situazione relazionale “climatica”, il “sospeso” in
pausa di riflessione / Kant, e l’interrogarmi, sollecitato da Deleuze a
flettere sul quel suo taglio, -
genealogia di una svolta, freccia,
indirizzo d’<attenzione della diversa situazione del soggetto>, in
relazione al rapporto tra il suo agire
pensante e le manifestazioni che
appaiono alla sua osservazione, siano esse nell’ordine della natura sia in quella sociale.
e il presumibile lettore, offeso
e disgustato, spegnerà questo mio blog
/ avrà la mia piena comprensione: sussistiamo nell’arbitrio assoluto di un
chiassoso confronto politico, senza
politica / siamo implicati in una disavventura esistenziale senza futuro /
ed io propongo di riflettere sul sesso
degli angeli! / la nausea opprime anche me / eppure mi penso nella viltà del mio silenzio, e mi inquieto…e mi interrogo,
esternandomi, lasciando circolare una idea che ha impensierito il mio cammino di
uomo senza qualità nelle traversie dell’impegno sociale e professionale: chi è il responsabile delle angustie del
nostro vivere individuale, il quale è tale,
in quanto è sociale, ed è sociale, in quanto è individuale? / e la memoria risveglia in
me il lavoro filosofico di Kant, e la
bizzarria, proprio della singolarità della memoria, l’associa all’estro poetico di Hölderlin;
associazione, che l’espressione del <quando io dico> di Deleuze ha acceso
in me il bisogno di comunicarla, interrogando,
in arbitrio, quella diversa situazione
del soggetto, eloquente, nella
diversità espositiva degli autori in questione, e che data con Kant, sospinto
dalle trasformazioni economiche, dall’emergere di un nuovo soggetto storico e
dall’ondata espansionista di un occidente
colonizzatore, la maturità di un moderno, figurato da Cartesio nella
centralità dell’uomo soggetto, in
quanto, nell’atto del suo cogitare,
verificava la sua identità di
elemento attivo della sua autoreferenzialità.
situazione relazionale, - Kant, l’accento che sveglia
in me dal torpore indottrinato di una umanità operosa irrigiditasi con ostinazione in una esperienza di parole / Io, la verità, parlo (Lacan), - e nel dire, quell’io, nato legato al seno
materno, dimentico di quel legame di
relazione, nativo in ogni uomo e che in quel suo taglio disgiuntivo, attiva in
sé, quel segno commutativo, il
quale, col vagito, lo introduce nel
suo limitrofo spazio, culturalmente normato, si costituisce Io maiuscolo – e, in tale postura, costituisce Se stesso soggetto in rapporto all’altro da sé, in positura di oggetto, sia nel suo
manifestarsi natura sia uomo, società / la svolta dal mito
– il moderno civile e civilizzatore,
figurato da Nietzsche, in Così parlò
Zarathustra, leone, il predatore con lo spirito del nano, -
e, nel quale Adorno esterna il realismo
burocratico/amministrativo di quella postura.
diversa situazione del soggetto, la mia, la tua, la nostra immagine allo specchio / non credete che sia necessario
interrogarla, interrogandoci nel
nostro vivere oggi la nostra situazione di esperienza individuale? / esperienza, la quale è tale, riaffermo, in quanto si istruisce
e si pratica, attraverso quel legame relazionale che lo
situa io/fuori e fuori/io: l’invito di
Kant alla nostra rinnovata attenzione / relazione altro del relativo,
osservabile, sottratta ai modelli
culturali, nella sua genesi fisica e
fisiologica: reciproca corrispondenza
interattiva di legame spontaneo tra
diversità, che permangono tali,
in mutua condizione di vivibilità; condizione,
quindi, che implica una scambievole permutabilità di messaggi tra i due elementi che temporaneamente la situano. intercambiandone la genesi in commutata conformazione culturale: io/altro, io/società:
l’indicazione che traluce dalle
riflessioni di Adorno; valutazioni da
dettagliare attraverso l’identità di natura,
cioè fenomeni (Kant), emergenti, in
forza dei rilievi scientifici che mi
confortano, dall’indeterminazione dei
circuiti interattivi dei loro
messaggi, attraverso i quali si intessano invarianza/varianza
/ Situazione, non è il circuito della
nostra mondanità, in cui le nostre
resistenze, induttanze, capacità interagiscono in una interdipendenza di
funzionamento con le costanti procedure razionali e “invenzioni” normative?
Piuttosto che, allora, piagnucolare sulle nostre piaghe, che, poi sullo scenario aperto
dei mass media, appaiono riguardare gli altri,
non riflettiamo riflettendoci? il suggerimento di Nancy, ma l’incipit è manifesto nel giudizio riflettente, proposto da Kant pregiudiziale al giudizio determinante: sospensione
/ interstizio tra il logicamente dovuto, riattivante il
<già è> e l’esperire l’inquietante novum (Hölderlin).
