Riattivo il mio dire interrogante a partire dal nocciolo
in sospensione dell’indicazione/progetto dello “staccare”
<il potere della verità dalle forme di egemonia sociale, economica,
culturale all’interno delle quali funziona> (Foucault).
Nocciolo in sospensione: una
espressione non casuale, la mia / indicativa di un turbamento che impegna il
mio rifletterla / lontano da ogni intento interpretativo, il mio dilemma,
anomalo in sé: debitore della spinta
a rifletterla proprio nell’intento condivisibile che centralizza l’obiettivo da
disattivare: la verità.
Riconoscibilità,
cioè, di una identificazione di una centralità che eccede ogni condizione soggettiva, in quanto datità che ha significato in se stessa, in funzione del quale induce effetti di
potere attraverso i quali si riproduce:
centralità eccedente ogni filtrazione di natura soggettiva:
il problema – e il riflettere
senza voler determinare rischia di
produrre la sua poetica all’interno
dell’unità del suo nome / rischio da correre.
Non sta in
tale centralità la fertilità d’ingegno dell’uomo? Non è in
essa la fonte d’origine e di sviluppo della nostra cultura? Non dobbiamo, a
ragion voluta, cercare in essa il problema sollevato da Foucault?
Reità
manifesta, la mia / ibrida miscellanea di ontologismo
e psicologismo che l’unità del nome respinge / non ne chiedo
assoluzione: mi interrogo: sospendere
o negare il protagonismo dell’ingegno dell’uomo, che ancora oggi il Mobil Age testimonia, non è attualizzare
quel feticismo della cultura che ha istituito, e quindi ontologizzato, come
quel luogo entro il quale gli uomini
si collocano? Nessuna filosofia, scienza in tutte le sue varianti, teologia,
linguaggio <si è mai esaurita in se stessa…secondo il suo essere in sé,
sempre sono state in rapporto con il reale processo della vita della società da
cui si separavano> (Adorno, Prismi).
Rileggendo
l’enunciato di Adorno in chiave genealogica
non viene a testimoniarsi una condizione,
che l’ideologia oscura, legata al
nostro status di uomini, in quanto inflessione cadenzante disgiunzioni
individuali, bio-concatenazioni delineanti frattalmente il versificarsi dell’agire pensante del nostro transitorio vivere? Non è questa la
nostra unica via di progettazione e
di comunicazione?
In tale
ottica interrogo interrogandomi sulla centralità di quel nome che la tradizione
ci ha trasmesso con il termine verità.
***
Centralità – e qui mi aiuta
Derrida (Posizioni) – non implica indipendenza: sia da ogni perturbamento
proveniente dal quotidiano vivere che fa del filosofo, dello scienziato,
dello statista uomo come lo siamo
tutti; sia rispetto <a un sistema di significanti>? non rivela, pertanto,
uno status indefinibile e inesprimibile, invariante
nella sua funzione preposizionale? Status,
in base al quale, nelle varianti del
peregrinare errante degli uomini, nell’alternanza incoerente <delle energie
e dei cedimenti, delle sommità e dei crolli, dei veleni e degli antidoti>
(Nietzsche, Il viandante e la sua ombra),
rinvigorisce la sua energia climatizzante l’ondeggiamento incoativo del
rapporto uomo e il suo mondo circostante,
nella sua duplice valenza: fisico e sociale? / una presenza autosvelantesi nel rapsodico, mi direbbe Heidegger, e
dovrei zittirmi? / noi oggi, in
rammemorazione interiorizzante, per dirla con Lacan, non continuiamo ad
esprimerla con quel nome indicibile, verità, sfuggendo come sempre alla sua definizione, piegando la versione positiva di quella presenza in negativo, in
quanto in essa viene a rilevarsi, nella tendenza odierna, il persistere dell’<interconnessione onnimoda di tutte le
procedure (almeno a livello di software)
in una rete comune, costituita proprio da differenze in costante mobilità>?
