amministratore dei bisogni incentivati degli individui e del loro talento – il capitalismo senza volto – e <l’esplosione planetaria della tecnologia mobile, la cui conseguenza, sul piano socio-politico, sarebbe la mobilizzazione della tecnologia> (F. Duque, L’età è mobile, qual cella al vento, in “Anterem”): New Onto(techon)logy.



inquietanti svolte, incisive su quel legame sociale che non siamo stati in grado, in ogni momento della nostra storia, costruire.



Proprio, per quel che scrive Duque, New Onto(techon)logy da prestazione, - efficiente per l’uscita di ogni uomo, al di là di ogni identità (ruolo, sesso, fede…), dalla funzione assegnata dall’equilibrio di una organizzazione umana, di agente pensante delegante, - in <l’Unità di comunicazione di base (ontologico-categoriale) attraverso la e per mezzo della proliferazione di procedure in permanente modifica e alterazione (LogicflowSystems)>, l’inguaribilità della malattia sociale.
Franco Riccio

mercoledì 5 novembre 2014

TERZO SOLILOQUIO


Parlarne sul serio.
Il problema per me / ricezione tribolata, poiché in essa si dispiega e si consuma  il  mio stesso agire pensante nell’atto esperiente / asserto che sta per me da inquietante vigilanza nel riflettere l’irrisolto avvizzito nella comunione del nostro vivere la temporanea quotidianità / riflettere nel rifletterlo, affinché non sia già uno scivolare verso quel pensiero della <gerarchia violenta>, in forza del quale la mia intenzionale dicibilità senza timbri si lascia comprendere nel timbro dell’opposizione binaria del pensiero metafisico (Derrida, Posizioni) o, per dirla con Adorno (Metacritica), secondo quella universalità dei pensieri, sviluppata dalla logica discorsiva.

Parlare sul serio non è dipendente da una particolare disciplina; non è, pertanto, una diatriba di ordine filosofico o biologico o psicologico o, in senso stretto, linguistico-grammaticale, anche se in essi bisogna transitare: è si una questione teorica, che per me si pone come una decisione di scelta, ma è anche una questione/decisione configurante il vivere comunitario la nostra quotidianità / il vivere il nostro agire pensante con deliberata onestà intellettuale; il che sottintende un comportamento pensante con <un pensiero aperto (che) punta oltre se stesso…prende posizione come una configurazione della prassi (non per mera obbedienza (ma) per amore della prassi (Adorno, Rassegnazione) / un comportamento pensante, pertanto che <contiene in sé il bisogno, e in primo luogo l’affanno (Adorno, Dialettica negativa) / un comportamento, quindi, spinto <solo da una forza in (esso) attiva, che lotta, stacca e divide e in ogni ora buona da un sempre accresciuto sentimento della vita (Nietzsche, Considerazioni inattuali II) / forza che effettua e produce <le operazioni reali del desiderio: prelevare, staccare, “restare” (Deleuze/Guattari, L’anti Edipo).

Indicazioni perdute, impolverate nei vari ripiani di biblioteche deserte / perdute per una dimenticanza strategica.

Eppure, tale comportamento pensante lo possediamo nelle nostre potenzialità, in grado di cambiare le nostre forme di interazione con l’ambiente, se è stato capace  di sviluppare una capacità linguistica, oggi informatica, diverse dal nostro stesso codice genetico (J. Monod, Il caso e la necessità).

