domenica 1 novembre 2015

TRENTACINQUESIMO SOLILOQUIO

situazione relazionale climatica”, il “sospeso” in pausa di riflessione / Kant, e l’interrogarmi, sollecitato da Deleuze a flettere sul quel suo taglio, - genealogia di una svolta, freccia, indirizzo d’<attenzione della diversa situazione del soggetto>, in relazione al rapporto tra il suo agire pensante e le manifestazioni che appaiono alla sua osservazione, siano esse nell’ordine della natura sia in quella sociale.

e il presumibile lettore, offeso e disgustato, spegnerà questo mio blog / avrà la mia piena comprensione: sussistiamo nell’arbitrio assoluto di un chiassoso confronto politico, senza politica / siamo implicati in una disavventura esistenziale senza futuro / ed io propongo di riflettere sul sesso degli angeli! / la nausea opprime anche me / eppure mi penso nella viltà del mio silenzio, e mi inquietoe mi interrogo, esternandomi, lasciando circolare una idea che ha impensierito il mio cammino di uomo senza qualità nelle traversie dell’impegno sociale e professionale: chi è il responsabile delle angustie del nostro vivere individuale, il quale è tale, in quanto è sociale, ed è sociale, in quanto è individuale? / e la memoria risveglia in me il lavoro filosofico di Kant, e la bizzarria, proprio della singolarità della memoria, l’associa all’estro poetico di Hölderlin; associazione, che l’espressione del <quando io dico> di Deleuze ha acceso in me il bisogno di comunicarla, interrogando, in arbitrio, quella diversa situazione del soggetto, eloquente, nella diversità espositiva degli autori in questione, e che data con Kant, sospinto dalle trasformazioni economiche, dall’emergere di un nuovo soggetto storico e dall’ondata espansionista di un occidente colonizzatore, la maturità di un moderno, figurato da Cartesio nella centralità dell’uomo soggetto, in quanto, nell’atto del suo cogitare, verificava la sua identità di elemento attivo della sua autoreferenzialità.

situazione relazionale, - Kant, l’accento che sveglia in me dal torpore indottrinato di una umanità operosa irrigiditasi con ostinazione in una esperienza di parole / Io, la verità, parlo (Lacan), - e nel dire, quell’io, nato legato al seno materno, dimentico di quel legame di relazione, nativo in ogni uomo e che in quel suo taglio disgiuntivo, attiva in sé, quel segno commutativo, il quale, col vagito, lo introduce nel suo limitrofo spazio, culturalmente normato, si costituisce Io maiuscolo – e, in tale postura, costituisce Se stesso soggetto in rapporto all’altro da sé, in positura di oggetto, sia nel suo manifestarsi natura sia uomo, società / la svolta dal mito – il moderno civile e civilizzatore, figurato da Nietzsche, in Così parlò Zarathustra, leone, il predatore con lo spirito del nano, - e, nel quale Adorno esterna il realismo burocratico/amministrativo di quella postura          

diversa situazione del soggetto, la mia, la tua, la nostra immagine allo specchio / non credete che sia necessario interrogarla, interrogandoci nel nostro vivere oggi la nostra situazione di esperienza individuale? / esperienza, la quale è tale, riaffermo, in quanto si istruisce e si pratica, attraverso quel legame relazionale che lo situa io/fuori e fuori/io: l’invito di Kant alla nostra rinnovata attenzione / relazione altro del relativo, osservabile, sottratta ai modelli culturali, nella sua genesi fisica e fisiologica: reciproca corrispondenza interattiva di legame spontaneo tra diversità, che permangono tali, in mutua condizione di vivibilità; condizione, quindi, che implica una scambievole permutabilità di messaggi tra i due elementi che temporaneamente la situano. intercambiandone la genesi in commutata conformazione culturale: io/altro, io/società: l’indicazione che traluce dalle riflessioni di Adorno; valutazioni da dettagliare attraverso l’identità di natura, cioè fenomeni (Kant), emergenti, in forza dei rilievi scientifici che mi confortano, dall’indeterminazione dei circuiti interattivi dei loro messaggi, attraverso i quali si intessano invarianza/varianza / Situazione, non è il circuito della nostra mondanità, in cui le nostre resistenze, induttanze, capacità interagiscono in una interdipendenza di funzionamento con le costanti procedure razionali e “invenzioni” normative?
Piuttosto che, allora, piagnucolare sulle nostre piaghe, che, poi sullo scenario aperto dei mass media, appaiono riguardare gli altri, non riflettiamo riflettendoci? il suggerimento di Nancy, ma l’incipit è manifesto nel giudizio riflettente, proposto da Kant pregiudiziale al giudizio determinante: sospensione / interstizio tra il logicamente dovuto, riattivante il <già è> e l’esperire l’inquietante novum (Hölderlin).

