giovedì 29 gennaio 2015

SEDICESIMO SOLILOQUIO

Riattivo l’esternazione del XIV sol., collegandomi a quel per me, segnalato non protocollo, formulario di una teoria, ma possibilità configurativa di una dinamica del nostro agire pensante, la quale si attivi nel potenziare sviluppi  intercomunicativi di spazi non duplicativi di vivibilità in tutt’uno con il moto erratico del farsi dell’esperienza nelle sue complesse articolazioni.

Attività tendenziale, pertanto / un agire, un fare pensante in circolarità di pensieri in interazioni a distanza con le varie emergenze attraverso le quali spiega tutta quella forza trasformatrice di metamorfosi, di cui parla Morin (E.Morin, La Méthode), divenendo la condizione di esistenza delle interazioni, le quali, a loro volta, influenzano il suo sviluppo.
In tale operatività, se riflettiamo sulla sua tensione, non lascia filtrare l’aspetto centrale di una questione che mostra, oggi, una irreversibile risolutezza, se è subordinata ad una risoluzione prefigurata, la quale, per la qualità culturale del suo segno, restringerebbe la sua complessa problematicità al proprio cerchio e al proprio operare, tenendo lontani flussi estranei?
Prefigurato, mi interrogo, non attualizza quella configurazione umbrabile di quella vuota rappresentazione del vivere, falsificatrice, e quindi, fuorviante  di un agire pensante in interazione orizzontale con i suoi simile nella creazione di spazi comuni di convivibilità?
Oggi, una configurazione intersoggettiva comunque strutturata non si mostra inadeguata a realizzare quella intercomunicazione orizzontale, promossa dalla praticabilità della rete e della tecnologia mobile, se usufruiti come prestazione?
Non è proprio in tale attività esperenziale dell’azione dell’uomo, esplicabile attraverso la e per mezzo di procedure in permanente modifica e alterazione - indici e realizzatrici della strada che si costruisce attraverso l’interazione reciproca tra il suo mobilitarsi e il fuori -, l’esigenza del richiamo alla storia?
Esigenza? Perché non definirla ultima spiaggia?
L’attuale, mi chiedo, dopo la lettura del saggio, già citato di Duque, nell’oblio del richiamo alla storia, oblio sebbene acquisito con atteggiamento sfrondato da ogni tragicità, e liquidatore di ogni idolo e del linguaggio fissato dalla scrittura, nel proporsi come meta <l’Unità di comunicazione di base>, non rende vivo quell’<ontologico-categoriale> che rende credibile l’oggettivazione dei nostri pensieri soggettivi?
Siamo post-moderni o il nostro essere altri, inconfondibili con i nostri predecessori, è pensato ed esercitato con quella mentalità apofantica del discorso credibile che ha presa sulle coscienze e sull’esistente?

Mi penso: se il voltar pagina, sfida dell’oggi, mette in moto meccanismi, in grado di predisporre il terreno per istituire nuovi statuti regolativi del nostro vivere, non è un continuare a morire, non sapendo di morire, legati ancora alla gregarità di un inconscio, collettivo ed individuale, riproduttivo di una immagine di morte civile come condizione di resurrezione futura?

Se togliamo lo sguardo dalle condizioni che segmentano la dinamica delle contingenze, quale superficie di iscrizioni delle varie emergenze dell’assestamento del posizionarsi dell’uomo in rapporto al suo spazio circostante, con le sue necessità e aspettative sentite, e lo indirizziamo al costrutto logico, epistemologico, linguistico dei vari saperi, contemplandone e commisurandone i loro sviluppi, non rende deviante la connessione e l’ìnterdipendenza tra i saperi e la società, terreno di provenienza e nello stesso tempo legame di reciprocità dei loro rispettivi effetti solventi?

Realismo ingenuo in riduzione psicologica? Mi dichiaro colpevole. Disattendo la norma tutelante il pensare oggettivo; norma, prima attivata dalla filosofia, assiomaticamente; poi, con la svolta scientifica, in postulato; fino ad ieri, col primato del linguaggio, come la forma necessaria affinché una preposizione possa mostrarsi dotata di senso. Mi chiedo soltanto da uomo senza qualità, la norma non è un intenzionato che rinvia ad un intenzionante?

Al prossimo soliloquio l’ulteriore esternazione

Franco Riccio

1 commento: