Rilancio questa mia esternazione nel tentativo di
risvegliare in me, palesandola, una dimenticanza,
oscurata da un rinsaldarsi in noi uno schema
mentale tendente ad attivare i nostri pensieri
soggettivi in pensieri oggettivi,
ascrivendo in essi quello che Aristotele nell’Organon definisce <enunciato dichiarativo>, diverso dalla
retorica e dalla poetica, in quanto <attribuisce qualcosa a qualcosa>
attraverso un giudizio affermativo
contrapposto alla sua negazione.
Contrapposizione, genealogia dell’affermativo – e nel mio rifrangerlo, il
richiamo a Derrida si fa vivo: <il
pensiero della gerarchia violenta>, il quale si costituisce genesi dell’univoco, in cui <uno dei due termini
comanda l’altro> (Posizioni) / mi
interrogo: nell’univocità, anche nel
verso negativo, strutturalmente
omogeneo al positivo, non è da
collocare il dispositivo onto-teologico
che mira a proteggere dal divario
dell’esperienza qualsiasi equilibrio
determinatosi, a prescindere dalla sua natura politico-sociale o da qualsiasi struttura o fissazione
paradigmatica o linguaggio?
Affermazione, non è <essa stessa
potere>? La verità (Foucault)
riprodotta in chiave genealogica a nostro schema
mentale?
e la memoria, irrispettosa della cronologia dello storico
dei fatti, delle idee, della scrupolosità del filologo,
dell’invasamento specialistico, del
burocrate censore, mi rievoca pensieri provenienti da quel mondo della
“fantasia”, il mondo della poesia che
per Frege, sulla scia di Aristotele, definisce regno che si situa al di qua del
vero e del falso (Il pensiero).
Al di qua del vero
e del falso, una
via liberatoria dalla reificazione, condizionante le primavere del nostro agire
pensante, percorribile attraverso un rivolgimento totale del nostro schema mentale – e il ghigno beffardo
del nano, spirito di gravità (Nietzsche,
Così parlò Zarathustra), si fa
ponderato giudizio in Hölderlin (Sul
tragico): <Un rivolgimento totale qui, come in genere ogni rivolgimento
totale, è privo di qualsiasi ritegno,
non è lecito all’uomo in quanto essere conoscente> - e il suo eco si
rifrange nella riflessione profetica di Ulrich (R. Musil, L’uomo senza qualità, v. II): sottratto dalla vita l’univoco l’uomo si smarrisce nel crepuscolo…<fra un po’ di tempo gli uomini
saranno molto intelligenti e parte dei mistici. Forse avverrà che anche ai
nostri giorni la morale si divida in queste componenti. Potrei anche dire: in
matematica e mistica. In miglioramento pratico e avventura ignota!>.
Pensieri in
attualità, i
quali mi danno una mano a focalizzare, il bacillo che ravviva la malattia sociale, espandendosi
attraverso nuovi focolai, i quali, nella variabile,
mantengono viva quella funzione programmatica dell’univoco che dà alle relazioni che attualizza quel carattere affermativo che, per dirla con Gadamer,
a proposito della scrittura ( Verità e metodo), si impone <agli occhi di tutti in una superiore sfera del
senso>: io so, tu no (Adorno), ma in moltiplicazione di io. / e la confusione regna sovrana, ma l’elemento per me preoccupante è l’avvertire la
mancanza di una sua tematizzazione,
tale, mi sembra, che essa assurga a “grammatica” del nostro pensare.
e ciò mi induce a persistere nella convinzione che il
ritorno del sempre identico nelle attualizzazioni delle primavere esperenziali,
interruttive irriducibili, per innovazioni di variabili innovative, anche al
loro passato prossimo, debba cercarsi in quel bacillo, identificabile nel come
pensiamo
È qui la motivazione del risvegliare in noi le origini della
nostra civiltà, e spiegarci perché la
sua originalità cognitiva, che non
possiamo né dobbiamo perdere, abbia mietuto e continua a mietere morte nel nome della redenzione.
Franco Riccio
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