Non assistiamo, assillati, al continuo lacrimare spettacolare verso i guai derivati dalla mancanza di lavoro, dello svilimento del nostro potere d’acquisto? Allo struggente e patetico interessamento verso i giovani, che sembrano costituire una categoria sociale circostanziata da allattare? Il mio urlo degli anni cinquanta contro questa anomala distinzione, testimonia una sordità in attualità. Per non parlare del moralismo becero sulla corruzione, sulla criminalità, puntando il dito contro gli uomini, la cui giusta punizione è incontestabile, ma: quel dito in severa auterevolezza diserta legittimamente, sotto l’aspetto della legalità (specifica competenza dell’autonomia, non dell’indipendenza. confusione nel linguaggio, della magistratura), l’ordito delle causalità (competenza, dovuta per delega, del potere normativo, altrettanto autonomo / indipendente è la volontà del popolo, delegante); ordito, il quale ne costituisce la condizione sotterranea, ignorata dallo stesso reo / non questione attenuante la colpa / problema sociale che non va navigato  in un’aula di tribunale e, a maggior ragione, negli scenari televisivi / insorgenza di interrogativo come la malattia che ha afflitto la storia delle nostre società. Per non parlare del pietismo misericordioso verso i poveri, oggi, per il candore di un papa, ma che permane nel suo stato, individuati ultimi! e tutto fa spettacolo

Non siamo stati noi stessi a determinarli, in quanto, oggi, agenti deleganti? In quella delega non abbiamo firmato una deroga all’affrancamento dal sempre status di assoggettamento? In quella svolta storica, alla rassegnazione dell’ieri, nell’aver contrapposto, attraverso la lotta e la sofferenza, non abbiamo messo in risalto lo slancio dinamico della nostra capacità emancipativa di creare spazi di convivenza fra uguali? In seguito, per un riflusso di quella atavica pigrizia, non ci siamo inchiodati in quello stato di perenne minorità? In quell’atto non abbiamo restaurato lo status duplicativo di quella uguaglianza riappropriata, spazio normato in governati e governanti?

Non è giunto il momento di parlarne sul serio?

Addentrarsi, non nell’organico di Kant, lavoro per un concorso a cattedra universitaria, ma nei <termini (in completamento del suggerimento di Deleuze: inquadrati all’interno di una situazione relazionale climatica)  di rapporto manifestazione/condizioni della manifestazione> di ogni situazione, posizione, congiuntura, non pensate che sia una necessità impellente per capirci e capire la crisi che subiamo?
Non occorre munirci di un armamentario adeguato, assordato, oggi, dal chiacchiericcio e dall’accesa concorrenziale a governarci? Corredo, fornito dalla nostra cultura, la quale, pur nei suoi ritorni grammaticali, offre gli strumenti per orientarci nel marasma che ci avvolge e ci stordisce?
Non stiamo vivendo una trasformazione economica attraverso l’esperienza tragica della disoccupazione, della pauperizzazione di quel ceto medio, privo di ogni privilegio? della precarietà del lavoro?
Tale esperienza non si deve a un capitalismo sempre pronto a cambiare volto? volto che distoglie lo sguardo dalla fabbrica, il luogo: - prima, del produrre per produrre la sua ricchezza nell’impoverimento di quei sempre, (Marx), oggi, riconosciuti, appunto, ultimi; - sino a ieri, produttore di valori, trasformando il valore di scambio in valore d’uso (Adorno), l’illusione della nostra emancipazione; - oggi, per spiegarlo, ampliando ricchezza/povertà, sul mercato finanziario, luogo della banca, trasformando il capitale liquido in capitale virtuale, che sfugge al controllo e rende anonimi i fruitori della ricchezza. (sul virtuale ho soffermato la mia attenzione nel ciclo di esternazione sulla crisi – dal 23° al 29°).
Tale distorsione non favorisce la formazione di quella delineata del già citato Richard Rorty in quel ciclo, e che ripropongo all’attenzione di chi vuol capire, <una sovraclasse globale che prende tutte le principali decisioni economiche, e le rende del tutto indipendenti dai legislatori e, a fortiore, dalla volontà degli elettori di un dato paese>?
In ciò non è visibile la liquidazione di quella situazione di relazione che qualifica il nostro essere viventi in questa nostra terra?
Tale separazione, <risposta alla crisi del modello post-verstfaliano>, col rendere indipendente il potere economico e collocarlo a livello sovraterritoriale, non destabilizza l’equilibrio tra politica e potere, e in conseguenza del quale viene a rendersi possibile sia una separazione tra politica ed economia sia una politica senza politica? (Bordone, Stato di crisi, Enaudi 2015, trad. dall’ed. del 2014, Cambridge)
La crisi di rappresentanza e la crisi di sovranità territoriale, nonostante i tentativi egemonici della Merkel, nei rilievi di Baurman (Stato di crisi), e che noi subiamo, non è un fattore solvente dello stabilizzarsi, in sintonia con Bordoni, <una profonda divisione sociale> (Stato di crisi) da impallidire le fratture storiche tra massa ed élite? Non rende palese la crisi socio-culturale dell’egualitarismo, ponendo in opposizione democrazia formale e rappresentazione, quali termini inconciliabili in una svolta che non vuole essere un riordinamento del <già è>? Dov’è rintracciabile l’ememento differenziale tra sinistra, destra, anti-politica? Non è conseguenzale a rendere spettacolare una banalizzazione dei processi democratici, coinvolgendo sia politica sia i cosiddetti fautori di unanti-politica, esercitata con quelle stesse regole contestate? Non si deve a quell’inconciliabilità l’allontanamento della gente dalla politica?

