mercoledì 5 novembre 2014

TERZO SOLILOQUIO


Parlarne sul serio.
Il problema per me / ricezione tribolata, poiché in essa si dispiega e si consuma  il  mio stesso agire pensante nell’atto esperiente / asserto che sta per me da inquietante vigilanza nel riflettere l’irrisolto avvizzito nella comunione del nostro vivere la temporanea quotidianità / riflettere nel rifletterlo, affinché non sia già uno scivolare verso quel pensiero della <gerarchia violenta>, in forza del quale la mia intenzionale dicibilità senza timbri si lascia comprendere nel timbro dell’opposizione binaria del pensiero metafisico (Derrida, Posizioni) o, per dirla con Adorno (Metacritica), secondo quella universalità dei pensieri, sviluppata dalla logica discorsiva.

Parlare sul serio non è dipendente da una particolare disciplina; non è, pertanto, una diatriba di ordine filosofico o biologico o psicologico o, in senso stretto, linguistico-grammaticale, anche se in essi bisogna transitare: è si una questione teorica, che per me si pone come una decisione di scelta, ma è anche una questione/decisione configurante il vivere comunitario la nostra quotidianità / il vivere il nostro agire pensante con deliberata onestà intellettuale; il che sottintende un comportamento pensante con <un pensiero aperto (che) punta oltre se stesso…prende posizione come una configurazione della prassi (non per mera obbedienza (ma) per amore della prassi (Adorno, Rassegnazione) / un comportamento pensante, pertanto che <contiene in sé il bisogno, e in primo luogo l’affanno (Adorno, Dialettica negativa) / un comportamento, quindi, spinto <solo da una forza in (esso) attiva, che lotta, stacca e divide e in ogni ora buona da un sempre accresciuto sentimento della vita (Nietzsche, Considerazioni inattuali II) / forza che effettua e produce <le operazioni reali del desiderio: prelevare, staccare, “restare” (Deleuze/Guattari, L’anti Edipo).

Indicazioni perdute, impolverate nei vari ripiani di biblioteche deserte / perdute per una dimenticanza strategica.

Eppure, tale comportamento pensante lo possediamo nelle nostre potenzialità, in grado di cambiare le nostre forme di interazione con l’ambiente, se è stato capace  di sviluppare una capacità linguistica, oggi informatica, diverse dal nostro stesso codice genetico (J. Monod, Il caso e la necessità).

Parlarne sul serio, per me, riguarda l’irrisolto, frutto della dimenticanza, configurativo di un nostro agire pensante che ha trasvalutato quel legame espresso da un vagito, che ci rende uguali nella diversità, in vincolo normativo tra stranieri, in una strategia di relazioni di potere, discriminanti, nell’<io so, tu no>, governanti e governati: l’irrisolto, il quale non è che una appropriazione di un diritto, mimesi di una deità esiliata (Adorno) / quindi, renderlo esplicativo nel <gesto che rompe questo silenzio>, non <primordiale> (M. Heidegger, Lettera sull’umanesimo), ma genealogia di una cesura, mimesi di una deità esiliata
/ tale irrisolto per predazione di un diritto è diventato la radice rizomatica dell’organizzazzione del nostro agire pensante nel proporsi referente regolativo, in metamorfosi stagionale, del vivere il ventaglio e la gestione dei nostri bisogni che vanno dalla sessualità al credo religioso; referente, il quale stando, ispirandomi a Derrida (citato), <più alto> di un altro, in quanto propositivo convincente, anche in tonalità dissonante, riproduce la <reiterazione della ragnatela> (Prigogine, Da l’essere al divenire), secondo il tracciato, diseguale nei binari di percorribilità, di una indurita mentalità, la quale è sociale in quanto individuale ed è tale in quanto sociale, forma di una terra esiliata (ibidem) -  e, nel linguaggio poetico di Edmond Jabès, quel legame sociale, in deterioramento in forza del <prezzo> (Habermas), viene a leggersi, per me, vincolo che rende l’uomo straniero nel suo luogo natio: <non ho mai saputo dove mi trovavo>, a tal punto da rispecchiarsi straniero nell’altro, in quanto l’altro <mi richiama alla mia estranietà> (Il libro della sovversione non sospetta).

Parlarne sul serio! e gli interrogati cingono il mio riflettere di spinose perplessità miste: di diffidenza, ripeto, verso me stesso di riproporre il mio dicibile, educato nella tonalità di quel comportamento enunciativo, progettato e proiettato a salvaguardare l’oggettività del mio dire, in quanto <più alto> di altri, da Aristotele in De interpretation; Aristotele vivo in cangiante attualità attraverso l’erranza del linguaggio e il nomadismo dei concetti, nel tenere salda la funzione normativa dell’intenzionato, confezionato dal programmatore di turno / attualizzazione, quindi, non ritorno, ma un perpetuo rinnovarsi in relazione all’emergere di nuove condizioni materiali di esistenza in sospensione di equilibrio.

Sta proprio nella discontinuità il problema su cui riflettere, interrogandoci sul serio intorno al suo mantenersi in vita come condizione determinante l’equilibrio del legame configurativo di un sociale che, nella crisi, proietta l’indice della svolta.

