domenica 19 aprile 2015

VENTISEIESIMO SOLILOQUIO

Il <non> e l’interrogativo  di Marco Furia / il mio a fianco 

Critica non è altro che pensare in negativo: coralità di voci di un pensare differentemente, distinguibili: in tonalità in sfumature sfaccettate, nell’ottica della riutilizzazione, attualizzata nel figurato che ne descrive e ne qualifica l’orientamento  (per intenderci, segnalo quelli che hanno assunto un ruolo culturale egemonico: strutturalista, fenomenologico, neopositivista, analitico, ermeneutico), del criterio condizionale a partire e per mezzo del quale il relativo tessuto discorsivo assume quel realismo logico qualitativamente altro del dicibile poetico; in atonalità edipizzata, in quanto la decostruzione di quel criterio ne riattiva, nel disinnescarne la funzione normativa, quel realismo logico nell’oggettivazione dell’alternativa proposta: ineludibilità di un atteggiamento mentale: il positivo, il certificato di credibilità di ogni proponibile: Edipo nell’Anti-Edipo di Deleuze/Guattari; nella disseminazione di Derrida; in me.

Il negativo! Più lo vivo, frastornato dall’urlo di un presente in travaglio squillante, a più voci in reciproca dissonanza, il no alla storia dell’ieri, più vedo misurato quel no, trapasso, messianico annuncio di nuove primavere, sul piano dell’enunciato più convincente del loro segno di redenzione.

Il no, vigore di una dialettica dell’alternativa, perduta per strada dalla riproposizione della normativa dell’assoggettamento, oggi, oltre quella dialettica, propulsore criptico già allineato a omogeneizzare i comportamenti, imposto, spiegato e giustificato razionalmente dall’enunciato in opposizione: trionfo di Edipo.


Io, in contagio consapevole, mi muovo, tra le mie tensioni irrisolti, interrogando interrogandomi attraverso un dicibile figurato dal coniugare l’esigenza logica del senso con l’immaginazione poetica, sollevandolo dalla fissità del linguaggio e dal relativo tu devi della grammatica, per sfuggire alla sua oggettivazione, Edipo, e presentarlo spinta a uscire dallo scolasticismo indotto: <la vita non è un argomento>: Nietzsche: La Gaia scienza
Franco Riccio

VENTICINQUESIMO SOLILOQUIO

Virtuale, configurazione spazio-temporale connotativa di un capitalismo che si attiva nell’autoestraniamento dal lavoro / declinazione effettuantesi, pertanto, attraverso una sospensione del normale rapporto di referenza / “afferra” in sé gli indici già rilevati e la motivazione di lettura del profondo in denotatività delle “categorie” con le quali si sono resi leggibili modernità e postmodernità / di conseguenza fa luce una esigenza interrogativa vagliatrice, svincolata da ogni formalizzazione di ragionamenti normativi; richiesta vitale oggi, per una configurazione di operatività sociale sottratta sia alla politica réclame sia alle egemonie culturali del marxismo, del liberalismo e dello stesso neo-liberalismo, il quale sembra, oggi, mostrarsi il lettore più “credibile” e ispiratore della politica, esemplificata dalla tecnica operativa della sua logica economicista, riguardante in prima istanza, la flessibilità del lavoro estesa ai datori di lavoro, per esigenze temporanee di produzione, e giustificata propensiva di occupazione e nuove opportunità per giovani e donne / politica da noi praticata da Renzi, col beneplacito della Merkel.

Virtuale, pertanto, va ricondotto alla genealogia del suo prendere storia: istanza economica ricostruita in operatività finanziaria di scambi fruttiferi di ricchezza / terreno immateriale su cui defluisce denaro volatile e senza volto (si rimanda al precedente sol.) / in tale caratteristica è rilevabile un autodissociarsi dalla sintattica terminologica del nostro uso linguistico: si produce nella denotatività della connotatività della sua semantica che la significava possibilità d’essere / si attiva temporalità in assetto-base in fluttuanti oscillazioni, provocate dall’intreccio, estemporaneo o valutato secondo esige di mercato, di scambi, relazioni, operazioni, finalizzati a produrre ricchezza, di una configurazione mondana in temporanei variazioni di equilibri, correlata alla situazione di fatto con un sociale, a sua volta, genealogicamente determinante della possibilità del suo farsi strada / frattalità di equilibri nella dinamica fluttuante delle sue operazioni, generatrici di evoluzioni differenti dalle precedenti, ma assimilabili nella produzione di ricchezza / frattalità, che, per la correlazione, incide profondamente negli equilibri sociali delle varie geografie politiche e che si ripercuote sulla vita delle persone.

