Parlarne sul
serio.
Il problema
per me / ricezione tribolata, poiché in essa si dispiega e si
consuma il mio stesso agire pensante nell’atto
esperiente / asserto che sta per me da inquietante vigilanza nel
riflettere l’irrisolto avvizzito nella comunione del nostro
vivere la temporanea quotidianità / riflettere nel rifletterlo,
affinché non sia già uno scivolare verso quel pensiero della
<gerarchia violenta>, in forza del quale la mia intenzionale
dicibilità senza timbri si lascia comprendere nel timbro
dell’opposizione binaria del pensiero metafisico (Derrida,
Posizioni) o, per dirla con Adorno (Metacritica),
secondo quella universalità dei pensieri, sviluppata dalla logica
discorsiva.
Parlare sul
serio non è dipendente da una particolare disciplina; non è,
pertanto, una diatriba di ordine filosofico o biologico o psicologico
o, in senso stretto, linguistico-grammaticale, anche se in essi
bisogna transitare: è si una questione teorica, che per me si
pone come una decisione di scelta, ma è anche una
questione/decisione configurante il vivere comunitario la nostra
quotidianità / il vivere il nostro agire pensante con
deliberata onestà intellettuale; il che sottintende un
comportamento pensante con <un pensiero aperto (che) punta
oltre se stesso…prende posizione come una configurazione della
prassi (non per mera obbedienza (ma) per amore della prassi (Adorno,
Rassegnazione) / un comportamento
pensante, pertanto che <contiene in sé il bisogno, e in primo
luogo l’affanno (Adorno, Dialettica negativa) / un
comportamento, quindi, spinto <solo da una forza in (esso)
attiva, che lotta, stacca e divide e in ogni ora buona da un sempre
accresciuto sentimento della vita (Nietzsche, Considerazioni
inattuali II) / forza che effettua e produce <le operazioni
reali del desiderio: prelevare, staccare, “restare”
(Deleuze/Guattari, L’anti Edipo).
Indicazioni
perdute, impolverate nei vari ripiani di biblioteche deserte /
perdute per una dimenticanza strategica.
Eppure, tale
comportamento pensante lo possediamo nelle nostre potenzialità, in
grado di cambiare le nostre forme di interazione con l’ambiente, se
è stato capace di sviluppare una capacità linguistica, oggi
informatica, diverse dal nostro stesso codice genetico (J. Monod, Il
caso e la necessità).
Parlarne
sul serio, per me, riguarda l’irrisolto, frutto della
dimenticanza, configurativo di un nostro agire pensante
che ha trasvalutato quel legame espresso da un vagito,
che ci rende uguali nella diversità, in vincolo normativo
tra stranieri, in una strategia di relazioni di potere,
discriminanti, nell’<io so, tu no>, governanti e governati:
l’irrisolto, il quale non è che una appropriazione di un
diritto, mimesi di una deità esiliata (Adorno) /
quindi, renderlo esplicativo nel <gesto che rompe questo
silenzio>, non <primordiale> (M. Heidegger, Lettera
sull’umanesimo), ma genealogia di una cesura, mimesi di
una deità esiliata
/ tale
irrisolto per predazione di un diritto è diventato la
radice rizomatica dell’organizzazzione del nostro agire
pensante nel proporsi referente regolativo, in metamorfosi
stagionale, del vivere il ventaglio e la gestione dei nostri bisogni
che vanno dalla sessualità al credo religioso; referente, il
quale stando, ispirandomi a Derrida (citato), <più alto>
di un altro, in quanto propositivo convincente, anche in tonalità
dissonante, riproduce la <reiterazione della ragnatela>
(Prigogine, Da l’essere al divenire), secondo il tracciato,
diseguale nei binari di percorribilità, di una indurita
mentalità, la quale è sociale in quanto individuale
ed è tale in quanto sociale, forma di una terra
esiliata (ibidem) - e, nel linguaggio poetico di
Edmond Jabès, quel legame sociale, in deterioramento in forza
del <prezzo> (Habermas), viene a leggersi, per me,
vincolo che rende l’uomo straniero nel suo luogo natio: <non ho
mai saputo dove mi trovavo>, a tal punto da rispecchiarsi
straniero nell’altro, in quanto l’altro <mi
richiama alla mia estranietà> (Il libro della sovversione non
sospetta).
Parlarne sul
serio! e gli interrogati cingono il mio riflettere di spinose
perplessità miste: di diffidenza, ripeto, verso me stesso di
riproporre il mio dicibile, educato nella tonalità di
quel comportamento enunciativo, progettato e proiettato a
salvaguardare l’oggettività del mio dire, in quanto <più
alto> di altri, da Aristotele in De interpretation;
Aristotele vivo in cangiante attualità attraverso l’erranza
del linguaggio e il nomadismo dei concetti, nel tenere salda la
funzione normativa dell’intenzionato, confezionato dal
programmatore di turno / attualizzazione, quindi, non ritorno,
ma un perpetuo rinnovarsi in relazione all’emergere di nuove
condizioni materiali di esistenza in sospensione di equilibrio.
Sta proprio
nella discontinuità il problema su cui riflettere,
interrogandoci sul serio intorno al suo mantenersi in vita
come condizione determinante l’equilibrio del legame
configurativo di un sociale che, nella crisi, proietta l’indice
della svolta.