Sospendiamo un istante le nostre opinioni personali, senza smentirli, e con me, interroghiamoci sulla nuova pratica manageriale di quel volto cangiante: un capitalismo, il quale si è manifestato e si manifesta razionalmente metamorfosato, in quanto, come quella radice, ha la capacità di produrre volti nuovi, con la funzione di riserva dell’accumulazione di ricchezza, perpetuando, come quella radice, la funzione originaria: ricchezza/controllo sociale – e chiediamoci:
In tale pratica, insorgenza delineante la svolta finanziaria dell’economia capitalistica, proprio, per le esigenze economiche del mercato finanziario, se la si analizza, in sospensione della pertinenza economica e finanziaria, ma in base al <nucleo logico> della cultura della nostra società (oggetto di analisi in precedenza – sol. 27°), per me, è rilevabile, non una svolta (e ciò è spiegabile, purtroppo in sbirciatura), ma un ripiego della forma di quella razionalità, - genesi genealogica, in cesura dal mito, della nostra cultura, come bisogno di un pensare, sottratto alla dipendenza assoluta (il destino nella tragedia greca - Hölderlin), forgiante nell’uomo una mentalità che lo ponga <cesura nel tempo> - un tempo non ciclico (il mito) ma nell’estensione rettilinea delle sue articolazioni uniformi (si veda il relativo commento di Deleuze, con il quale si apre questo ciclo delle riflessioni su Kant – blog 31°)

Ripiego: ripropone nella operatività, esercitata nella qualità assunta dagli  elementi istitutivi della logicità della nuova forma di razionalità - cioè: contingenza, volatilità, fluidità, incertezza endemica, rischio elevato (Baurman) -, gli stessi processi, esperiti dalle precedenti forme di razionalità, e cioè: cattura e oggettivazione, requisiti di ogni formazione discorsiva e, per esse, il medesimo effetto solvente sul comportamento individuale e sull’assetto sociale.

Riproposizione, e qui la sospensione riflessiva: non sottolinea una contraddizione, nella mia lettura, ma una forma di razionalità in binatura operativa, in quanto predisposizione di quegli elementi citati che la distinguono per ottenere il medesimo effetto solvente delle storiche forme di razionalità / attinge a quel che <già è> di Hölderlin, tra l’altro prodotto da un cogitare "fenomenico”, il quale non produce cose-da-sé (Kant), attualizzandolo;  

 - diserta (il nuovo volto) la regolazione normativa della codificazione operativa, dettata dalla razionalità in atto vigente, intesa a garantire la coerenza delle operazioni, definiti rilevanti allo scopo: scudo contro ogni fattore deviante dall’obiettivo (criterio che rilevo con profonda tristezza, al di là della bontà o no, nell’aggettivo buona scuola). Per intenderci, getto all’attenzione l’esempio che mi suggerisce Baurman: <le tecniche di misurazione dei tempi e dei movimenti in fabbrica e il nastro trasportare che (corre)  lungo la catena di montaggio> (Stato di crisi).
- doppia, separando economia e politica, il marchio di identità della nostra razionalità nella nuova pratica e nella sua risonanza sul comportamento individuale e sull’assetto sociale, e l'attualizza in “corporatura” rinnovata.
Per intenderci: permane, in linea di continuità, la costante, operante nel lavoro in fabbrica e con essa la sua risonanza, per i processi di oggettivazione del sapere, come già evidenziato, nelle pratiche di normalizzazione del controllo sia comportamentale dell’individuo sia sociale (Foucault), argine alla deviazione dalla routine imposta (Barman/Bordoni, Stato di crisi) / la novità è nella tecnica manageriale delle operazioni finanziarie, la cui risonanza nelle pratiche di controllo, introduce nuovi processi culturali di normalizzazione.

