domenica 28 dicembre 2014

UNDICESIMO SOLILOQUIO

<Nessuna analisi è ancora in grado di penetrare fino nell’inferno dove vengono impresse le deformazioni>,

la chiusura del precedente soliloquio / iterazione intenzionale / inversione  di stile in Adorno? La domanda che mi pongo, e i miei pensieri attivano un travagliato dilemma tra la decifrazione letterale, vincolando il pensarla nella direzione del significato esclusivo e quella metaforica che si sottrae al significato privilegiato ed apre dicibilità che non si costituiscono nella forma  del dettame “grammaticale” dell’assiomatica logica.
Alla mia mente, Derrida e la dicibilità che <non dà luogo a una soluzione nella forma della dialettica speculativa> (Posizioni).

L’antica scuola dissotterra in me il punto d’appoggio accreditato: Derrida.
Il condizionamento pedagogico ombra la mia velleità dell’incondizionato – per l’appunto, Adorno in chiusura dei Minima moralia!
 
Riaccendo la mia questione nel dilemma: asserzione sostitutiva della sua solita capillarità problematizzante ogni rilievo che pone all’attenzione? Pessimismo? o un mettere in evidenza un riscontro all’interno dell’analisi, nel suo funzionamento logico, qualunque sia la sua struttura e la sua fissazione paradigmatica, una tentazione olistica, in funzione della quale la riflessione angolata, costituendo la base comunicabile del senso, non può che rendere opaca la trasparenza di quella cicatrice? Quindi, un enunciato senza equivoci di un pericolo, insito nella costruzione linguistica di ogni analisi, di uno slittamento nella sua separazione dalla contingenza dell’esperienza sociale? Apertura, pertanto di una via altra che non sia <ritorno ossessivo dell’antico>, lasciando <trasparire gli archetipi del sempre uguale>? Cammino, quindi, esplorativo di una scoperta di esperienza che <è satanica>, tale, appunto, che ogni analisi illuminante <torna a rovesciarsi in mitologia>? (intreccio asistematico di Minima moralia e Dialettica illuministica). 

Strada, forza d’urto al tentativo di chiarire in me, e di chiarirlo in esternazione, quel deterioramento del nostro rapporto sociale valutato da Habermas: la mia scelta.

Dispiegare l’inesteso che l’espressione mi suscita – è sempre un per me – può costituire un motivo di una intesa comparativa?
Una intesa, pertanto, non conflittuale, ma che lasci tralucere la problematica condizione del nostro vivere la temporalità spaziale del nostro habitat, osservata da angolazioni diverse, dalle quali si evince la complessità di quella che è la nostra questione?

Un mio dispiegare, pertanto, a tal fine, non procederà secondo la logica del conclusivo risolto, ma attraverso una pratica interrogante; cioè, una pratica operativa che dispieg hi l’inesteso in momenti problematici di riflessioni in angolazioni differenziati.
Una pratica, perciò, che attivi il suo effetto solvente in linea trasversale alla egemonia socio-culturale della pratica dell’indagine sia filosofica che scientifica ed ermeneutica e lasci fluire un pensare circolarmente, facendo mio (nostro?) il già citato rilievo di Lévy-Leblond.

I miei interrogativi

Quel pessimismo, nomea accreditata dalla critica, non è un tentativo in-urto di mettere in luce una radicata esperienza sociale, genealogicamente, aggiungerei, strategica, di ricorso al segno redentorista come paradigma dell’azione dell’uomo? Se è tale, in quel segno non viene circoscritta tutta l’esperienza di un presente storico, specchio del mondo? Quel segno non si fa mito: il mondo che è, oltre il quale è l’impenetrabile: fenomeno/noumeno?

Se navigo (sono nel clima) attraverso la storia, in versione di una genealogia, in cui all’emergenza, la quale <si produce sempre in uno stato delle forze> (Foucault), si innesta una <interazione dei fattori interni>, proprietà climatizzante la formazione di ogni individuo, e <dei fattori esterni>, gli input della contingenza, per cui ogni condotta diviene un’assimilazione del dato a schemi anteriori e allo stesso tempo accomodamento di tali schemi alla situazione attuale> (Piaget), non approdo in un porto in cui quell’impenetrabilità possa avere, non un indicibile (Derrida), ma un dicibile, sfuggente all’opposizione binaria?

 Quel dicibile, allora, consapevole di “abitare” in quell’opposizione, in quanto quell’impenetrabile, sul piano filosofico e scientifico si propone problema del limite, ׀ un tema da questionare separatamente per le sue svolte tematiche, concentranti problemi, quali il tempo, in figurazione: ciclica/lineare; immanenza/trascendenza; verità di ragione e verità di fatto; il processo di formalizzazione del linguaggio; il mito, e, pertanto, coinvolgenti filosofia, scienza, linguistica e anche teologia ׀ di fatto, non rileva un comportamento individuale e sociale?

esumare dal quel termine un implicito significato, in quanto espressione di una reciproca convertibilità di un processo di reificazione che è individuale in quanto è sociale  ed è tale in quanto individuale, è una sgrammaticatura?

non mettere in luce un processo di vita vissuta e vivente, per coglierne le “deformazioni impresse” perché a decidere sulla possibilità del sussistere o no di un rilievo debba essere, in ultima analisi, una proposizione, non è  un attualizzare una mitologia del limite?

Una proposizione di vita vissuta, fissata, non più dalla parola, ma dal linguaggio scritto che si fa testo, diventata la nostra una civiltà della scrittura, che, per l’erranza del linguaggio, si riapre alla ridescrizione, non riproduce, su basi diverse, la vita come argomento? Nietzsche, La gaia scienza, e Ricoeur, Che cosa è un testo, a confronto.

proprio oggi? Un oggi demitizzante ogni limite dal linguaggio documentaristico di una penetrante anatomizzazione, rivelata al nostro sguardo: gli “angoli oscuri” della terra, dell’universo intero, del nostro corpo si illuminano di una luce, inedita ai nostri predecessori /
non ci auto-definiamo post-moderni, quindi, usciti dalla minorità? scienza, medicina non più discipline ostiche ad un pubblico sempre più vasto; democrazia, conquistata con le lotte sociali, imperante: sia sulle barbarie naziste, fasciste, staliniste; sia sulla discriminante violazione dei diritti umani

 tuttavia, una persistente “deformazione” manifesta nel <mondo amministrato>, non evidenzia una neoplasia, un tumore in neoformazione?

il nostro <inferno>, una metafora, senza dubbio, ma, non è un figurato vivido di quello che è il diabolico macchinismo di edipizzazione, il quale, attraverso tutte le sue variazioni e modalità, risaltanti dai descrittivi di Freud, Lacan,  Deleuze, Guattari, conia il criterio di discernimento del nostro comportamento? Comportamento, il quale, senza lasciarsi ridurre ad un unico modello, non costituisce la tensione riproduttiva di una repressione interminabile? Una tensione, pertanto, “corroborante” il nostro comportamento e il rapporto di convivenza e tale che le ragioni dell’uno costituiscono uno svantaggio per l’altro?