(F. Duque, L’età è mobile, qual cella al
vento, in “Anterem”).
Ammissione
provocante in me l’esigenza di interrogarmi, riflettendola alla luce dell’indicazione/progetto di Foucault.
L’interconnessione onnimodo non esprime in
attualità quel rapporto semantico
implicito nell’indicibilità di quel nome, disinteressato in atto, ma mai perduto nel nostro inconscio, per pedagogica trasfusione? / non
traluce nel nostro agire pensante in
ogni occasione nel momento in cui oggettiviamo
i nostri pensieri soggettivi? / non è
proprio in tale oggettivazione la connessione, qualunque sia la variante
linguistica, tra la parola e la cosa? Ontologia positiva e ontologia negativa,
così come altro del pensiero sia desiderio sia rete, in
quanto oggettivazione di una
soggettività, sia pure di talento,
non si baciano?
Allora, il
problema della separazione tra verità e le varie egemonie non chiude il problema; al contrario non lo dilata? Non è questo il suggerimento di Foucault, in chiusura
dell’intervista, riportata nel testo citato, dell’indispensabilità del ricorso
al contributo di Nietzsche?
Non è
stato Nietzsche a voltar le spalle ad una critica della ragione, cioè ai modelli
storici attraverso i quali si è ipostatizzata come verità e porre l’accento
su quell’elemento, l’intessuto,
tramandato come verità? Intessuto, nel suo linguaggio, non
esprime quello che lui nomina grammatica
non linguistica della ragion? l’idolo,
del quale <non ci sbarazzeremo
perché crediamo ancora alla grammatica> (Crepuscolo
degli idoli. La “Ragione” Nnella Filosofia)? non è riscontrabile in tale intessuto, l’ipotizzato da Frege come il
legame indispensabile per
salvaguardare l’oggettività dei pensieri
(cfr. C. Penco, Frege tra logica e poesia,
in “Anterem”)?
Tale
spostamento d’accento non squarcia altri interrogativi che aprono ulteriori
spazi di riflessioni per capire e capirci proprio in questo travagliato momento
del nostro vivere? e, quindi, approfondire ed interrogarci, se oltre le
causalità leggibili della crisi economica che subiamo, c’è un morbo che infetta
il nostro modo di pensare? Perché
Nietzsche, nella Gaia scienza, mette
sulle labbra dell’uomo folle, annunciante la morte di Dio, interrogativi sull’alterazione del rapporto uomo e il suo mondo
circostante, sino ad arrivare all’assassinio? Non sono nostri quegli
interrogativi? <Non è il nostro un eterno precipitare?> <Esiste ancora
un alto e un basso?> <Non stiamo forse vagando come attraverso un
infinito nulla?>…e si sfiatano gli uomini che si definiscono Stato a
reclamare riforme e rivoluzioni culturali / blasfemi mentitori con se
stessi e il cui straparlare è l’esca per attirarci in loro balia / noi
appendici del nostro stesso diritto del vivere in dignità il nostro tragitto /
spettatori passivi per diritto di uno spettacolo i cui
protagonisti per diritto daranno vita
ad un nuovo Presidente della Repubblica / scene già viste da film “panettone” /
ogni testa “normativa” ha un proprio presidente…e qui le liti, i compromessi, i
franchi tiratori e…, ma quello che mi fa rabbia e offende la nostra
intelligenza e sensibilità è l’enfatismo declamatorio dei navigatori della rete
del diritto usurpato ai cittadini: navigatori messaggeri di un anti..non so di che cosa…, in quanto la contrapposizione passa
attraverso l’accettazione e l’impiego normativo dei contestati…ai vecchi pastori subentrano i nuovi pastori, abilitati per diritto a governare noi, gregge per
diritto da sempre e beffati dalla delega
che per diritto ci istituisce appendici della nostra stessa dignità di
uomini.
– nausea e disgusto…continuerò a parlare, ma a parlare sul serio, nel prossimo
soliloquio.
Franco Riccio
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