Pratiche, burocrate in sé, indipendente la forma di razionalità che le sostiene: linfa pedagogica del mio e del nostro agire pensante, burocratico nella stessa contestazione e in ogni nostra opinione, produttrice di quei processi culturali, analizzati da Foucault, che hanno reso accettabile il costituirsi del nostro convivere sociale nella dissociazione fra uguali. In tale dissociazione non abbiamo squilibrato la nativa situazione relazionale che ci destinava compartecipi nella costruzione dello spazio in cui coabitare?

Tale risonanza mette in gioco il ruolo dello Stato, e quindi della politica, e, in essa, il debilitarsi delle lotte sociali; risonanza, effetto solvente per quello che è sempre stato il controllo sociale, il quale è più penetrante poiché dà spazio all’individuo, indipendente dal sesso, e lo svincola dallo sfaccettato ruolo assegnatogli/le all’interno dell’organizzazione (Bauman); effetto solvente, il quale, in forza della tecnologia mobile e la rete, lascia emergere <una nuova soggettività sfilacciata e multiforme>, appunto, e che <si fa esperienza di una possibilità della parola>, articolabile in diverse tonalità: critica, pettegolezzo, parlare tanto per parlare, <anticipazione dell’incontro fisico, carnale>…(Duque, L’età è mobile, qual cella al vento, in <Anterem> / in conseguenza: - incastra nella memoria storica, le elaborazioni dottrinali del liberalismo classico, dello Stato sociale, del collettivismo; - dischiude elaborazioni in chiave neo-liberista, che io oso definire, in piena responsabilità, surrettizia: rende responsabile l’agire pensante di ogni uomo, qualunque sia la condizione economico-sociale, rendendolo <centrale ed in grado di determinare gli eventi con la sua volontà e il suo operato>; - mette in uso una modifica della logica della nostra cultura nelle sue operazioni, esercitate, in conseguenza, razionalmente in circostanze volatili ed imprevedibili, producendo quindi instabilità degli equilibri, necessari, invece ad una organizzazione sociale; - introdurre un nuovo sapere (ho valutato ciò nelle esternazioni sulla crisi), non oscurando quelle stesse gestioni burocratiche della divisione sociale, mantenuta in vita, nell’infedeltà delle lotte emancipative, nel segno del collettivismo, del liberalismo, della democrazia, ma sostenuto dall’esigenza della <stabilità e continuità degli scenari e di conseguenza sulla creazione e stretta osservanza di una routine> (Barman).

e quella situazione relazionale, - svolta storica, provocata da un Kant, immemore, in quanto segna un risveglio in noi la consapevolezza della nostra mondanità, in quanto esistenti, e, con essa, la responsabilità di esperire, in interattività con l‘ondeggiamento incoativo (Nancy) dell’esistente del quale facciamo parte, il nostro operare una costruzione della propria esperienza all’interno del nostro stesso operare, in quanto processo che ci introduce verso sempre orizzonti nuovi mostra in se stessa la soglia critica della separazione.

Soglia, trasparente nella rivelazione del virus, nella modifica. operata all’intermo della logica della cultura di provenienza, un oggi dilemmatico, per il dispiegarsi nel suo status, culturalmente normato, di processi culturali di nuovi modelli di normalizzazione, training del comportamento pensante di ogni individuo, al di là di ogni distinzione, già socialmente educato, sin dalla sua tenera età, nella normalità comportamentale del suo agire pensante della cultura dei padri (Foucault, dimenticato),  quel suo agire pensante educato….

….e le vecchie cicatrici, nel ripiego della logica della nostra cultura, mai rimarginate, in putrefazione, si acuiscono in quell’elemento cardine della nostra cultura: l’individuo / agente pensante in divisione strutturale della relazione (Kant) con l’altro e, di rimando, con la società, provocando <conseguenze importanti sulla cultura, sui rapporti umani, sul destino del mondo in cui viviamo, che separa il passato conosciuto (e diserta l’altro elemento cardine: la successione lineare come superamento del limite del già consolidato – distacco dal mito) da un futuro pieno di incognite> (Bordoni, Stato di crisi).


stacco qui: esigenza di continuità del ciclo
Franco Riccio