Le parole non sono segni in formazione discorsiva di connotazione di uno “stato di fatto”, mediata dall’angolazione paradigmatica? quindi, il rischio di inafferrabilità alla trasparenza di pensiero dello “stato di fatto” non è plausibile, soprattutto se lo “stato di fatto”, va osservato nel suo macchinoso e perverso riprodursi? Non è verificabile, oggi, l’usura di una loro pretesa corrispondenza con una esperienza che noi da “laici” riscontriamo trasversalizzata, a vari livelli, da processi dissipativi, provocatori di rotture di equilibri consolidati, descritti da Prigogine, l’”accreditato”? Non siamo passati dall’approccio cinetico a quella informatico, intercalato da   una “tentata” autosufficienza del linguaggio, messa in discussione da Wittgenstein nel Tractatus e circoscritta nella formalizzazione del linguaggio, garante, non della sua concordanza o no con la realtà, ma della sua correttezza discorsiva?

eppure, quel “protocollo” reificante si autoriproduce in contagio mentale nel nostro comportamento da individui sani, e nel nostro spazio di vivibilità, da noi istituzionalizzato, per consequenziale ossessione di garanzia super-individuale, nella sfuggente  dimenticanza della nostra storia.

ho sentito spesso voci di vittoria di una democrazia diretta dai fruitori della rete, e la mia speranza diventa come il <fiore senza profumo> di Mallarmé: se c’è un vincitore, c’è un vinto!

Perché la potenzialità dinamica di quello che di fatto è uno strumento operativo, la cui pluralità delle prestazioni apre moduli di interventi in alterazioni che rimettono in gioco risultati acquisiti, nelle mani dell’uomo si trasforma in una fissazione in ordine regolativo del configurato acquisito? Il mondo è: il mito.

Nostalgia dell’antica logica dell’essenza? Il rilievo di Wittgenstein in Ricerche filosofiche riscontrato in tutte le scienze? La stregoneria ontologica, già citata, di Adorno?

Gli interrogativi strozzano la mia parola / l’impronta sistematico-conclusiva in ogni immagine prospettica di innovazione mette in gioco queste mie stesse esternazioni / l’esca, pedagogicamente da me assimilata, del risultato dicibile in criterio oggettivante la sua soggettività, anche nella forma della negatività – la sostanza non cambia – rende problematico il mio sforzo / consapevole del condizionamento e nello stesso tempo della complicità del tacere.
Non mi rimane altra scelta, se non quella di procedere per interrogativi / solo interrogativi / altri ancora

/ interrogativi in sospensione di attesa all’ascolto / interrogativi sull’eterogeneità dei sistemi esplicativi, i quali, per procedura logica argomentativa, da tempo accreditata e persistente nelle loro variabili climatiche, hanno mirato alla coerenza e all’esaustività delle loro definizioni, disattivando la memoria storica / il campanello d’allarme di Adorno: quelle deformazioni emergono sempre / cicatrici, segni permanenti nel nostro agire pensante che, nella dimenticanza, rimbalzano <alla luce come allegria, aperture, affabilità, felice adattamento all’inevitabile e semplice e schietto senso pratico> (conclusione della frase).

Il  ghigno,  che Nietzsche mette sulle labbra del nano (spirito di gravità) nel dialogo con Zarathustra (pensiero abissale) - <ogni pietra scagliata deve cadere!> -, non è l’esemplificazione simbolica di quella reificazione dimentica e vissuta con <schietto senso pratico, rilevato da Adorno? Non esprime una tara nel nostro comportamento tale che ci spinge ad  un agire pensante con quel pragmatismo burocratico, mirante al vantaggio



Tronco gli interrogativi, per riprenderli nel prossimo / mi aggredisce la stanchezza / il suono della campana della chiesa vicina mi ricorda che oggi è il natale / credenti e non credenti tutti a tavola, forse con una lacrima per i lazzari / spiritualità contaminata dallo smog del mercato / credenti e non credenti in <felice adattamento all’inevitabile e semplice e schietto senso pratico>.
Franco Riccio

DECIMO SOLILOQUIO

Il nodo problematico – il nostro navigato vivere da individui senza nome lo spazio di vivibilità interrelazione in estenuante debilitazione della propria tempra e nell’abbindolamento nel segno prospettico, a più voci, una riabilitazione nel disturbo tipico della schizofrenia: contaminazione nel segno del contagio inestinguibile del leonino prendersi il diritto di avocare a sé la normativa dell’agire pensante di ogni uomo e del suo spazio vitale della sua interdipendente interrelazione con i suoi simili,da parte di uomini in formazione egemone delegata; acclimatazione alla dipendenza millenaria di ogni uomo, a un diverso grado di profondità, attraverso il processo interattivo dell’assimilazione ai propri schemi, formativi della sua personalità, e dell’accomodamento di tali schemi alla situazione attuale (Piaget).

Nodo scorsoio, il filo che mantiene in forza la nostra schizofrenia di essere nello stesso tempo sia <il sostrato biologico> e <la forma riflessa del processo sociale> che, allo stesso modo, <un soggetto pensante…che non si lascia inquadrare a priori nel sistema eteronomo dei compiti stabiliti dall’alto> (Adorno, Minima moralia) / filo, in variabile spiegatura climatica, che scorre attraversoretaggi di un virus epidemico, il quale fa di ogni variabile storica il centro di una nuova propagazione (Stengers, Concetti nomadi).