Correlazione irrelata, in un inradicamento genealogico geografico, quindi non cosmologico né ontologico, lascia emergere una situazione de facto che delinea una differenza oggettiva, nella rialiattulizzazione dei meccanismi di interazione, tra un oggi, socialmente in crescita entropica, e un ieri passato e prossimo, le cui rispettive situazioni de facto si determinavano attraverso meccanismi di interazione, egemonizzati, rispettivamente, da un capitalismo, in lettura di Marx, del produrre per produrre ricchezza (il Capitale); e la più recente, in successione rettilinea uniforme, letta da Adorno, nell’assunto teorico del valore, in funzione del quale <i consumatori…credendo di consumare il loro valore d’uso, consumano di fatto il valore di scambio, per la forma di merce che assume> (Dissonanze).

In tale contestualità in movenze dinamiche, appunto, per gli effetti solventi di un capitale finanziario, la cui flessibilità delle disponibilità finanziarie e del loro ampio raggio di investimenti produttivi produce simultaneamente concentrazione di ricchezza e incertezza e instabilità negli individui e nel loro rapporto sociale (Zygmunt), si rivela il carattere dilemmatico del cambiamento in atto.

Dilemmatico, mette in circolazione un interrogativo cruciale / interrogativo indispensabile, per reperire, nello spazio di confine che distingue la smaterializzazione del capitale - proprio nello spiegare l’originalità dell’intelligencija che la corrobora e la quale non è indipendente, ma genealogicamente radicata nell’esistente culturalmente organizzato -, dalle forme precedenti.

Una originalità, quindi, genealogica, manifestazione, nella contingenza del presente, di una peculiarità, prerogativa di ogni uomo, di essere, per dirla con Monod, dotato <di un progetto ׀ io direi: intelligencija, produttiva del figurabile progetto ׀ rappresentato nelle loro strutture e al tempo stesso realizzato mediante le loro prestazioni> (Il caso e la necessità). / Essa è tale, in quanto si rivela portatrice di una singolare cesura che staglia la differenza con l’intelligencija, connotativa del <nucleo logico> della nostra razionalità.

Cesura / sottolineo il termine di proposito / in essa è l’avvento del problema che salta fuori radicale e risolutivo nelle sue soluzioni oggi imprevedibili / cesura, manovra operantesi nella snodabilità virtuale del capitale finanziario / manovra economica, la quale è tale in quanto è sociale e in esso si rivela nella sua statura culturale / problema in inasprimento per l’intrecciarsi casuale con l’evolversi del processo di deoccidentalizzazione nella sfida dell’Islam e nella minaccia dell’imperialismo economico della Cina. 

Essa dà adito a problematiche aperte intorno a quel <nucleo logico> nei vari giochi tematici, messi in atto dai vari stili enunciatici delle varie discipline, intorno all’annoso rapporto tra discorso e realtà, proposto come solvente dei problemi socio-politici del nostro vivere comunitario, rendendo necessaria una meditata riflessione sulla nostra razionalità normativa e che passa, facendo mia una sollecitazione di J.-M. Lévy-Leblond (L’esprit de Sel ), in <messa in cultura della scienza>, estesa a tutti saperi e, poiché non è una questione elitaria, in messa in cultura del nostro agire pensante come individui sociali.

La contestualità degli effetti solventi sul nostro quotidiano vivere del taglio di cesura operato e operabile da quell’<immateriale, volatile e senza padroni> (Bordoni) con il quale si dà oggi il figurato del capitalismo: il virtuale, rende indispensabile passaggi graduali di una messa in cultura del nostro agire individuale, politico, sociale tutt’uni con il divenire dell’esperienza, senza ritorni / siamo <figli del tempo>, scriveva qualche hanno fa Prigogine. / oggi, in un sociale, perforato nella sua radice materiale e formale - spinosità di un passaggio / interrogare interrogandoci, per capirci, all’interno di una confusione di idee e di linguaggi, miscelati con una mistica piagnistea che ci lascia immiserire in un precariato economico, esistenziale, culturale / spinosità, incentivante, in conseguenza, un tirare fuori dai cardini economici i segni che rendono leggibile il livello di cesura del virtuale nei confronti della nostra travagliata, ma sfavillante tradizione culturale.