Non assistiamo, assillati, al
continuo lacrimare spettacolare verso
i guai derivati dalla mancanza di lavoro, dello svilimento del nostro potere
d’acquisto? Allo struggente e patetico interessamento verso i giovani, che
sembrano costituire una categoria sociale
circostanziata da allattare? Il mio urlo degli anni cinquanta contro questa
anomala distinzione, testimonia una sordità
in attualità. Per non parlare del moralismo becero sulla corruzione, sulla
criminalità, puntando il dito contro gli uomini, la cui giusta punizione è
incontestabile, ma: quel dito in severa
auterevolezza diserta legittimamente,
sotto l’aspetto della legalità
(specifica competenza dell’autonomia,
non dell’indipendenza. confusione nel linguaggio,
della magistratura), l’ordito delle
causalità (competenza, dovuta per delega,
del potere normativo, altrettanto autonomo / indipendente è la volontà del
popolo, delegante); ordito, il
quale ne costituisce la condizione
sotterranea, ignorata dallo stesso reo
/ non questione attenuante la colpa / problema sociale che non va navigato in un’aula di tribunale e, a maggior ragione, negli scenari
televisivi / insorgenza di interrogativo come la malattia che ha afflitto la storia delle nostre società. Per non
parlare del pietismo misericordioso verso i poveri,
oggi, per il candore di un papa, ma
che permane nel suo stato,
individuati ultimi! e tutto fa spettacolo.
Non siamo stati noi stessi
a determinarli, in quanto, oggi, agenti deleganti? In quella delega non abbiamo firmato una deroga
all’affrancamento dal sempre status di
assoggettamento? In quella svolta storica, alla rassegnazione dell’ieri, nell’aver contrapposto, attraverso
la lotta e la sofferenza, non abbiamo messo in risalto lo slancio dinamico
della nostra capacità emancipativa di creare spazi di convivenza fra uguali? In seguito, per un riflusso di
quella atavica pigrizia, non ci siamo inchiodati in quello stato di perenne minorità? In quell’atto non abbiamo restaurato lo status
duplicativo di quella uguaglianza
riappropriata, spazio normato in governati
e governanti?
Non è giunto il momento di parlarne sul serio?
Addentrarsi, non nell’organico di
Kant, lavoro per un concorso a cattedra universitaria, ma nei <termini (in
completamento del suggerimento di Deleuze: inquadrati
all’interno di una situazione relazionale climatica) di rapporto manifestazione/condizioni della manifestazione>
di ogni situazione, posizione, congiuntura, non pensate che sia una necessità impellente per capirci e
capire la crisi che subiamo?
Non occorre munirci di un
armamentario adeguato, assordato,
oggi, dal chiacchiericcio e dall’accesa concorrenziale a governarci? Corredo, fornito dalla nostra cultura,
la quale, pur nei suoi ritorni
grammaticali, offre gli strumenti per orientarci nel marasma che ci avvolge
e ci stordisce?
Non stiamo vivendo una
trasformazione economica attraverso l’esperienza tragica della disoccupazione,
della pauperizzazione di quel ceto medio, privo di ogni privilegio? della precarietà
del lavoro?
Tale esperienza non si deve a un
capitalismo sempre pronto a cambiare volto? volto che distoglie lo sguardo dalla fabbrica, il luogo: - prima,
del produrre per produrre la sua
ricchezza nell’impoverimento di quei sempre, (Marx), oggi, riconosciuti,
appunto, ultimi; - sino a ieri, produttore di valori, trasformando il valore di scambio in valore d’uso (Adorno), l’illusione della nostra emancipazione;
- oggi, per spiegarlo, ampliando ricchezza/povertà, sul mercato finanziario, luogo della banca, trasformando il capitale
liquido in capitale virtuale, che
sfugge al controllo e rende anonimi i fruitori della ricchezza.
(sul virtuale ho soffermato la mia
attenzione nel ciclo di esternazione sulla crisi
– dal 23° al 29°).
Tale distorsione non favorisce la
formazione di quella delineata del già citato Richard Rorty in quel ciclo, e
che ripropongo all’attenzione di chi vuol
capire, <una sovraclasse globale che prende tutte le principali
decisioni economiche, e le rende del tutto indipendenti dai legislatori e, a
fortiore, dalla volontà degli elettori di un dato paese>?
In ciò non è visibile la liquidazione di quella situazione di relazione che qualifica il
nostro essere viventi in questa nostra
terra?