Necessità imperativa di risveglio della nostra memoria storica, radice rizomatica, forgiante l’impronta culturale di noi uomini occidentali: dissotterrare dai vari centri di propagazione di quel virus, l’indice genealogico che ha offuscato le nostre schiarite primaverili: rilevarli proprio oggiun per me, che, nel rifletterli, nel lavoro stringato e concitato dell’articolazione del mio linguaggio, riemerge con forza e si presenta in continuazione in modo irriducibile / implosione comunicativa di ascolto sodalizio nelle diverse angolature /sperimentare un dipanare quel nodo obliato, in interazione riflettente, le configurazioni frattali del suo prendere storia.

Il nostro vissuto e vivente sotto il paradigma egemonico socio-culturale-politico: ieri, oggi nel marasma conflittuale di una sua predazione nel segno della redenzione.

Parlarne fuori da quel timbro, e parlarne sul serio, schivi da ogni assiomatica teorica e redentistica, nel momento travagliato di una lotta per vivere l’immediato senza futuro, suona come una bestemmia contro la povertà dilagante e l’immisurato sodalizio della corruzione.

Mi dichiaro reo confesso / proseguo nel mio lavoro di esplorazione le radici delle varie configurazione storiche, esternandoli per ascoltare, anche se esse rimarranno voci nel deserto / e farò che esse generano <livore, come la musica in Schönberg, la quale, più essa dà agli ascoltatori, e meno gli offre a un tempo: perché essa esige che l’ascoltatore segua spontaneamente il divenire compositivo del suo moto interiore, e pretende da lui, per così dire, prassi invece che mera contemplatività> (Adorno, Prismi:



<Nessuna analisi è ancora in grado di penetrare fino all’inferno dove vengono impresse le deformazioni che emergono più tardi alla luce come allegria, aperture, affabilità, felice adattamento all’inevitabile e semplice e schietto senso pratico> (Adorno, Minima moralia).
Franco Riccio

lunedì 15 dicembre 2014

NONO SOLILOQUIO


Ritorno al bisogno di storia, - la nostra memoria da ravvivare, proprio oggi
/ in essa, ribadisco, è da investigare la genesi implicita nello schema ordinatorio, identico nelle variabili indipendenti del divenire dell’esperienza umana, imposto alle coscienze / sradicarne la motivazione non psicologica che fa di quella imposizione l’ordine naturale degli oggetti: il grido di Adorno in Metacritica / denunciarne un comportamento sociale.
Quel grido echeggia in me la travagliata necessità del mettere in chiaro/scuro il fattore chiave che genera il perpetuarsi della reificazione degli uomini e del spazio interrelazionela tessitura di quella che noi, per cultura, definiamo società / il legame spontaneo, espresso da quel vagito, paritario di una disuguaglianza basilare disadorna dall’abito civile; disuguaglianza, la quale per un artificio strategico, provocatorio di una sua dimenticanza, è divenuta essenziale per una correlazione, assorbita, oggi, dall’inferenza statistica, funzionale all’equilibrio mobile della sua governabilità.

e i miei pensieri schivano la conseguenza logica di una intenzione di ricostruire quel filo intrecciato dei rilievi storici / interruzione per un ascolto, non igienico al riflettermi / ricezione che continua a distogliermi dal quel filo, per me essenziale / un impulso stimolato dall’ascolto inattivo del consueto e contraddittorio dibattito televisivo sulla crisi che attualmente ci coinvolge: un sovrapporsi di motivazioni causali / estemporaneo bisogno di annotarmi alcune mie riflessioni, riallacciandomi al soliloquio precedente, esortante un reciproco ascoltarci nel riflettere proprio sulla crisi che, appunto, ci coinvolge direttamente.

Crisi, - e nel mio rifletterla rilevo un indice, per me pregiudiziale, da sollevare all’attenzione: la reciproca convertibilità dei perturbanti dispositivi dei processi di ordine sociale, economico-finanziario, politico, culturale, scientifico, informatico, ai quali si innerva una rivoluzione climatica provocata dalla “ingegnosità” dell’uomo: un aspetto da riflettere a più voci, poiché tale convertibilità, per la multiformità con cui si manifesta, rende problematica la riduzione ad un unico indice di causalità.

Per tal motivo scelgo di “lanciare” alcune chiose.

Indicibilità del fattore chiave del perturbamento che ci, ripeto, coinvolge e ci rende responsabili?
o
nebbia offuscante il nostro agire pensante, sviato dal miraggio dell’immediato vantaggio, eredità di una interruzione storica, iniettante quello spirito di gravità, denunciato da Nietzsche e ribadito da Adorno in principio di realtà che rende ad ogni individuo <pesante la terra e la vita> (Così parlò Zarathustra>?
il problema, il mio – ma, non è il nostro nodo problematico? complesso e slittante in conclusioni smisurate, a causa del reticolo dell’immissione dei vari input che lo scansionano, e, quindi, riduttivo per una riflessione solitaria: perché non riflettere coralmente in un ascoltarci reciprocamente, liberi da quel conflitto delle interpretazioni, l’antinomia in cui si impiglia la cultura, proprio in quella <tendenza più forte> di radicalità critica?
Adorno e Horkheimer, in Sociologia II, ci pongono di fronte ad una grave responsabilità: <…la teoria della società, e qualsiasi prassi che si orienti su di essa, non può buttarsi col coraggio della disperazione dalla parte della tendenza più forte, colpire ciò che cade e far propria la liquidazione della cultura: altrimenti si fa complice della ricaduta della barbarie>.

Problema sociale in quanto problema culturale, il quale è tale in quanto è problema sociale? Il monito di Adorno (Parole chiave).

Il pericolo del gettare <il bagno col bambino dentro il bagno> (Minima moralia) esiste.

Altra annotazione. Il fissaggio di un unico indice causale del fattore chiave della nostra reificazione e del nostro spazio interrelazionale circoscritto in un settore specifico è irriducibile ad un rapporto di conoscenza / ciò che annoda il nostro nodo problematico è la risultante dall’intrinseca qualità differenziale degli elementi che lo costituiscono / problema, imposto, oggi, dall’accadimento storico che ci pone oltre quella modernità, profetizzata da Hegel e ridiscussa sino all’altro ieri, oggetto della mia riflessione sul risveglio della nostra memoria – oggi nell’oscurità del domani.
Il silenzio? Tacere nel rimbombo delle voci ?