È palpabile, in quel problema l’eterna incoerenza tra un progresso sempre più innovativo e un legame sociale sempre più in deterioramento nel segno della redenzione; palpabile, ovviamente, fuori dalla cecità di ogni “credo”, <teodicea storiosofica>, per dirla con i francofortesi, che rende immortale il canto di Saffo al divino logos di Eraclito, se, trasgrediamo tutte le grammatiche, e identifichiamo quel divino nel segno ammaliante inciso in ogni oggettivazione dei nostri pensieri soggettivi, - figuriamoci poi se è espresso dal “profeta di turno (filosofo, scienziato, politico, religioso, per non parlare dell’intellettuale erudito): quel segno <costringe al suo volere> / riverbera nell’acquiescenza quel <fuoco, (per il quale) nulla più vedono gli occhi, possente un rombo stordisce le orecchie> / quel canto riecheggia in Adorno nella denuncia della società ׀ per me, del legame sociale, attraverso il quale viene a configurarsi quella che, per cultura, chiamiamo società׀  fondata sullo scambio vitalizzato, oggi, in valore d’uso; valore, il quale <spinge i suoi figli a inseguire instancabilmente degli scopi, a vivere ciecamente mirando ad essi, consumandosi gli occhi a forza di fissare il vantaggio ׀ vantaggio: il prezzo per Habermas ׀ che cercano di acchiappare, senza guardare né a destra né a sinistra> / <oggi non c’è più quasi teoria, e l’ideologia per così dire risuona dagli ingranaggi dell’inevitabile prassi> (Prismi) / vantaggio: fertilizzante  macchinico in gravidanza permanente della corruzione, delle varie forme organizzative e non di criminalità, non esclusa la mafia: malattia del legame sociale in inquietante disattenzione dai professionisti impegnati, lodevolmente, nella lotta a divellere i relativi fenomeni, dalla radice carcinoma del legame sociale, richiedente il bisturi / nel vantaggio, nel pro, peculiarmente nel ventaglio delle loro forme di attuazione, si annida, per dirla con Adorno (Minima moralia), <il virus regressivo, il male soggettivo, sepolto nell’individuo>. Ogni intervento esterno è si la salute, ma è una salute che si rivela mortale, se non si estirpa la radice che li riproduce in differenti strategie a vari livelli e all’interno dell’organizzazione di quel legame che istruisce la struttura di quella che definiamo, ribadisco, la società; il teatro degli scambi energetici, attraverso i quali il legame subisce le sue alterazione, assumendo in sé <la malattia di tutti i singoli>; malattia, la cui propagazione virale, che mantiene la memoria della sua origine, trasfigura il legame di mutua azione, dissociando gli individui, rendendoli funzionali, per il mantenimento e sviluppo di una particolare forma di organizzazione sociale, sia: reputandoli il <sostrato biologico> (ibidem) di quella forma di organizzazione umana, provvedendo <all’aggiunta di nuovi individui per mezzo della riproduzione> (A.I. Hallowell, 1953, Culture, personalità, and society); sia attraverso <modi e mezzi di strutturare la psiche dell’individuo, così da indurlo ad agire in certe prevedibili manieri (ibidem) e, di conseguenza, rendendolo <la forma riflessa> (Adorno, Minima Moralia) di quella organizzazione.

Condividendo con Foucault, ogni discontinuità è portatrice di nuovi problemi, di emergenze dalle svolte decostruttive delle discriminanti del passato, ma, vissute nella loro adeguazione a quel segno, garante del loro equilibrio raggiunto o da raggiungere / discontinuità, oggi, da noi vissuta nella <sfiducia nella manifestazione charnelle del linguaggio che nega radicalmente dall’interno del suo manifestarsi la trasparenza del pensiero al pensiero stesso, cioè la comunicazione più chiara e più razionale possibile> (René Vinςon, citato) / concordando con Adorno, vissuta, subendo, come nel passato, il presente ricco di inventive  – io scrivo, e con la velocità della luce, il mio scritto va letto da persone dislocate a chilometri di distanza – nell’accettazione della reificazione, effetto di quella intelaiatura mentale, intessuta alla parte più intima della costituzione del soggetto, dalla quale, per me, dipende quella disciplina del corpo, descritta da Foucault in L’uso dei piaceri e in La cura di sé, attualizzando la logica della verità in logica della norma.

Nelle disgiunzioni configurative attraverso le quali il dispiegarsi accidentato di quel legame connotativo che ci caratterizza, nella atipicità della nostra singolarità, individui sociali, in quanto agenti pensanti, i quali fan tutt’uno col divenire dell’esperienza, la quale si realizza con noi e attraverso noi,  è  possibile riconoscere la serie delle cicatrici, retaggi di una mutazione genealogica databile di un agire pensante che si dispiega in fenomenologica distinzione anatomica delle facoltà costitutive del situazionarci negli spazi di vivibilità di nostra costruzione.



 Allora è vitale addentrarsi in quelle cicatrici che rendono invariato il disuguale spazializzarsi temporaliazzandosi (I. Prigogine, Dall’essere al divenire e, con G. Nicolis, La complessità), del corso configurativo del nostro legame sociale, sempre più statalizzato /  riflettere riflettendoli in noi stessi senza retorica olistica / andare in profondità e rendersi consapevoli del rapporto di reversibilità tra meccanismi istituzionali e humor mentale  delle formazioni concorrenziali alla loro gestione 
Franco Riccio

Nessun commento:

Posta un commento