Parlarne sul serio, per me, riguarda l’irrisolto, frutto della dimenticanza, configurativo di un nostro agire pensante che ha trasvalutato quel legame espresso da un vagito, che ci rende uguali nella diversità, in vincolo normativo tra stranieri, in una strategia di relazioni di potere, discriminanti, nell’<io so, tu no>, governanti e governati: l’irrisolto, il quale non è che una appropriazione di un diritto, mimesi di una deità esiliata (Adorno) / quindi, renderlo esplicativo nel <gesto che rompe questo silenzio>, non <primordiale> (M. Heidegger, Lettera sull’umanesimo), ma genealogia di una cesura, mimesi di una deità esiliata
/ tale irrisolto per predazione di un diritto è diventato la radice rizomatica dell’organizzazzione del nostro agire pensante nel proporsi referente regolativo, in metamorfosi stagionale, del vivere il ventaglio e la gestione dei nostri bisogni che vanno dalla sessualità al credo religioso; referente, il quale stando, ispirandomi a Derrida (citato), <più alto> di un altro, in quanto propositivo convincente, anche in tonalità dissonante, riproduce la <reiterazione della ragnatela> (Prigogine, Da l’essere al divenire), secondo il tracciato, diseguale nei binari di percorribilità, di una indurita mentalità, la quale è sociale in quanto individuale ed è tale in quanto sociale, forma di una terra esiliata (ibidem) -  e, nel linguaggio poetico di Edmond Jabès, quel legame sociale, in deterioramento in forza del <prezzo> (Habermas), viene a leggersi, per me, vincolo che rende l’uomo straniero nel suo luogo natio: <non ho mai saputo dove mi trovavo>, a tal punto da rispecchiarsi straniero nell’altro, in quanto l’altro <mi richiama alla mia estranietà> (Il libro della sovversione non sospetta).

Parlarne sul serio! e gli interrogati cingono il mio riflettere di spinose perplessità miste: di diffidenza, ripeto, verso me stesso di riproporre il mio dicibile, educato nella tonalità di quel comportamento enunciativo, progettato e proiettato a salvaguardare l’oggettività del mio dire, in quanto <più alto> di altri, da Aristotele in De interpretation; Aristotele vivo in cangiante attualità attraverso l’erranza del linguaggio e il nomadismo dei concetti, nel tenere salda la funzione normativa dell’intenzionato, confezionato dal programmatore di turno / attualizzazione, quindi, non ritorno, ma un perpetuo rinnovarsi in relazione all’emergere di nuove condizioni materiali di esistenza in sospensione di equilibrio.

Sta proprio nella discontinuità il problema su cui riflettere, interrogandoci sul serio intorno al suo mantenersi in vita come condizione determinante l’equilibrio del legame configurativo di un sociale che, nella crisi, proietta l’indice della svolta.

È palpabile, in quel problema l’eterna incoerenza tra un progresso sempre più innovativo e un legame sociale sempre più in deterioramento nel segno della redenzione; palpabile, ovviamente, fuori dalla cecità di ogni “credo”, <teodicea storiosofica>, per dirla con i francofortesi, che rende immortale il canto di Saffo al divino logos di Eraclito, se, trasgrediamo tutte le grammatiche, e identifichiamo quel divino nel segno ammaliante inciso in ogni oggettivazione dei nostri pensieri soggettivi, - figuriamoci poi se è espresso dal “profeta di turno (filosofo, scienziato, politico, religioso, per non parlare dell’intellettuale erudito): quel segno <costringe al suo volere> / riverbera nell’acquiescenza quel <fuoco, (per il quale) nulla più vedono gli occhi, possente un rombo stordisce le orecchie> / quel canto riecheggia in Adorno nella denuncia della società ׀ per me, del legame sociale, attraverso il quale viene a configurarsi quella che, per cultura, chiamiamo società׀  fondata sullo scambio vitalizzato, oggi, in valore d’uso; valore, il quale <spinge i suoi figli a inseguire instancabilmente degli scopi, a vivere ciecamente mirando ad essi, consumandosi gli occhi a forza di fissare il vantaggio ׀ vantaggio: il prezzo per Habermas ׀ che cercano di acchiappare, senza guardare né a destra né a sinistra> / <oggi non c’è più quasi teoria, e l’ideologia per così dire risuona dagli ingranaggi dell’inevitabile prassi> (Prismi) / vantaggio: fertilizzante  macchinico in gravidanza permanente della corruzione, delle varie forme organizzative e non di criminalità, non esclusa la mafia: malattia del legame sociale in inquietante disattenzione dai professionisti impegnati, lodevolmente, nella lotta a divellere i relativi fenomeni, dalla radice carcinoma del legame sociale, richiedente il bisturi / nel vantaggio, nel pro, peculiarmente nel ventaglio delle loro forme di attuazione, si annida, per dirla con Adorno (Minima moralia), <il virus regressivo, il male soggettivo, sepolto nell’individuo>. Ogni intervento esterno è si la salute, ma è una salute che si rivela mortale, se non si estirpa la radice che li riproduce in differenti strategie a vari livelli e all’interno dell’organizzazione di quel legame che istruisce la struttura di quella che definiamo, ribadisco, la società; il teatro degli scambi energetici, attraverso i quali il legame subisce le sue alterazione, assumendo in sé <la malattia di tutti i singoli>; malattia, la cui propagazione virale, che mantiene la memoria della sua origine, trasfigura il legame di mutua azione, dissociando gli individui, rendendoli funzionali, per il mantenimento e sviluppo di una particolare forma di organizzazione sociale, sia: reputandoli il <sostrato biologico> (ibidem) di quella forma di organizzazione umana, provvedendo <all’aggiunta di nuovi individui per mezzo della riproduzione> (A.I. Hallowell, 1953, Culture, personalità, and society); sia attraverso <modi e mezzi di strutturare la psiche dell’individuo, così da indurlo ad agire in certe prevedibili manieri (ibidem) e, di conseguenza, rendendolo <la forma riflessa> (Adorno, Minima Moralia) di quella organizzazione.