Di contro non parlarne, provo un disgusto verso me stesso in neutralità / mi renderei complice sia con l’egocentrismo degli indifferenti sia con la coralità del tanto per parlare mentre la società va in balia del mondo.

Pressato da tali problemi / il subire una posta in gioco in cui l’individuo viene soltanto considerato indirettamente; direttamente, in mistica coralità, nella sua disperazione / la casualità della lettura della frase di Habermas e l’immediato flusso illuminante decidono sulla scelta di annotare queste mie osservazioni.

Altra postilla – rimuovere un accento: dalla verità all’effetto solvente di un pensiero scientifico, filosofico, politico, economico, teologico…avvincente e trascinante / retaggio di una egemonia culturale: mi sono di conforto Foucault, Lacan, Lévy-Leblond.

Ancora una glossa – viviamo un salto di esperienza planetaria strutturata e ordinata, basata su degli elementi semplici irriducibili, ad una esperienza rapsodica e disorganica, basata dalla riducibilità di quegli stessi elementi semplici: intreccio tra il fenomeno scientifico della complessità e quello informatico della newonto(techno)logy, per dirla con Duque (citato).

Al di là dell’effetto solvente, retaggio, su cui mi soffermerò nella ripresa dello scorrimento storico, solleverò all’attenzione, alcuni elementi, per me, interessanti e vincolanti, per il tentativo di scioglimento (?), del nostro problematico nodo o, più realisticamente, sgravarlo dalla sua statica onticità.
Complessità – un aspetto, suggeritomi dalla lettura del saggio su tale argomento da Isabelle Stengers (Concetti nomadi, già citato) dà forza a quel tentativo e nello stesso tempo può far nascere una riflessione in coralità differenziata dai vari punti di vista:

una premessa in parentesi: la complessità si segnale per l’intreccio perturbante tra il regime stazionario dei suoi attrattori e la dinamica frattale, insorgente da attrattori che la Stengers definisce <strani>; la riflessione che sollecito riguarda quest’ultimi, per l’effetto solvente in positivo su quel nodo che ci affligge:

<essi impongono di pensare la mappa dei problemi come un bilancio di esplorazioni locali, di scoperte di possibilità di passaggio che non provano niente al di là di se stesse, che non autorizzano né generalizzazioni né metodo>.

Una via da percorrere?

NewOnto(techno)logy – delinea la convergenza tra Social Web e la Semantic Web (hardware e software):

<è l’ordito sempre mobile e sempre mutevole di relazioni instabili che formano noduli di intensità in una Rete sempre in formazione e distruzione, come risultato di incroci che aumentano o diminuiscono in base all’uso>.

Non si intessa con quell’altra via, se la adoperiamo come prestazione?

Riflettiamo riflettendo in noi fuori da quella condizione ideologico-culturale che ci rende stranieri.

Rientro in me stesso, riallacciandomi al mio affanno.
Franco Riccio

OTTAVO SOLILOQUIO


Possibile strada per una rivoluzione culturale della società, indicante, a chiusura del mio settimo soliloquio, rivolgendomi all’interrogativo di Marco Furia (sono proprio davanti a un soliloquio?) una prassi dell’ascolto reciproco.
Un per me, certamente. Un pensiero soggettivo di un uomo, come la grande maggioranza dei miei simili, senza qualità, Un <”panproblematismo”, mi direbbe Daniel Andler (Problema. Una chiave universale, in Concetti nomadi di I. Stengers, già citato), puramente verbale>. Desiderio di un certo mio stato d’animo – lo confesso. Desiderio che socializzo e vorrei percepirlo ascoltando il travaglio esistenziale di chi, come me, vive come <appendice>, per dirla con quella tensione di Adorno ribelle alla reificazione dell’individuo, di un processo sociale in < balia di un mondo>, preda da una anonima macchinazione internazionale economico-finanziaria, agevolata dalle avanzate tecnologiche, dettante equilibri sociali, funzionali al suo occulto dominio, da un lato; dall’altro, dalla progressiva deoccidentalizzazione dell’occidente e il profilarsi di lotta di religione, mascherante la motivazione economico-politica; e quello, il quale è maledettamente disumano, la dilagante pauperizzazione che investe, a gradi diversi, i vari ceti sociali del mondo: palcoscenico planetario di un teatro dell’assurdo, debuttante, in quello status, una uguaglianza di base / e si ergono i profeti dalla sgorgante parola innovata mobile – il software, turlupinandone quella conquista di comunicazione di base, possibilitante una percorribile via trasversale di uscita dall’atavica minorità, e, invece flauto magico, rassicurante, attraverso la nostra cambiale in bianco, salubri spazi di vivibilità tra l’incalzante insalubre criminalità, senza geografia, e l’indeteriorabile corruzione delle persone per bene.

Un desiderio, pertanto, sintomatico di una posta in gioco inafferrabile / la possibilità di scelta: bisogno di un viandante in affanno di uscire dalla sua solitudine e comunicarla per quella via trasversale, se considerata prestazione, la rete, come pratica del nostro agire pensante, quindi, riflettente, tra il vocio tanto per parlare / non paradigma, ma referente discutibile aperto e diretto ad ascoltare ascoltatori possibili: ascoltiamoci, ciascuno con la singolarità del dicibile delle proprie riflessioni; trasformiamo il perpetuarsi di un conflitto interpretativo, retaggio di quel pensiero della <gerarchia violenta> (Derrida) che riduce ad una unica angolazione di lettura le varietà spigolose di un sociale senza legame compartecipativo – infezione ereditaria -; cresciamo insieme nella differenza.
Franco Riccio 


martedì 9 dicembre 2014

SETTIMO SOLILOQUIO




La mia scelta



Una presenza/assenza messa in atto dalle nebbie prodotte dal linguaggio, non nel suo funzionamento logico, ma nella persistente fissazione paradigmatica di un dicibile specchio di una situazione socio-economico-politica planetaria, la quale, nella complessità e contraddittorietà del suo tessuto e della sua struttura, lascia tralucere l’indeterminatezza del rapsodico / ostinazione, la quale, in conseguenza, si costituisce, attraverso il segno, tangibile nel linguaggio, immagine prospettica di una società, redenta dalle sue impurità.