a poi
Franco Riccio

VENTIQUATTRESIMO SOLILOQUIO

Riprendo il filo della riflessione nel punto della sua sospensione: gli stralci di lettura:

causale più lampante, visibile ad un laico come me di tali problemi, è marcata dall’indebitamento degli Stati: <non hanno la forza, forse neppure gli strumenti. Possono solo tagliare alla rinfusa, esasperando la recessione> (Bordoni), lasciando, ogni individuo all’arbitrio del mondo, generando un acuirsi dell’imbarbarimento del rapporto relazione, anche il più intimo: ci aggiornano la cronaca e i notiziari televisivi; mi amareggia e mi nausea il linciaggio carognanesco verso chi è indiziato di reato, ma non dichiarato ancora colpevole, da parte di chi si arroga il diritto di giudizio in nome di una sana politica senza politica: inedita “etica” del calcolo di esercizio di potere – credo con il beneplacito di Foucault; 


la non meno evidente è descritta da Zygmunt <crisi di rappresentanza>, giustificata dalla doppia sfiducia e perdita di credibilità del pubblico sia <nella saggezza e ”potenza dello Stato> che della <mano invisibile del mercato>;

la causale dell’imbarbarimento, qualificante la specificità del nostro vivere singolarmente, senza distinzione di età, sesso, ruolo, la nostra quotidianità in un territorio comune, che noi persistiamo a chiamare società, tale, ripeto, da rendere inaffidabile i nostri rapporti umani, è individuata da Bordoni nel vivere l’individuo <in una perenne crisi> assimilando in lui, il quale è poi un noi, l’insicurezza congenita in uno stato di sincope; insicurezza, tra l’altro, <dominata da ripetuti tentativi di aggiornamento e di adattamento, che sono continuamente rimessi in discussione> - discussione? Scambi verbali contendenti un primato di accorgimento del problema che si estingue nel vocio;

nel seguente rilievo di Bordoni rinvengo il fattore politico-culturale che rende fumigante le azioni dei politici e selvaggio l’abito del linguaggio in uso da politici, giornalisti, presunti moralisti e l’esibizione televisivi dei vari dibattiti; rilievo, pertanto, attrattore, per me, gravitazionale della disintegrazione del tessuto sociale – e su cui è necessario interrogarci: il divorzio tra <potere e politica>, produttore, secondo Bordoni, di un nuovo tipo di paralisi, attuando <una sorta di “statalismo senza Stato”, come l’ha definito Balibar, che è poi una forma di “governance” indiretta, obbliga di governare> - vocabolo che offende la dignità di ogni uomo / i vecchi contadini usavano quel termine per gli animali / ora è un diritto democratico che elimina la differenza fra l’uomo di “centro”, di “destra”, di “sinistra”, di “estrema sinistra”, della così detta “antipolitica”, di “coalizione sociale”, di “rivoluzione civile”: obbligo di governare / perdono: in delega che diventa di fatto atto/diritto liberatorio da ogni responsabilità verso i deleganti, i quali rimangono appendici delle loro delibere e che diventano attori politici nell’attimo del deposito della scheda nell’urna. Da qui l’antico rapporto del lupo contro lupo si attualizza, nel segno di sana politica, senza politica poiché essa si manifesta, come palesano gli autori del testo, in forma di potere / potere? Direi, in linea con Foucault, esercizio di potere, aggiungendo, rivestito di moralità;

e il modo di avvertire i sintomi che la crisi va manifestando nel suo decorso, sia all’interno delle geografie europee sia nel travagliato e composito territorio islamico sia nell’avanzata incontrollabile dell’economia cinese, e, in parallelo, le risposte alle domande che essa pone, in Europa, vanno ripiegate settorialmente o nel singolo episodio e in taglio, nel nostro paese, burocratico normativo e meritocratico (il “prezzo”, Habermas / misura del rendimento, anche nell’insegnamento / non sanno quel che dicono); tra l’altro, presente anche nelle voci dell’anti-politica, della coalizione sociale tra le forze di sinistra (?!?): Abbiamo bisogno di storia / nell’insieme del rilievo, nel rifletterlo, percepisco una certa tendenza liquidatrice della nostra cultura, presagio, nel monito di Adorno, in Sociologia II, di <ricaduta nella barbarie> 


il filo rosso che attraversa il paesaggio, composito nella distribuzione articolata dei vari settori (economico, politico, sociale, culturale) che ritraggono l’equilibrio sociale delle nostre geografie politiche, colpendone i registri nella forma di intelligibilità che li qualifica europee, è tessuto dalla cangiante fisionomia dell’attuale capitalismo nel persistente suo ruolo di controllo della società. 