Condividendo con Foucault, ogni discontinuità è portatrice di nuovi problemi, di emergenze dalle svolte decostruttive delle discriminanti del passato, ma, vissute nella loro adeguazione a quel segno, garante del loro equilibrio raggiunto o da raggiungere / discontinuità, oggi, da noi vissuta nella <sfiducia nella manifestazione charnelle del linguaggio che nega radicalmente dall’interno del suo manifestarsi la trasparenza del pensiero al pensiero stesso, cioè la comunicazione più chiara e più razionale possibile> (René Vinςon, citato) / concordando con Adorno, vissuta, subendo, come nel passato, il presente ricco di inventive  – io scrivo, e con la velocità della luce, il mio scritto va letto da persone dislocate a chilometri di distanza – nell’accettazione della reificazione, effetto di quella intelaiatura mentale, intessuta alla parte più intima della costituzione del soggetto, dalla quale, per me, dipende quella disciplina del corpo, descritta da Foucault in L’uso dei piaceri e in La cura di sé, attualizzando la logica della verità in logica della norma.

Nelle disgiunzioni configurative attraverso le quali il dispiegarsi accidentato di quel legame connotativo che ci caratterizza, nella atipicità della nostra singolarità, individui sociali, in quanto agenti pensanti, i quali fan tutt’uno col divenire dell’esperienza, la quale si realizza con noi e attraverso noi,  è  possibile riconoscere la serie delle cicatrici, retaggi di una mutazione genealogica databile di un agire pensante che si dispiega in fenomenologica distinzione anatomica delle facoltà costitutive del situazionarci negli spazi di vivibilità di nostra costruzione.



 Allora è vitale addentrarsi in quelle cicatrici che rendono invariato il disuguale spazializzarsi temporaliazzandosi (I. Prigogine, Dall’essere al divenire e, con G. Nicolis, La complessità), del corso configurativo del nostro legame sociale, sempre più statalizzato /  riflettere riflettendoli in noi stessi senza retorica olistica / andare in profondità e rendersi consapevoli del rapporto di reversibilità tra meccanismi istituzionali e humor mentale  delle formazioni concorrenziali alla loro gestione 
Franco Riccio

sabato 1 novembre 2014

SECONDO SOLILOQUIO


Riprendere la frase di Habermas, referente per il mio agire pensante / circoscrivere l’espressione legame / investigarne l’alterazione snaturante – il problema per me, esternato a riflessione comparativa per una interattiva comunicatività affiliativa ad annetterlo nostro / il legame: il problema: il nostro, coinvolgente, in una fisiologica patologia, il costume di vivere la nostra esistenza nella relativa costruzione di spazi che la rendono possibile.

Un problema geminazione di problemi con i loro interrogativi in sospensione prima del loro indurirsi, per dirla con Isabelle Stengers, in Concetti nomadi, nella cattura della loro determinazione / problemi e interrogativi, genealogia di una sincope dell’agire sociale / sincope, il luogo, facendo mio, in arbitrio, un rilievo di René Vinçon, in Ermeneutica teoria e pratica, <dove il linguaggio stormisce, fa un rumore tale che è difficile individuare le singole fonti: un fruscio generalizzato domina come parodia della voce unitaria del Senso. Appunto: tutti parlano nello stesso tempo e non si capisce più niente>.