Evidenza, per me, frutto di una dimenticanza, mi ripeto, divenuta la nostra memoria storica, e per essa l’insidia che ha azzerato le lotte di liberazione – rivoluzioni perdute / prassi rinviata a tempo indeterminato – e resa più efficiente, avvalendosi del talento creativo degli uomini di ingegno e dello stesso desiderio dell’uomo di aspirare all’incondizionato, la persistente reificazione delle coscienze.



Correlazione perniciosa tra i retaggi inquinanti i vari settori economici, politici, culturali (filosofici, scientifici, estetici) religiosi, con le loro discipline di supporto procedurale e di svolgimento progressivo delle loro metodologie che li caratterizzano, e il loro rapporto di reciproca reversibilità col reale processo della vita della società (cfr. Adorno, Prismi).

Correlazione da intendere non come relazione tra causa/effetto, perché in ciascun settore, con il loro supporto disciplinare, cosi come nella reciproca reversibilità, semplificando, con la società, alle regole generali che regolarizzano sia le loro configurazioni sia il processo sociale si accompagnano contro-effetti e fenomeni generativi della sua stessa (correlazione) negazione.

La correlazione, per me, è un insieme di indizi, estensione di una intesa pedagogicamente inoculata.

Correlazione letale / ne è testimone la storia / in ogni epoca il rapporto fra gli uomini da paritario, per la medesima articolazione temporale del vivere nello stesso spazio, vagito/rantolo, quindi legame ׀ la parola ha un senso pregnante – il mio linguaggio povero riesce soltanto ad esprimerlo con la parola compartecipazione ׀ variamente illuminata dal talento umano, si è costituito discriminatorio – la democrazia, conquistata dalla lotta politica e sociale, lo rende accettabile nel diritto/dovere della delega: il voto, e il paritario, conquistato dalle lotte sociali, acquista legalità nello schizzo già tracciato dall’uomo nelle sue variabili spazio-temporali, dalla natura, attraverso l’architettura, edificata dal numero, funzionale a quel fiotto per la sua saldezza e perseveranza, di piani organizzativi duplicativi del vivere di ogni uomo: l’uomo decisionale, o eletto in forza del numero o per meriti, sul comportamento dei suoi simili; l’uomo appendice del decisionalista.



Minosse democratico attraverso il numero / i retaggi, radici diverse, riproducono la radice madre: il labirinto nella forma del condizionato, riprodotto dalla nostra cooperazione.



e qui Adorno, in quella chiusura dei Minima moralia che riaccendo dall’oscurità consacrata dai fautori di un sapere burocratico:



il pensiero che respinge più appassionatamente il proprio condizionamento, per amore dell’incondizionato, cade più inconsapevolmente, e quindi più fatalmente, in balia del mondo



anche la propria impossibilità esso deve comprendere per amore della possibilità



La mia possibilità d’intesa



e qui il correlarmi con Marco Furia da indiretto, sottinteso tra le pieghe del soliloquio precedente, tendente ad orientare la leggibilità delle mie perplessità di esternare in linguaggio scritto una inquietante riflessione sul problema vitale del comune vivere l’esistente, patrimonio di ogni uomo, si fa più diretto, secondo la mia scelta dell’ascolto comparativo.

L’interrogativo e i problemi che si percepiscono nel suo messaggio, aprono orizzonti tematici vivi in me, e che spero di affrontare in seguito in ascolto del taglio della loro elaborazione..


Ora, ciò che spinge l’esternare quello che è un impensierirmi in affanno è la fondata sua sollecitudine ad uscire dalla mia posizione dilemmatica, riassumibile nel tentativo di trovare e sperimentare una possibilità d’intesa mobile e sciolta dall’io so, seme del conflitto delle interpretazioni e, quello che è più tragico, del suo rifrangersi come posta in gioco della relazione sociale e delle nostre pratiche quotidiane.



Il mio tentativo si sviluppa tra un districarmi tra le pieghe di un riflettermi nel rifletterlo: il travaglio del dubbio / slittare, contro la mia intenzione, sulle tracce della controversa polisemia a voci differenziate intorno alla fattualità del nostro vivere individuale e collettivo / quindi, riprodurre, mediante le diverse tecniche del linguaggio, quella attualità in divenire in una proposizione configurativa circostanziata in dimensione ontologica e misurarsi dialetticamente / il risultato: attivazione di quel pensiero della <gerarchia violenta>, qualificativo, per Derrida (Posizioni), del pensiero metafisico e racchiudere un esistente che manifesta, nel balenio dei suoi progressi, conquista per l’umanità da non perdere, in un indurito assorbimento dalla dipendenza del segno catturato nel dicibile.



Non si tratta, nel mio sollevarlo all’attenzione, di presunzione di originalità né di una riduzione al minimo comune denominatore la diversità dei loro timbri / all’inverso: in me è la consapevolezza di essere infetto di quella malattia sociale della cultura, motivo del tentativo; in quei timbri differenziati è la loro irriducibilità al <criterio> che mantiene in forza il conio normativo con il quale sigilla e valorizza una forma di comportamento razionalmente adatto sia all’individuo nella sua singolarità sia nella interrelazione con i suoi simili nel rapporto e nella costruzione dello spazio comunitario, cioè la società.



Ricordiamoci della nostra natura esistenziale che il dicibile, nella cattura che si fa segno seducente, eclissa la dualità bipolare individuo-società: la trasforma in postulato teorico che l’intenzionante del dicibile elabora, secondo la propria ermeneutica, in relazione ad una semiologia catturante nel segno che conia, appunto, la problematica vissuta dal vivente nella sua stagione, regolarizzandone il comportamento individuale e sociale.

Differenze, ripeto, irriducibili tra di loro: imparagonabile il logos con l’evidenza scientifica / e questa con l’ermeneutica della disseminazione di Derrida / e questa ancora con la semantica del web: l’hardware e il software / per non parlare della ripresa oggi del dialogo: dialettica dai presupposti inconciliabili: il mio problema in affanno / direi il nostro / il timbro d’origine del nostro liberarci dal tu devi e prenderci il diritto dell’io voglio (Nietzsche) / timbro in attualità: più le nostre primavere illuminano il nostro rapsodico cammino, più l’iridescenza di quel timbro si fa più viva, nel cambiamento d’inchiostro, più la nostra cecità si fa più profonda – e in essa vediamo la nostra libertà e fortifichiamo il nostro pietismo nella crescita dei lazzari.



