mercoledì 4 febbraio 2015

DICIASSETTESIMO SOLILOQUIO

Rilancio questa mia esternazione nel tentativo di risvegliare in me, palesandola, una dimenticanza, oscurata da un rinsaldarsi in noi uno schema mentale tendente ad attivare i nostri pensieri soggettivi in pensieri oggettivi, ascrivendo in essi quello che Aristotele nell’Organon definisce <enunciato dichiarativo>, diverso dalla retorica e dalla poetica, in quanto <attribuisce qualcosa a qualcosa> attraverso un giudizio affermativo contrapposto alla sua negazione.
Contrapposizione, genealogia dell’affermativo – e nel mio rifrangerlo, il richiamo a Derrida si fa vivo: <il pensiero della gerarchia violenta>, il quale si costituisce genesi dell’univoco, in cui <uno dei due termini comanda l’altro> (Posizioni) / mi interrogo: nell’univocità, anche nel verso negativo, strutturalmente omogeneo al positivo, non è da collocare il dispositivo onto-teologico che mira a proteggere dal divario dell’esperienza qualsiasi equilibrio determinatosi, a prescindere dalla sua natura politico-sociale o da qualsiasi struttura o fissazione paradigmatica o linguaggio? 
Affermazione, non è <essa stessa potere>? La verità (Foucault) riprodotta in chiave genealogica a nostro schema mentale?
 
e la memoria, irrispettosa della cronologia dello storico dei fatti, delle idee, della scrupolosità del filologo, dell’invasamento specialistico, del burocrate censore, mi rievoca pensieri provenienti da quel mondo della “fantasia”, il mondo della poesia che per Frege, sulla scia di Aristotele, definisce regno che si situa al di qua del vero e del falso (Il pensiero).
Al di qua del vero e del falso, una via liberatoria dalla reificazione, condizionante le primavere del nostro agire pensante, percorribile attraverso un rivolgimento totale del nostro schema mentale – e il ghigno beffardo del nano, spirito di gravità (Nietzsche, Così parlò Zarathustra), si fa ponderato giudizio in Hölderlin (Sul tragico): <Un rivolgimento totale qui, come in genere ogni rivolgimento totale, è privo di qualsiasi ritegno, non è lecito all’uomo in quanto essere conoscente> - e il suo eco si rifrange nella riflessione profetica di Ulrich (R. Musil, L’uomo senza qualità, v. II): sottratto dalla vita l’univoco l’uomo si smarrisce nel crepuscolo…<fra un po’ di tempo gli uomini saranno molto intelligenti e parte dei mistici. Forse avverrà che anche ai nostri giorni la morale si divida in queste componenti. Potrei anche dire: in matematica e mistica. In miglioramento pratico e avventura ignota!>.

Pensieri in attualità, i quali mi danno una mano a focalizzare, il bacillo che ravviva la malattia sociale, espandendosi attraverso nuovi focolai, i quali, nella variabile, mantengono viva quella funzione programmatica dell’univoco che dà alle relazioni che attualizza quel carattere affermativo che, per dirla con Gadamer, a proposito della scrittura ( Verità e metodo), si impone <agli occhi di tutti in una superiore sfera del senso>: io so, tu no (Adorno), ma in moltiplicazione di io. / e la confusione regna sovrana, ma l’elemento per me preoccupante è l’avvertire la mancanza di una sua tematizzazione, tale, mi sembra, che essa assurga a “grammatica” del nostro pensare.

e ciò mi induce a persistere nella convinzione che il ritorno del sempre identico nelle attualizzazioni delle primavere esperenziali, interruttive irriducibili, per innovazioni di variabili innovative, anche al loro passato prossimo, debba cercarsi in quel bacillo, identificabile nel come pensiamo


È qui la motivazione del risvegliare in noi le origini della nostra civiltà, e spiegarci perché la sua originalità cognitiva, che non possiamo né dobbiamo perdere, abbia mietuto e continua a mietere morte nel nome della redenzione.
Franco Riccio

Nessun commento:

Posta un commento