Tale separazione, <risposta
alla crisi del modello post-verstfaliano>, col rendere indipendente il
potere economico e collocarlo a livello sovraterritoriale, non destabilizza
l’equilibrio tra politica e potere, e
in conseguenza del quale viene a rendersi possibile sia una separazione tra politica ed economia sia una politica senza politica? (Bordone, Stato di crisi, Enaudi 2015, trad.
dall’ed. del 2014, Cambridge)
La crisi di rappresentanza e la crisi
di sovranità territoriale,
nonostante i tentativi egemonici della Merkel, nei rilievi di Baurman (Stato di crisi), e che noi subiamo, non
è un fattore solvente dello stabilizzarsi, in sintonia con Bordoni, <una
profonda divisione sociale> (Stato di
crisi) da impallidire le fratture storiche tra massa ed élite? Non rende palese la crisi socio-culturale dell’egualitarismo,
ponendo in opposizione democrazia formale
e rappresentazione, quali termini
inconciliabili in una svolta che non vuole essere un riordinamento del <già è>? Dov’è
rintracciabile l’ememento differenziale tra
sinistra, destra, anti-politica? Non
è conseguenzale a rendere spettacolare
una banalizzazione dei processi
democratici, coinvolgendo sia politica
sia i cosiddetti fautori di un’anti-politica, esercitata con quelle stesse regole contestate? Non si deve a quell’inconciliabilità l’allontanamento della
gente dalla politica?
Sospendiamo un istante le nostre
opinioni personali, senza smentirli, e con me, interroghiamoci sulla nuova pratica manageriale di quel volto cangiante: un capitalismo, il
quale si è manifestato e si manifesta razionalmente
metamorfosato, in quanto, come quella
radice, ha la capacità di produrre volti nuovi, con la funzione di riserva dell’accumulazione di ricchezza, perpetuando,
come quella radice, la funzione originaria: ricchezza/controllo sociale – e chiediamoci:
In tale pratica, insorgenza delineante la svolta finanziaria dell’economia
capitalistica, proprio, per le esigenze economiche del mercato finanziario, se
la si analizza, in sospensione della pertinenza economica e finanziaria, ma in
base al <nucleo logico> della cultura
della nostra società (oggetto di analisi in precedenza – sol. 27°), per me, è rilevabile, non una svolta (e ciò è spiegabile, purtroppo in
sbirciatura), ma un ripiego della forma
di quella razionalità, - genesi genealogica, in cesura dal mito, della nostra cultura, come bisogno di un pensare,
sottratto alla dipendenza assoluta
(il destino nella tragedia greca - Hölderlin), forgiante nell’uomo una mentalità che lo ponga <cesura nel
tempo> - un tempo non ciclico (il mito) ma nell’estensione rettilinea
delle sue articolazioni uniformi (si veda il relativo commento di Deleuze, con
il quale si apre questo ciclo delle riflessioni su Kant – blog 31°)
Ripiego:
ripropone nella operatività,
esercitata nella qualità assunta dagli
elementi istitutivi della logicità
della nuova forma di razionalità - cioè: contingenza, volatilità, fluidità, incertezza endemica, rischio elevato (Baurman) -, gli stessi processi, esperiti dalle precedenti
forme di razionalità, e cioè: cattura e
oggettivazione, requisiti di ogni formazione
discorsiva e, per esse, il medesimo effetto solvente sul comportamento
individuale e sull’assetto sociale.
Riproposizione, e qui la sospensione riflessiva: non sottolinea una contraddizione, nella
mia lettura, ma una forma di
razionalità in binatura operativa, in
quanto predisposizione di quegli elementi citati che la distinguono per
ottenere il medesimo effetto solvente delle storiche forme di razionalità / attinge a quel che <già è> di
Hölderlin, tra l’altro prodotto da un cogitare
"fenomenico”, il quale non
produce cose-da-sé (Kant), attualizzandolo;
- diserta
(il nuovo volto) la regolazione
normativa della codificazione operativa, dettata dalla razionalità in atto
vigente, intesa a garantire la coerenza
delle operazioni, definiti rilevanti allo scopo:
scudo contro ogni fattore deviante
dall’obiettivo (criterio che rilevo
con profonda tristezza, al di là
della bontà o no, nell’aggettivo buona scuola). Per intenderci, getto all’attenzione l’esempio che mi
suggerisce Baurman: <le tecniche di misurazione dei tempi e dei movimenti in
fabbrica e il nastro trasportare che (corre)
lungo la catena di montaggio> (Stato
di crisi).
- doppia, separando economia e politica, il marchio di
identità della nostra razionalità nella nuova pratica e nella sua risonanza
sul comportamento individuale e sull’assetto sociale, e l'attualizza in “corporatura” rinnovata.