Mi perdoni. Ha vinto il mio affanno.



In quel timbro leggo quel condizionato che Adorno ci invita a tenere vivo nel nostro desiderio/bisogno di libertà / cioè gestori e non pazienti della nostra mente e del nostro corpo, e da tali cooperatori e gestori, con gli altri tali, spazi di vivibilità, determinati ad essere appendici di un processo sociale che ci coinvolge.

Quel rapporto intrinseco tra condizionato e incondizionato, sollevo all’attenzione di chi è disponibile all’ascolto e verso il quale si dirigerà il mio ascolto / è il problema, il mio, da approfondire in esternazione, facendo proprio il suggerimento di Nancy, ripetendomi, del riflettere riflettendomi sulla mia condizione di individuo educato a pensare secondo una grammatica del pensare sotto il dettame delle regole, nel controllo delle mie emozioni.



Allora? Dichiararsi sconfitto e biascicarsi nel proprio soliloquio? Irrisorietà di un contributo configurativo di una prassi intenzionata al cambiamento culturale della nostra società / ritentare di ribattere le proposte dialogiche di Habermas o di Apel, per me macchiate di normatività, pur nella loro accettabilità? La trasversalità dei gruppi soggetti, con il “fantasma” della pluralità del ritorno di aggiornati e funesti “soggetti storici” di Deleuze e Guattari?



Allora? Tentare, attraverso un dicibile, nella consapevolezza del rischio di ingrigliarsi nella forma della dialettica speculativa, seguendo in trasgressione l’indicibile, suggerito da Derrida in Posizioni, che slitti quell’<assiologicamente> che cementa in ogni forma dialogica la normativa non linguistica del discorso vero, disgiunto dal dire poeticomemoria aristotelica.



Un dicibile (mia ingenuità) autoriflessivo espresso in comunicabilità interattiva, in modo da lasciar circolare idee in reciproca dissonanza, <senza mai costituire un terzo termine> (ibidem), tali, quindi, da proporsi indipendente l’uno dall’altro / testimonianza della possibilità di una razionalità comunicazionale non normativa né unificante, ma in interazione disgiuntiva di riflessioni angolate, mantenendo ferma la loro identità, e, pertanto, allignante l’acclimatarsi una prassi dell’ascolto reciproco – condizione indispensabile per la promozione di una rivoluzione culturale, poiché elimina la dicotomia discriminatoria, a tutti i livelli, dell’alto e del basso, effetto della nostra malattia sociale, la quale è tale in quanto individuale ed è individuale in quanto sociale
Franco Riccio 

lunedì 1 dicembre 2014

SESTO SOLILOQUIO

Il mio interrogativo

un riflettere riflettendomi in esternazione come se servisse a smuovere qualcosa tra il chiacchiericcio generale e il profetizzare chiaroveggente che acuiscono le cicatrici di  un legame sociale adulterato in origine.

Inservibilità e inefficacia, implicazione di una pratica comunicativa tra sordi / diffusa verbosità di linguaggi raffigurativi di una oggettività effettuale, incrinata nella sua struttura di base, tacitata e rilevata in singoli prospetti, indubbiamente gravi e necessitati di interventi immediati, su cui grava l’enfatizzazione moralistica che colpisce l’uomo in colpa, meritevole dell’adeguata punizione, e diserta la condizione di base – manifestazione di una malattia sociale, radice rizomatica, la quale si riproduce in sintomi diversi: il muro del silenzio.

Infertilità / la “gramigna si fa grano” / seduzione interiorizzata in funzione attuale di una dipendenza assoluta, modernizzante nella tecnologia mobile il già citato mito di eros: il divino logos (Eraclito), il quale <costringe al suo volere, riverbera nell’acquiescenza, quel <fuoco sottile> (Saffo)  che serpeggia nelle vene di ogni uomo posseduto da quel segno / <perché questa generazione ha bisogno del segno?> (Marco, 8.24); - metamorfosi di un capitalismo sempre più regolatore dell’ingegno dell’uomo e che, nell’assunto teorico del <valore>, trasforma i consumatori, <davanti ai capricci teologici della merce…in scaccini (sacrestani), i quali, credendo di consumare il loro valore d’uso, consumano di fatto il valore di scambio, per la forma di merce che esso assume> (Adorno, Dissonanze).

Inquietudine di scelta. Screditato il dialogo in rissa / mostrandosi il contendere: - presunzione condominiale di una forma razionalmente idonea a regolare: la relazione sociale, lo scambio intersoggettivo, l’amore, il crimine, il tipo di modello economico da adottare, pacificando imprenditore e lavoratore, dando così lavoro alla massa, sempre più crescente, di disoccupati giovani e non più giovani {fatta salva l’emergenza, diritto al lavoro è una questione che va rivisitata in profondità: il lavoro è lo svolgersi dell’energia vitale peculiare all’agire pensante di ogni individuo, connaturata al talento e alla predisposizione individuale; energia, la quale identifica una identità di base comune nella variante delle forme di attività che assume sotto l’influenza regolativa della società – diventa agire economico nell’inscrizione nella rete totale degli scambi dei beni}, l’università, la ricerca, la scuola {altra questione centrale: sono spazi concentrici di vasi comunicanti, aventi il centro in comune nell’autocrescita individuale e non settori differenziati in linea aristotelica mai spezzata ׀ l’osare illuministico: un bluff  dell’uscita dell’uomo dall’atavica minorità ׀: <si diventa costruttori di casa col costruire case e citaredi col costruire la cetra…lo testimonia anche ciò che avviene nelle città: infatti i legislatori rendono buoni i cittadini facendo acquistare buone abitudini> (Etica nicomachea, 1103 A 33-B4)}; - polivocità di toni discordanti, ma uniformi nella scala, tendente nello stesso ritornello di rappresentare i bisogni e la rabbia della gente, sempre più immiserita e stordita dalla confusione insita nei loro linguaggi; - lo stato, la democrazia, la sovranità del popolo, e il linguaggio che li definisce entra in tilt nell’intelligenza dell’individuo / lo stato? un super individuo uno e trino, lacerato dalla conflittualità della sua stessa trinità nel contenzioso litigio di attribuzione di indipendenza in miscellanea con autonomia – concetto, questo, non equivalente all’altro, in quanto l’autonomia contempla la non ingerenza nell’ambito di competenza; mentre indipendenza è tale per la sua irresponsabilità verso l’esterno, obbligo questo che il concetto autonomia ingloba / la democrazia?  autogoverno del popolo, nel quale è intrinseca la sua sovranità, conquistata attraverso le lotte contro la dittatura e contro ogni forma di privilegio, sanzionando una uguaglianza di natura nelle differenze individuali – oggi, formalizzata nella delega a una formazione sovrana, la quale, in forza del voto in fede, assume la legittimità di governo.