Evidenziarne la trasfigurazione in atto come il filo rosso, per me, è inevitabile perché in esso si trovano innescate le operazioni debilitanti o rinnovanti quella conformazione nella sua capacità produttrice di condizioni di vivibilità del nostro vivere comunitario. Ne è motivazione il riscontro di una attivante crescita spontanea, che definirei entropica, considerata nella doppia valenza liquidatrice/innovativa di quel che costituisce la nostra impronta di intelligibilità; cioè, esprimendomi nel linguaggio di Frege (Il pensiero), il <nucleo logico> attorno al quale si sono e si istruiscono, in varietà notevole, le <fogge> di pensiero filosofico, scientifico, politico, sociale ed economico, e i cui effetti solventi costituiscono il fascio coerente della linea regolativa con cui le relative situazioni de facto, nel connettersi, interagendo, contestualizzano lo status della società. Per me è il fornire uno strumento di lettura della crisi.


– un indice di possibilità – in questo spazio, propedeutica (inversione del mio proposito di dar precedenza alla esposizione degli autori del testo) alla mia lettura della singolarità che assume oggi quella trasfigurazione / singolarità, la quale oltrepassa i limiti dell’esperienza economica / accede al dominio dell’esistenza, investendo quel <nucleo logico>, radice genealogica della nostra razionalità, la quale al di là delle forme o dell’informe con le quali ha preso storia, ha assunto il compito di “chiudere “ nelle sue varie forme conoscitive o nel suo manifestarsi Altro, costruite/o all’interno della propria poietica, l’ondeggiamento incoativo dell’esperienza, tracciando un solco col dire attraverso l’esperienza del poiein (Hölderlin) e al suo travaglio della ricerca della poietica intorno a quella stessa incoatività / trasfigurazione di conseguenza perturbante in sé e perturbatrice delle geografie in gestione di politiche con la “politica” della delega, pertanto legittimante la sua posizione dilemmatica / offuscando il rinnovarsi stagionale dell’antica contesa tra pathos e logos, in una esperienza mondana in ardua miscellanea di indifferenza e povertà / e acutizzando il solco prodotto da quel <nucleo logico> tra razionalità e poesia / <nucleo> immemore del rilievo da esso sollevato per bocca di Aristotele che l’azione umana in se stessa, a prescindere dalle intenzioni che l’accompagnano è, nel dire di Hölderlin, un <agire poetare>.

Ora spazio agli autori del testo 

Bordoni individua, in lettura economica, condividibile, la singolarità del nuovo capitalismo in <quelle caratteristiche inconfondibili del sistema fondato sulla fabbrica, i grandi impianti, le concentrazioni, gli investimenti a lungo termine, la fidelizzazione della mano d’opera / ha perduto il suo stretto legame con il mondo del lavoro / si è smaterializzato / si è rivolto ai mercati finanziari / un luogo virtuale, quindi un “non luogo”, che non ha una collocazione geografica, ma si muove liberamente a livelli più alti, al di sopra dei territori, con una modalità frenetica, immediata, mutevole ad ogni indizio>.

divorzio tra capitale e lavoro / liquidazione dei capitali investiti nell’industria, col conseguente suo trasferimento nell’empireo della finanza sovranazionale, <dove gli anonimi della finanza virtuale non hanno responsabilità per i danni provocati dal loro operato>. 