Per intenderci: permane, in linea di continuità, la costante,
operante nel lavoro in fabbrica e con essa la sua risonanza, per i processi di
oggettivazione del sapere, come già evidenziato, nelle pratiche di
normalizzazione del controllo sia comportamentale dell’individuo sia sociale
(Foucault), argine alla deviazione dalla routine imposta (Barman/Bordoni, Stato di crisi) / la novità è nella tecnica manageriale delle
operazioni finanziarie, la cui risonanza nelle pratiche di controllo, introduce
nuovi processi culturali di
normalizzazione.
Pratiche, burocrate in sé, indipendente
la forma di razionalità che le sostiene: linfa pedagogica del mio e del nostro agire pensante, burocratico
nella stessa contestazione e in ogni nostra opinione, produttrice di quei processi culturali, analizzati da
Foucault, che hanno reso accettabile il costituirsi del nostro convivere
sociale nella dissociazione fra uguali.
In tale dissociazione non abbiamo squilibrato la nativa situazione relazionale che ci
destinava compartecipi nella
costruzione dello spazio in cui coabitare?
Tale risonanza mette in gioco il
ruolo dello Stato, e quindi della politica, e, in essa, il debilitarsi delle
lotte sociali; risonanza, effetto solvente per quello che è sempre stato il controllo sociale, il quale è più
penetrante poiché dà spazio all’individuo,
indipendente dal sesso, e lo svincola dallo sfaccettato ruolo assegnatogli/le
all’interno dell’organizzazione (Bauman); effetto solvente, il quale, in forza
della tecnologia mobile e la rete, lascia emergere <una nuova soggettività
sfilacciata e multiforme>, appunto, e che <si fa esperienza di una possibilità della parola>,
articolabile in diverse tonalità:
critica, pettegolezzo, parlare tanto per parlare, <anticipazione dell’incontro fisico, carnale>…(Duque, L’età è mobile, qual cella al vento, in
<Anterem> / in conseguenza: - incastra nella memoria storica, le elaborazioni dottrinali del liberalismo classico, dello Stato sociale, del collettivismo; - dischiude elaborazioni in chiave neo-liberista, che io oso definire, in piena responsabilità, surrettizia:
rende responsabile l’agire pensante di ogni uomo, qualunque
sia la condizione economico-sociale, rendendolo <centrale ed in grado di
determinare gli eventi con la sua volontà e il suo operato>; - mette in uso
una modifica della logica della nostra
cultura nelle sue operazioni, esercitate, in conseguenza, razionalmente in circostanze volatili ed imprevedibili, producendo quindi
instabilità degli equilibri, necessari, invece ad una organizzazione sociale; -
introdurre un nuovo sapere (ho
valutato ciò nelle esternazioni sulla crisi),
non oscurando quelle stesse gestioni burocratiche della divisione sociale, mantenuta in vita,
nell’infedeltà delle lotte emancipative, nel segno del collettivismo, del liberalismo,
della democrazia, ma sostenuto
dall’esigenza della <stabilità e continuità degli scenari e di conseguenza
sulla creazione e stretta osservanza di una routine> (Barman).
e quella situazione relazionale, - svolta storica, provocata da un Kant, immemore, in quanto segna un risveglio in noi la consapevolezza della nostra mondanità, in quanto esistenti, e, con essa, la responsabilità di esperire, in interattività con l‘ondeggiamento incoativo (Nancy) dell’esistente del quale facciamo parte, il nostro operare una costruzione della propria esperienza all’interno del nostro stesso operare, in quanto
processo che ci introduce verso
sempre orizzonti nuovi – mostra in se stessa la soglia
critica della separazione.
Soglia,
trasparente nella rivelazione del virus, nella modifica. operata
all’intermo della logica della cultura di provenienza, un oggi dilemmatico, per il dispiegarsi nel suo status, culturalmente normato, di processi culturali di nuovi modelli di normalizzazione, training del comportamento pensante di ogni
individuo, al di là di ogni distinzione, già socialmente educato, sin
dalla sua tenera età, nella normalità
comportamentale del suo agire pensante della cultura dei padri (Foucault, dimenticato), quel suo agire
pensante educato….
….e le vecchie cicatrici, nel ripiego della
logica della nostra cultura, mai
rimarginate, in putrefazione, si acuiscono in quell’elemento cardine della nostra cultura: l’individuo / agente
pensante in divisione strutturale della relazione
(Kant) con l’altro e, di rimando, con
la società, provocando
<conseguenze importanti sulla cultura, sui rapporti umani, sul destino del
mondo in cui viviamo, che separa il passato conosciuto (e diserta l’altro
elemento cardine: la successione lineare
come superamento del limite del già consolidato – distacco dal mito)
da un futuro pieno di incognite> (Bordoni, Stato di crisi).
stacco qui: esigenza di continuità del ciclo
Franco Riccio