retaggi di una malattia sociale inoculata storicamente

Cristo non si è fermato ad Eboli, Carlo Levi!  Si è fermato, chiedendo perdono agli storici e ai cattolici, nel, VIII sec., prima della sua nascita, al verificarsi di un vasto movimento di colonizzazione che porterà alla fondazione delle città greche su tutte le coste del Mediterraneo, dal Ponte Eusino alla Spagna.
Un ricalco di metafora intrecciato di storia nel quale metto in gioco la mia reputazione di artigianato filosofico, provocando in me un doppio patimento: sfiducia a me stesso nel temere di cadere nell’arbitrio; scetticismo verso un sapere caratterizzato in <struttura di potere degli esperti, espressione di una dimensione sociale sempre più tecnocratica> e, aggiungerei sotto l’egida del mercato (J.-F. Lyotard, La condizione postmoderna).

Condizione del postmoderno? Retaggio pedagogico come condizione necessaria affinché una società, qualunque sia la <sua forma costituzionale>, ne salvaguardi il regime <e, all’inizio, la sua stabilizzazione> (Aristotele, Politica A II-8)?


Interrogativi in sospensione / intervallo per una riflessione comunitaria, contribuendo in comparazione con una mia travagliata scelta di posizione angolatascelta che spero di esemplificare nel prossimo soliloquio.
Franco Riccio

lunedì 24 novembre 2014

QUINTO SOLILOQUIO

Il risveglio in noi del bisogno di storia, - e la memoria ridesta in me Habermas e il relativo dibattito, esposto nel volume Il discorso filosofico della modernità. Dibattito, aperto da Hegel; continuato senza interruzione sino all’altro ieri, dopo la parentesi Marx della realizzazione della filosofia nella prassi, attraverso vibrazioni interpretative, variabili nel timbro, registrabile o un recupero aggiornato della filosofia o la consapevolezza di una sua <fine…malamente dissimulata> nel superamento della differenziazione hegeliana tra il suo concetto scolastico e  quello mondano.

Seguitandone la lettura, è rilevabile un temporalizzarsi di pensieri, il cui esposto argomentativo, in relazione al proprio paradigma di riferimento, staglia la differenza; aspetto da prendere in considerazione in uno svolgimento meditativo posteriore.
Ora, soltanto un risalto delle diversità argomentative, indispensabile base storica per verificare il perpetuarsi, proprio nella differenza, il retaggio di quel che definisco virus, cicatrizzante la relazione intercomunitaria nella genesi della nostra civiltà.

Pensieri, messi in moto: - da Heidegger, il cui <recupero…apre ad un movimento di pensiero genuinamente filosofico>, nel quale inscrive, e in ciò il diversificarmi da Habermas, in equiparazione <gli hegelo-marxisti e Lukács, Horkeimeir e Adorno, che ritraducono il Capitale, con l’aiuto di Max Weber, in una teoria della reificazione>; - da una diversa angolazione, attraverso la quale <la filosofia riconquista competenza per la diagnosi del tempo attraverso una critica della scienza che dal tardo Husserl conduce, attraverso Bachelard, fino a Foucault>. 

Un interrogativo sopraggiuntomi distoglie la mia mente dalla riflessione in atto. Tiro mancino della memoria. Impensierisce la motivazione dell’apertura di questo blog, non sull’opinabilità argomentativa / essa è tale: è un per me, gridato ad alta voce / sulla sua incisività operativa nel perturbamento che travaglia il nostro presente: blocca il rilievo in corso. 
Interruzione sospensiva di un evento, piega deviante il discorso filosofico della modernità, ma in disgiunzione connettiva, avente in concomitanza referente: la filosofia scolastica, cioè la metafisica come suo bersaglio critico fondamentale, nel tracciato parallelo di una filosofia, propositiva di un nuovo scientismo: una piega su cui è indispensabile il rifletterla.

Ancora una volta debbo confessarmi reo. Diserto le regole del discorso retto. Tronco la questione, prorogandola. Avverto imprescindibile esternare l’interrogativo, il quale, in ultima analisi, compendia il travagliato orientamento dei miei soliloqui. Per tal motivo, preferisco rinviare l’esternazione ad un prossimo soliloquio.
Franco Riccio



sabato 15 novembre 2014

QUARTO SOLILOQUIO


Abbiamo bisogno di storia / oggi, in movente incalzante dall’ondeggiamento incoativo attraverso il quale emergenze contraddittorie inviluppano quel legame, in tonalità senza tono, che ci identifica, fuori delle varie argomentazioni, abitatori temporanei di una terra comunitaria, nell’articolazione di un insieme, il quale, nel manifestare la sua organicità operativa nel segno del rapsodico che avvolge in sé il fluire incoativo di una esperienza individuale e collettiva che va costruendosi, traluce una correlazione oggettiva difensiva contro le variabili insorgenti negli equilibri raggiunti, cementando la dipendenza di sempre del nostro esistere dall’insieme dell’esistente, configurato all’interno dalla perenne questione del rapporto tra pensiero e essere.



