Riattivo l’esternazione del XIV sol., collegandomi a quel
per me, segnalato non protocollo, formulario di una teoria, ma possibilità configurativa di
una dinamica del nostro agire pensante,
la quale si attivi nel potenziare sviluppi
intercomunicativi di spazi non duplicativi di vivibilità in tutt’uno con
il moto erratico del farsi
dell’esperienza nelle sue complesse articolazioni.
Attività tendenziale, pertanto / un agire, un fare pensante
in circolarità di pensieri in interazioni a distanza con le varie emergenze
attraverso le quali spiega tutta quella forza trasformatrice di metamorfosi, di
cui parla Morin (E.Morin, La Méthode ), divenendo
la condizione di esistenza delle interazioni, le quali, a loro volta,
influenzano il suo sviluppo.
In tale operatività, se riflettiamo sulla sua tensione, non lascia filtrare l’aspetto
centrale di una questione che mostra, oggi,
una irreversibile risolutezza, se è subordinata ad una risoluzione prefigurata, la quale, per la qualità culturale del suo segno,
restringerebbe la sua complessa problematicità al proprio cerchio e al proprio
operare, tenendo lontani flussi estranei?
Prefigurato, mi interrogo, non attualizza
quella configurazione umbrabile di quella vuota rappresentazione del vivere,
falsificatrice, e quindi, fuorviante di
un agire pensante in interazione orizzontale con i suoi simile nella creazione
di spazi comuni di convivibilità?
Oggi, una configurazione
intersoggettiva comunque strutturata non si mostra inadeguata a realizzare
quella intercomunicazione orizzontale,
promossa dalla praticabilità della rete
e della tecnologia mobile, se
usufruiti come prestazione?
Non è proprio in tale attività esperenziale dell’azione
dell’uomo, esplicabile attraverso la e
per mezzo di procedure in permanente
modifica e alterazione - indici e realizzatrici della strada che si costruisce
attraverso l’interazione reciproca tra il suo mobilitarsi e il fuori -,
l’esigenza del richiamo alla storia?
Esigenza? Perché non definirla ultima spiaggia?
L’attuale, mi chiedo,
dopo la lettura del saggio, già citato di Duque, nell’oblio del richiamo alla storia,
oblio sebbene acquisito con
atteggiamento sfrondato da ogni tragicità,
e liquidatore di ogni idolo e del linguaggio fissato dalla scrittura, nel
proporsi come meta <l’Unità di comunicazione di base>, non rende vivo
quell’<ontologico-categoriale> che rende credibile l’oggettivazione
dei nostri pensieri soggettivi?
Siamo post-moderni o
il nostro essere altri,
inconfondibili con i nostri predecessori, è pensato ed esercitato con quella
mentalità apofantica del discorso credibile che ha presa sulle
coscienze e sull’esistente?
Mi penso: se il voltar pagina, sfida dell’oggi,
mette in moto meccanismi, in grado di
predisporre il terreno per istituire nuovi statuti regolativi del nostro vivere,
non è un continuare a morire, non sapendo di morire, legati ancora alla
gregarità di un inconscio, collettivo ed individuale, riproduttivo di una
immagine di morte civile come condizione di resurrezione futura?
Se togliamo lo sguardo dalle condizioni che segmentano la
dinamica delle contingenze, quale
superficie di iscrizioni delle varie emergenze dell’assestamento del
posizionarsi dell’uomo in rapporto al suo spazio circostante, con le sue
necessità e aspettative sentite, e lo
indirizziamo al costrutto logico, epistemologico, linguistico dei vari saperi, contemplandone e commisurandone
i loro sviluppi, non rende deviante
la connessione e l’ìnterdipendenza tra i saperi
e la società, terreno di provenienza
e nello stesso tempo legame di reciprocità
dei loro rispettivi effetti solventi?
Realismo ingenuo in riduzione psicologica? Mi dichiaro
colpevole. Disattendo la norma
tutelante il pensare oggettivo; norma, prima attivata
dalla filosofia, assiomaticamente; poi, con la svolta scientifica, in
postulato; fino ad ieri, col primato del linguaggio, come la forma necessaria
affinché una preposizione possa mostrarsi dotata di senso. Mi chiedo soltanto
da uomo senza qualità, la norma non è un intenzionato
che rinvia ad un intenzionante?
Al prossimo
soliloquio l’ulteriore esternazione
Franco Riccio