È palpabile,
in quel problema
l’eterna
incoerenza tra un progresso sempre più innovativo e un legame
sociale
sempre più in deterioramento nel segno
della
redenzione;
palpabile, ovviamente, fuori dalla cecità di ogni “credo”,
<teodicea storiosofica>, per dirla con i francofortesi, che
rende immortale il canto di Saffo al divino
logos di Eraclito,
se, trasgrediamo tutte le grammatiche,
e identifichiamo quel divino
nel segno
ammaliante inciso
in ogni oggettivazione
dei nostri pensieri soggettivi,
- figuriamoci poi se è espresso dal “profeta di turno (filosofo,
scienziato, politico, religioso, per non parlare dell’intellettuale
erudito): quel segno
<costringe
al suo volere> / riverbera nell’acquiescenza quel <fuoco,
(per il quale) nulla più vedono gli occhi, possente un rombo
stordisce le orecchie> / quel canto riecheggia in Adorno nella
denuncia della società ׀
per
me,
del legame
sociale,
attraverso il quale viene a configurarsi quella che, per cultura,
chiamiamo società׀
fondata
sullo scambio
vitalizzato,
oggi, in valore
d’uso;
valore,
il quale <spinge i suoi figli a inseguire instancabilmente degli
scopi, a vivere ciecamente mirando ad essi, consumandosi gli occhi a
forza di fissare il vantaggio ׀
vantaggio:
il prezzo
per Habermas ׀
che
cercano di acchiappare, senza guardare né a destra né a sinistra>
/ <oggi non c’è più quasi teoria, e l’ideologia per così
dire risuona dagli ingranaggi dell’inevitabile prassi> (Prismi)
/ vantaggio:
fertilizzante macchinico in gravidanza permanente della
corruzione, delle varie forme organizzative e non di criminalità,
non esclusa la mafia: malattia
del legame sociale
in inquietante disattenzione dai professionisti impegnati,
lodevolmente, nella lotta a divellere i relativi fenomeni, dalla
radice carcinoma del legame sociale, richiedente il bisturi / nel
vantaggio,
nel
pro,
peculiarmente nel ventaglio delle loro forme di attuazione, si
annida, per dirla con Adorno (Minima
moralia),
<il virus regressivo, il male soggettivo, sepolto nell’individuo>.
Ogni intervento esterno è si la salute,
ma è una salute
che
si rivela mortale,
se non si estirpa la radice
che
li riproduce in differenti strategie a vari livelli e all’interno
dell’organizzazione di quel legame
che istruisce la struttura di quella che definiamo, ribadisco, la
società;
il teatro degli scambi energetici, attraverso i quali il
legame
subisce le sue alterazione, assumendo in sé <la malattia di tutti
i singoli>; malattia,
la cui propagazione virale,
che mantiene la memoria della sua origine, trasfigura il legame
di mutua azione,
dissociando gli individui, rendendoli funzionali, per il mantenimento
e sviluppo di una particolare forma di organizzazione sociale, sia:
reputandoli il <sostrato biologico> (ibidem)
di quella forma di organizzazione umana, provvedendo <all’aggiunta
di nuovi individui per mezzo della riproduzione> (A.I. Hallowell,
1953, Culture,
personalità, and society);
sia attraverso <modi e mezzi di strutturare la psiche
dell’individuo, così da indurlo ad agire in certe prevedibili
manieri (ibidem)
e, di conseguenza, rendendolo <la forma riflessa> (Adorno,
Minima
Moralia)
di quella organizzazione.
Condividendo
con Foucault, ogni discontinuità è portatrice di nuovi problemi, di
emergenze dalle svolte decostruttive delle discriminanti del passato,
ma, vissute nella loro adeguazione a quel segno, garante del
loro equilibrio raggiunto o da raggiungere / discontinuità, oggi, da
noi vissuta nella <sfiducia nella manifestazione charnelle del
linguaggio che nega radicalmente dall’interno del suo manifestarsi
la trasparenza del pensiero al pensiero stesso, cioè la
comunicazione più chiara e più razionale possibile> (René
Vinςon, citato) / concordando con Adorno, vissuta, subendo,
come nel passato, il presente ricco di inventive
– io scrivo, e con la velocità della luce, il mio scritto va letto
da persone dislocate a chilometri di distanza – nell’accettazione
della reificazione, effetto di quella intelaiatura mentale,
intessuta alla parte più intima della costituzione del soggetto,
dalla quale, per me, dipende quella disciplina del corpo,
descritta da Foucault in L’uso dei piaceri e in La cura
di sé, attualizzando la logica della verità in logica
della norma.
Nelle
disgiunzioni configurative attraverso le quali il dispiegarsi
accidentato di quel legame connotativo che ci caratterizza,
nella atipicità della nostra singolarità, individui
sociali, in quanto agenti pensanti, i quali fan tutt’uno
col divenire dell’esperienza, la quale si realizza con noi e
attraverso noi, è possibile riconoscere la serie
delle cicatrici, retaggi di una mutazione genealogica databile
di un agire pensante che si dispiega in fenomenologica distinzione
anatomica delle facoltà costitutive del situazionarci negli spazi di
vivibilità di nostra costruzione.
Allora è
vitale addentrarsi in quelle cicatrici
che rendono invariato
il disuguale
spazializzarsi temporaliazzandosi (I. Prigogine, Dall’essere
al divenire
e, con G. Nicolis, La
complessità),
del corso configurativo del nostro legame
sociale,
sempre più statalizzato
/ riflettere
riflettendoli in noi stessi senza retorica olistica /
andare in profondità e rendersi consapevoli del rapporto di
reversibilità tra meccanismi istituzionali e humor
mentale delle
formazioni concorrenziali alla loro gestione
Franco
Riccio
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