Ciò mi induce a un riflettere puntato, come determinata condizione preliminare, non sulla critica né sulla denuncia, ma attraverso un risveglio di memoria intorno alla genealogia della nostra civiltà, che ci qualifica uomini occidentali.
Un risveglio indispensabile, per me, per comprendere l’attuale nostra vicissitudine esistenziale, travagliata da una crisi mondiale dagli esiti incerti e nella prospettiva di persistere nello status di individuo amministrato da una formazione politica, che si farà chiamare Stato (Nietzsche, Così parlò Zarathustra), in quanto vincente; un conoscere, il quale è un conoscermi, socializzandolo a un conoscersi; ciò affinché possiamo imparare sempre meglio <a coltivare la storia a scopo di vita>, lasciando <agli uomini sovrastorici la loro nausea e la loro saggezza> (N. Considerazioni inattuali, II) e a noi il compito di cercare in essa, <attraverso i dettagli quel frammento di stregoneria ontologica che ha presa sul reale> (Adorno, Dialettica negativa) e rilevare in essi le cicatrici del nostro legame sociale.



<Stregoneria ontologica>, oggi, rilevabile, con micologica investigazione, secondo il suggerimento di Adorno, in un prendere forma una intelligenza artificiale, in virtuale ondeggiamento costruttivo, attraverso il quale rende dicibile l’indicibilità del legame sociale, dispiegandosi e rispiegandosi in essa, per riassettarla secondo il suo timbro.



Retaggio culturale in attualità che rifinisce una mentalità, genealogicamente affermatasi, in corrispondenza all’emergere di fattori innovativi esterni e ad esigenze interne ad un legame sociale in sincope, geograficamente circoscritto. Un rivolgimento totale di un agire pensante, - e qui è necessario riflettere in sospensione ideologica e scientifica - connaturale alla natura pensante di ogni individuo di produrre pensieri, fuori da qualsiasi ordine stabilito; ordine, il quale è genealogicamente socio-culturale. Una punteggiatura per capire e per capirci: in questo campo si misura la cessazione di ogni conflittualità armata o dialettica / fuori da questo campo è il terreno di quella reificazione, urlata e tacitata dal punto di vista di colui che giudica da Adorno, prodotta dall’uomo sull’uomo /  in quel campo sono da portare i vari saperi, le varie istituzioni, le forme storiche di pensiero e di razionalità, le erranze del linguaggio, le diversità di religioni, non alla loro autosufficienza / il responsabile è l’uomo: e qui il riflettere riflettendoci si rende indispensabile: ci coinvolge, e ci coinvolge proprio nel processo d’interazione con il reale processo della vita della società, mediante il quale apprendiamo la cultura, acquistiamo i ruoli, costruiamo il nostro , e si formano e si trasformano i modelli, attraverso i quali si innesta un relativo processo di apprendimento, mediante il quale li incorporiamo psicologicamente, determinando in noi un comportamento o conforme o deviante (cfr. A.K. Cohen, Controllo sociale e comportamento deviante). / processo d’interazione da connaturale alla nostra singolarità, la quale è individuale in quanto sociale ed è tale in quanto individuale, perché abitanti temporanei nello spazio che configura la nostra appartenenza, per un processo selettivo e di equilibrio di una organizzazione umana, culturalmente normativa, diventiamo soggetti normativi: uomo, sia filosofo, scienziato, statista, progettista  informatico, teologo, senza qualità.



Ecco perché abbiamo bisogno di storia /  una storia, non per la vita (Nietzsche), ma per un’assunzione di responsabilità, non delegabile, del diritto di ogni uomo a vivere la sua quotidianità in quella superficie comunitaria che è la terra, attraverso quel legame che unifica le diversità senza annullarle.



Storia, non <pensata come pura scienza e divenuta sovrana, sarebbe una specie di chiusura e liquidazione> (Nietzsche, Considerazioni inattuali II) del legame che ci identifica per quel che siamo per natura, e non per contratto né per quello che siamo sempre stati: individui statalizzati sin dalla nascita: singolarità amalgamante in sé comunicatività nel vagito, - voce senza timbro che, in osmosi atonale ci omogenea nella diversità incomparabile / nel timbro, tonalità di una organizzazione associativa umana, prodotta, nelle varie configurazioni stagionali, dall’esito conflittuale dalle formazioni in competizione, la malattia, la quale più che logorare il legame (Habermas), ne trasmuta la spontaneità in vincolo formale, in un aggiornamento di un rituale consolidato, fissato in ogni momento della storia e che <impone delle obbligazioni e dei diritti; costituisce delle procedure accurate> (M. Foucault, Microfisica del potere) - il virus, che, in propagazione, infetta ogni individuo, il quale si fa portatore attivo, sia esso conservatore, progressista, rivoluzionario, senza qualità.



<Ciò che perdura non è un quantum di sofferenza, ma il suo progresso infernale>, scrive Adorno in Minima moralia, e dà spazio al mio rifletterla / intensificazione di un “indurimento” intensivo di un criterio normativo coniato sul timbro del segno che rende tangibile la trasmutazione di un pensare soggettivo in un pensare oggettivo e oggettivante, valorizzando, in conseguenza una forma di comportamento adatto alla società in cui si manifesta (suggerirei la lettura del saggio di J. Gervet, Comportamento. Una realtà in cerca di concetto, in Concetti nomadi, citato, per gli spunti di riflessione che suscita).
Svilupperò in seguito, almeno lo spero, tale riflessione. Ora mi è utile per un quadro sulla situazione odierna, la quale mi afferma, nell’accettazione della novità emergente, il bisogno di non dimenticare la nostra storia.



Oggi, siamo inviluppati, così penso, nei meandri labirintici di un anonimato di quel sempre amministratore dei bisogni incentivati degli individui e del loro talento – il capitalismo senza volto – e <l’esplosione planetaria della tecnologia mobile, la cui conseguenza, sul piano socio-politico, sarebbe la mobilizzazione della tecnologia> (F. Duque, L’età è mobile, qual cella al vento, in “Anterem”): New Onto(techon)logy.



inquietanti svolte, incisive su quel legame sociale che non siamo stati in grado, in ogni momento della nostra storia, costruire.



Proprio, per quel che scrive Duque, New Onto(techon)logy da prestazione, - efficiente per l’uscita di ogni uomo, al di là di ogni identità (ruolo, sesso, fede…), dalla funzione assegnata dall’equilibrio di una organizzazione umana, di agente pensante delegante, - in <l’Unità di comunicazione di base (ontologico-categoriale) attraverso la e per mezzo della proliferazione di procedure in permanente modifica e alterazione (LogicflowSystems)>, l’inguaribilità della malattia sociale.
Franco Riccio