Sottolineatura di Bordoni, il rifletterla, da un lato: obliqua il mio sguardo sulla cecità di una lotta sindacale contro un capitalista che non ha storia, anche lui travolto dal virtuale come ha reso inutile la nostra volontà, già adulterata, di elettori – la citazione di Richard Rorty da lui riportata ne è la fotografia: <Ora abbiamo una sovraclasse globale che prende tutte le principali decisioni economici, e le rende del tutto indipendenti dai legislatori e, a fortiori, dalla volontà degli elettori di un dato paese>; dall’altro, incentiva in me un atteggiamento interrogante in taglio operazionale, intenzionato a sollevare quella che per me è diagnosticabile questione ineluttabile / l’interrogativo ineliminabile, sottostimato dal rumore della crisi, per la risultanza peggiorativa sul mondo del lavoro e sulla condizione del ceto medio, nervatura per l’equilibrio della società, accusante, per necessità virtù, interventi indilazionabili. Nodo fuori dubbio problematico, provocato dall’inviluppo di divorzio tra capitale e lavoro e virtualità con cui si impone il capitale finanziario, fruttuoso di ricchezza, schermata di fatto dall’irresponsabilità giuridica, in quanto non riconducibile ad una persona fisica, ma all’investimento e di disinvestimento di denaro virtuale <all’interno di un intreccio imperscrutabile, relazioni, operazioni>, mosso solo da funzionari (Bordoni) / nodo, sul quale, se è pertinente l’interrogativo economico, è fondamentalmente un fatto sociale / in quanto tale i processi di oggettivazione delle sue operazioni economico-finanziari non possono che ripercuotersi in risonanza con le pratiche, direbbe Foucault, di “normalizzazione” della società.



Non si pone, di conseguenza, legittima la pertinenza dell’interrogativo non economico sul suo processo soggiacente alle operazioni imperscrutabili, e chiedersi: siamo in presenza di una nuova razionalità in un contesto singolarmente ambiguo?

In attinenza, la crisi, segnalando in quelle operazioni l’inviluppo avvolgente in sé il divorzio tra capitale/lavoro e la virtualità del capitale finanziario, viene a leggersi con l’etimo cruciale / me lo spiego: in quella nominazione viene a trovarsi la motivazione dell’interrogativo: solleva all’attenzione l’angolazione nevralgica del passaggio, estuario di alternative possibili, ma tutte gravitanti all’interno di quell’interrogativo, aperto a nuovi e imprevedibili tipi di formalizzazione dell’organizzazione sociale, i cui effetti si riverseranno sul comportamento degli uomini e sulla trasformazioni nei campi del sapere.


Nel virtuale è il segnale di una svolta che interrompe la linea retta del tempo su cui si è istituzionalizzato ed articolato la successione delle sue configurazioni territoriali il <nucleo logico> della nostra cultura / occorre, pertanto, poiché essa mette in bilico la nostra cultura nella doppia direzione verso la sua liquidazione o verso quella svolta nella quale è lo svelarsi di una modernità mai esistita, è necessaria una sua meditata riflessione / al prossimo.
Franco Riccio



mercoledì 8 aprile 2015

VENTITRESIMO SOLILOQUIO

Crisi, indica <una connotazione prettamente economica>? Il quesito che si pone Carlo Bordoni e che tematizza con Zygmunt Barman (a lui si deve la definizione della <modernità liquida>) in Stato di crisi (2015, Einaudi, l’ed. originale è del 2014), affrancando il termine da quell’<attribuzione di responsabilità spersonalizzata, che libera gli individui da ogni coinvolgimento e fa riferimento a un’entità astratta, dal suono vagamente sinistro>, e di contro, cogliendone il segno emblematico di un profondo sconvolgimento, conturbante il sistema economico.

Ineluttabilità del quesito, recepibile nella mia riflessione, come presa di posizione di fronte alla confusione dei linguaggi e dei ritagli settoriali, in quanto, nell’accedere al suo aperto <significato originario> ׀ <passaggio>, <decisione>, <cruciale>, <contesa>, <da cui deriva criterio ׀, è configurabile, per me, la messa a fuoco, per la sua composita angolatura, della portata di perturbazione, proporzionale all’intensità di cesura rilevata.