Io mallevadore del <rumore insopportabile del concerto delle voci mescolate> (ibidem) / voce a distanza ravvicinata con le altre, in quanto la flessione politica e teorica, intenzionalmente atonale, pratica la capacità comunicativa all’interno della normativa non linguistica di organizzazione di un dicibile, referente paradigmatico dell’azione umana, - e <ciò che potrebbe aiutare il soggetto a uscire dalla prigionia di se stesso> viene a ricondursi <subito entro la chiostra del noto> (Adorno, Metacritica).

Io sono il risultato di una educabilità ad attualizzare quella tendenziale attitudine di predisposizione mentale, stampo dell’uomo occidentale, nell’atto del traslare l’intenzione del dire ciò che è problema per me in messaggio fissato sia dalla parola che dalla scrittura, a circoscrivere le coordinate configurative delle contingenze associative del mio problema soggettivo in un legame non linguistico organizzativo della polisemia delle singole mie espressioni, onde tenere salda l’unità del mio intenzionato, e così trasformare il problema per me in problema oggettivo e ottenere il suo riconoscimento o la sua smentita di oggettività.

Corporatura mentale, indipendente dai meccanismi e ingranaggi del nostro cervello / l’irrudicibilità del suo costrutto in criterio preposizionale al fattuale costituisce una necessità per non cadere in un relativismo culturale, alterante l’equilibrio stabile, indispensabile a una società civile per non scivolare nel dispotismo e, inoltre, consoliderebbe l’eterno conflitto fra individualismo e collettivismo; tra, quello che Adorno, in Metacritica, descrive il <pensare ut sic e il pensare logico>

eppure quella denuncia, recepita nelle frase di Habermas, brucia.

<nella fase attuale si è trasformata in un segno caratteristico dell’esistenza. Ciascuno è abbandonato al suo cieco caso. Da qui questa nostalgia di perfetta e consumata giustizia> (Horkheimer, La nostalgia del Totalmente Altro).

<la necessità di mascherare ׀ forse l’altro ieri / oggi smascherare in mistica insurrezione di mani pulitee il risultato non cambia ׀ questo fatto di importanza decisiva ׀ emergenzeieri, oggi incomparabili, inscritte nel medesimo rigo: il prezzo”, il quale, nella implicazione analitica dei suoi segni e delle sue significazioni, in una riflessione genealogica, indurisce il retaggio ׀ determina tutta una sfera di ipocrisia, che non solo si estende ai rapporti internazionali, ma invade anche i rapporti più privati, determina una diminuzione delle aspirazioni culturali…, un abbrutimento della vita pubblica e privata, così che alla miseria materiale si associa quella intellettuale> (ibidem).

Frase in venatura defluente di pessimismo / coralità di voci “senza “corpi” / tonalità <istituita> su cui il critico costruisce l’intenzione testuale dell’autore, contestualizzandone la qualità del suo dicibile / memoria immemore: la “dimenticanza”: denuncia di Adorno, la quale nel risveglio genealogico, impronta di Nietsche, di Foucault, si fa, notevolmente oggi, indispensabile nella confusione dei linguaggi, nella diatriba di un riformismo amministrativo e nella “distrazione” della tecnologia mobile / si propone memore stimolante a ritrovare la trafila della nostra storia, complessa per gli accidenti, le sue minime deviazioni, i suoi rovesciamenti completi (Microfisica del potere).

Risveglio di una presa di coscienza della radice di <quel che conosciamo e di quel che siamo>, rintracciabile nelle esteriorità delle accidentalità del legame attraverso il quale prende storia il corpo sociale, costituendosi, spostando l’accento di Foucault, <superficie d’iscrizione degli avvenimenti>. La sua evasione ripristina <il vuoto tautologico delle sacrosante determinazioni supreme>, sacrificando <razionalità e critica, in convivenza oggettiva con una società che si dirige verso le tenebre del dominio immediato> (Adorno, Metacritica).

