martedì 20 gennaio 2015

TREDICESIMO SOLILOQUIO

Riattivo il mio dire interrogante a partire dal nocciolo in sospensione dell’indicazione/progetto dello “staccare” <il potere della verità dalle forme di egemonia sociale, economica, culturale all’interno delle quali funziona> (Foucault).

Nocciolo in sospensione: una espressione non casuale, la mia / indicativa di un turbamento che impegna il mio rifletterla / lontano da ogni intento interpretativo, il mio dilemma, anomalo in sé: debitore della spinta a rifletterla proprio nell’intento condivisibile che centralizza l’obiettivo da disattivare: la verità.

Riconoscibilità, cioè, di una identificazione di una centralità che eccede ogni condizione soggettiva, in quanto datità che ha significato in se stessa, in funzione del quale induce effetti di potere attraverso i quali si riproduce:
centralità eccedente ogni filtrazione di natura soggettiva:

il problema – e il riflettere senza voler determinare rischia di produrre la sua poetica all’interno dell’unità del suo nome / rischio da correre.

Non sta in tale centralità la fertilità d’ingegno dell’uomo? Non è in essa la fonte d’origine e di sviluppo della nostra cultura? Non dobbiamo, a ragion voluta, cercare in essa il problema sollevato da Foucault?
Reità manifesta, la mia / ibrida miscellanea di ontologismo e psicologismo che l’unità del nome respinge / non ne chiedo assoluzione: mi interrogo: sospendere o negare il protagonismo dell’ingegno dell’uomo, che ancora oggi il Mobil Age testimonia, non è attualizzare quel feticismo della cultura che ha istituito, e quindi ontologizzato, come quel luogo entro il quale gli uomini si collocano? Nessuna filosofia, scienza in tutte le sue varianti, teologia, linguaggio <si è mai esaurita in se stessa…secondo il suo essere in sé, sempre sono state in rapporto con il reale processo della vita della società da cui si separavano> (Adorno, Prismi).
Rileggendo l’enunciato di Adorno in chiave genealogica non viene a testimoniarsi una condizione, che l’ideologia oscura, legata al nostro status di uomini, in quanto inflessione cadenzante disgiunzioni individuali, bio-concatenazioni delineanti frattalmente il versificarsi dell’agire pensante del nostro transitorio vivere? Non è questa la nostra unica via di progettazione e di comunicazione?
In tale ottica interrogo interrogandomi sulla centralità di quel nome che la tradizione ci ha trasmesso con il termine verità.

***
Centralità  – e qui mi aiuta Derrida (Posizioni) – non implica indipendenza: sia da ogni perturbamento proveniente dal quotidiano vivere che fa del filosofo, dello scienziato, dello statista uomo come lo siamo tutti; sia rispetto <a un sistema di significanti>? non rivela, pertanto, uno status indefinibile e inesprimibile, invariante nella sua funzione preposizionale? Status, in base al quale, nelle varianti del peregrinare errante degli uomini, nell’alternanza incoerente <delle energie e dei cedimenti, delle sommità e dei crolli, dei veleni e degli antidoti> (Nietzsche, Il viandante e la sua ombra), rinvigorisce la sua energia climatizzante l’ondeggiamento incoativo del rapporto uomo e il suo mondo circostante, nella sua duplice valenza: fisico e sociale? / una presenza autosvelantesi nel rapsodico, mi direbbe Heidegger, e dovrei zittirmi? / noi oggi, in rammemorazione interiorizzante, per dirla con Lacan, non continuiamo ad esprimerla con quel nome indicibile, verità, sfuggendo come sempre alla sua definizione, piegando la versione positiva di quella presenza in negativo, in quanto in essa viene a rilevarsi, nella tendenza odierna, il persistere dell’<interconnessione onnimoda di tutte le procedure (almeno a livello di software) in una rete comune, costituita proprio da differenze in costante mobilità>? (F. Duque, L’età è mobile, qual cella al vento, in “Anterem”).
  
Ammissione provocante in me l’esigenza di interrogarmi, riflettendola alla luce dell’indicazione/progetto di Foucault.

L’interconnessione onnimodo non esprime in attualità quel rapporto semantico implicito nell’indicibilità di quel nome, disinteressato in atto, ma mai perduto nel nostro inconscio, per pedagogica trasfusione? / non traluce nel nostro agire pensante in ogni occasione nel momento in cui oggettiviamo i nostri pensieri soggettivi? / non è proprio in tale oggettivazione la connessione, qualunque sia la variante linguistica, tra la parola e la cosa? Ontologia positiva e ontologia negativa, così come altro del pensiero sia desiderio sia rete, in quanto oggettivazione di una soggettività, sia pure di talento, non si baciano?

Allora, il problema della separazione tra verità e le varie egemonie non chiude il problema; al contrario non lo dilata? Non è questo il suggerimento di Foucault, in chiusura dell’intervista, riportata nel testo citato, dell’indispensabilità del ricorso al contributo di Nietzsche?
Non è stato Nietzsche a voltar le spalle ad una critica della ragione, cioè ai  modelli storici attraverso i quali si è ipostatizzata come verità e porre l’accento su quell’elemento, l’intessuto, tramandato come verità? Intessuto, nel suo linguaggio, non esprime quello che lui nomina grammatica non linguistica della ragion? l’idolo, del quale <non ci sbarazzeremo perché crediamo ancora alla grammatica> (Crepuscolo degli idoli. La “Ragione” Nnella Filosofia)? non è riscontrabile in tale intessuto, l’ipotizzato da Frege come il legame indispensabile per salvaguardare l’oggettività dei pensieri (cfr. C. Penco, Frege tra logica e poesia, in “Anterem”)?  

Tale spostamento d’accento non squarcia altri interrogativi che aprono ulteriori spazi di riflessioni per capire e capirci proprio in questo travagliato momento del nostro vivere? e, quindi, approfondire ed interrogarci, se oltre le causalità leggibili della crisi economica che subiamo, c’è un morbo che infetta il nostro modo di pensare? Perché Nietzsche, nella Gaia scienza, mette sulle labbra dell’uomo folle, annunciante la morte di Dio, interrogativi sull’alterazione del rapporto uomo e il suo mondo circostante, sino ad arrivare all’assassinio? Non sono nostri quegli interrogativi? <Non è il nostro un eterno precipitare?> <Esiste ancora un alto e un basso?> <Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla?>…e si sfiatano gli uomini che si definiscono Stato a reclamare riforme e rivoluzioni culturali / blasfemi mentitori con se stessi e il cui straparlare è l’esca per attirarci in loro balia / noi appendici del nostro stesso diritto del vivere in dignità il nostro tragitto / spettatori passivi per diritto di uno spettacolo i cui protagonisti per diritto daranno vita ad un nuovo Presidente della Repubblica / scene già viste da film “panettone” / ogni testa “normativa” ha un proprio presidente…e qui le liti, i compromessi, i franchi tiratori e…, ma quello che mi fa rabbia e offende la nostra intelligenza e sensibilità è l’enfatismo declamatorio dei navigatori della rete del diritto usurpato ai cittadini: navigatori messaggeri di un anti..non so di che cosa…,  in quanto la contrapposizione passa attraverso l’accettazione e l’impiego normativo dei contestati…ai vecchi pastori subentrano i nuovi pastori, abilitati per diritto a governare noi, gregge per diritto da sempre e beffati dalla delega che per diritto ci istituisce appendici della nostra stessa dignità di uomini.


 – nausea e disgusto…continuerò a parlare, ma a parlare sul serio, nel prossimo soliloquio.
Franco Riccio 

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