Sacrosante determinazioni supreme, voci “senza corpi” che si inscrivono sul nostro quotidiano vivere nel segno della redenzione/perché questa generazione chiede un segno? Interrogativo in istanza sospensiva di Cristo (Matteo, 9.24), quasi a volerne registrare l’atemporalità/segno, oggi, profetizzato, con enfasi ciarliera, da improvvisati veggenti, la cui diversità risiede nell’abito del loro ruolo sociale, perché convergenti nella manovra del migliore offerente, installante, nel nostro subire la crisi, la seduzione/sfilano in passerella negli schermi televisivi di noi audienti impotenti, instillandoci il loro seducente segno: politici professionisti, magistrati, comici, giornalisti, sindacalisti, professionisti della criminalità organizzata, improvvisati saccenti opinionisti – e i nostri timpani si dispongono in cassa di risonanza di una sciorinante mistica, includente: lavoro, povertà, i giovani, i vecchi, le donne, la pace; mistica, della quale non è immune la chiesa di papa Francesco/e noi eterni confinati appendici di un processo sociale in accettazione della nostra reificazione, la quale attualizza, nella continua demitizzazione, l’esproprio della connaturata socialità, comunicata da quel vagito, col quale annunciamo la nostra presenza: in quel vagito, il sigillo della nostra individualità sociale; il legame che l’<uomo leonino, predatore> (Nietzsche) ha mistificato in vincolo normativo, snaturandoci in soggetti normativi.

mordente adorniano, motivo di riflessione per chi, come me, l’inquietudine di incedere su <suole nuove> (Nietsche) è scoraggiata dal perpetuarsi nell’odierno nostro vivere della sua <trasformazione nella ideologia della reificazione, letteralmente in una maschera mortuaria…, e ciò (perché) nell’autentico senso di falsa coscienza non ci sono più ideologie, ma unicamente la réclame del mondo attraverso la sua duplicazione, e la menzogna provocatoria ingiunge il silenzio…sulla questione della dipendenza causale della cultura> (Prismi).

Il silenzio ingiuntivo sulla dipendenza causale della cultura, e schegge di pensieri in libertà mi distolgono dalla riflessione in atto. Risveglio di memoria. Quel silenzio ha scritto la storia della duplicazione delle articolazioni temporali di quel legame di integrazione né affettiva né razionale, né un apriore né un aposteriore, ma parte integrante della nostra costituzione individuale; duplicazione, di conseguenza, della nostra stessa coscienza costituente, accettando le variazioni storiche della duplicazione – strumento della normalizzazione, dell’identificazione degli individui a standards sociocompartimentali diversificati – per assicurarci un migliore rendimento. Il suo radicamento in attualità costituisce una tara sul legame sociale in quanto altera la costituzione degli stessi individui nella doppiezza del loro attivarsi: agenti pensanti/agenti operativi.
Da qui, per me, ׀ astraendo tale riflessione dalla sua complessa genealogia, sulla quale, penso, di occuparmene in seguito ׀ viene a generarsi, sulla base della pertinenza, ׀ un concetto funzione, il cui effetto solvente <impedisce di pensare circolarmente (Lévy-Leblond, L’Esprit de sel, 1981) ׀ la separazione tra cultura e società, determinante nella separazione tra teoria e prassi, originante sia la distinzione tra sovrastruttura e struttura sia il divario tra società politica e società civile.

Quel silenzio, denunciato da Adorno, turba la mia riflessione in esternazione. Il suo indurimento nella nostra mentalità la rende inutile e fuori luogo in questo momento di crisi economica e politica, opera strategica di un capitalismo sempre più camaleontico. Trasforma quella che voleva essere una voce dissonante, in una oziosità di un intellettuale a tempo libero.
Non si intravede apertura di orizzonti nuovi. Si procede, per dirla con Nietzsche, su suole vecchie, non solo in Italia, ma nel mondo, con due aggravanti: egemonia cinese e la trasformazione dell’antagonismo occidente e oriente da razziale in lotta religiosa.

ma io sono un coriaceo spudorato, e dico, con Horkheimier: bisogna <riprendere a parlare veramente e sul serio> (citato).
Franco Riccio