Una parola: crisi, eppure, proprio in relazione al linguaggio, in forza della polisemia dei suoi segni, si colloca oltre il suo carattere linguistico / in tale accezione, la  plurima possibilità analitica del senso dei suoi segni (estensione semiologia) e della loro significazione (estensione semantica) / può costituire un strumento esplorativo del momento particolare del nostro vivere il quotidiano, per capire e capirci: la mia scelta opinabile, la quale, sottintende una rilettura della proposta di Guattari (La rivoluzione molecolare) di una semiotica non ideologica

L’applicare, pertanto, la polisemia dei suoi segni nel mio obliquo osservare interrogante il rilievo di Habermas del logorio di quello che lui denomina legame sociale, il quale, per me, è la risultanza genealogica di un vincolo, può costituire un indice segnalatore di  riscontro, nello stato in cui viviamo, di situazioni, di eventi in fase di “straripamento”, tale da manifestare quel vincolo un incastro di livelli d’integrazione in enzima eruttivo / uno spunto dal testo mi è di conforto, poiché esternizza gradi di instabilità, letti da me fattori gravitazionali, in quanto delineano l’orbita di oscillazione e lo stadio di intensità dell’incrinatura che contribuisco a rendere traballante l’organizzazione sociale; incrinatura aggravatasi, segnale da non sottovalutare, dopo lo smantellamento del welfare, da <esigenze improcrastinabili>, <problemi di bilancio>, <adeguamento alle normative europee> (Bordoni) / da qui la scelta di lettura dei rilievi che traggo dal testo con leggibilità di impiego della pluralità degli indici che il termine crisi esprime / uno stile rapsodico, non architettonico: frammentario, e, in tale erranza, aprire spazi di riflessioni comparative / penso: tale impiego può offrirsi potenziale cronometro di misurazione della possibilità e delle velocità dei mutamenti in corso e di rilevarne, nel passaggio, cicatrici, retaggi del passato o indici di svolte.

L’espressione passaggio mi spinge a riflettere il profondo cambiamento in svolgimento dell’intero sistema economico, accreditato dalle varie analisi, e il consequenziale coinvolgimento dei suoi effetti solventi sul reticolo organizzativo politico, sociale, culturale della società, legittimandone l’impronta mediante la quale mi si manifesta, osservandolo: posizione dilemmatica. Ciò è accertabile, se si considera: la disinformazione del grado di entità ed estensione degli accidenti in percorso migratorio; delle loro probabili variabili composizioni, non paradigmatiche; il gioco competitivo per la loro gestione, delle forze emergenti; proprio tali rilievi, in interconnessione cooperativa, ai quali si aggiunge la confusione delle idee e dei linguaggi, inducono a presentarci quel profondo in situazione nevralgica: quel “profondo” si rivela oggettivamente in ondeggiamento incoativo di effetti destabilizzanti l’organizzazione della convivenza fra gli uomini, incentrata sino a qualche tempo fa sulla sovranità istituzionalizzata – Stato - esercitata all’interno di precisi confini territoriali (la formula di Vestfalia mi ricordano gli autori del testo citato) / destabilizzazione, provocata dall’intrecciarsi di differenti connessioni locali e connessioni globali, inaugurando una fitta rete di problemi, per i quali si costituisce di per sé problema, sfaldando di conseguenza ogni campo di pertinenza e la relativa connessione sia ad una specifica disciplina che al relativo intervento sanatorio del guasto settoriale.

Perspicace osservazione spigolosa necessita, in grado di attivare e risvegliare l’esigenza di analisi ponderata e vagliata di quel profondo che coinvolge ciascuno di noi / senza pregiudizi di qualsiasi genere, compresi quelli morali, poiché ogni fattore specifico o insignificante e persino l’abito linguistico, può costituire attrattore gravitazionale dell’oscillazione fluttuante che avvertiamo e di cui non conosciamo l’esito / occorre una seria auto-ponderazione di fronte al verificarsi di un fatto deprecabile perché può trasmetterci ciò che può non coincidere con le nostre aspettative e opinioni / urge: cogliere in quel reticolo di connessioni il requisito di influsso condizionale che, se incrimina il colpevole da condannare, costituisce il tarlo sociale, il serio problema da estirpare; il non intervento contribuisce alla sua putrefazione, anche, se legittimamente “tagliamo” la testa al reo / quel tarlo è il determinante della sindrome dell’organizzazione sociale; sindrome, cooperativa, proprio in un clima burrascoso, di sincope possibilitate di mutazioni veloci o lenti, radicali o superficiali; sincope, le quali vanno a ricongiungersi alla sollecitazione di un nuovo “genere” di cambiamento, il cui taglio configurativo, nel suo contestualizzarsi, non può non mettere in luce il carattere specifico della sua “razionalità”, - tessuto non linguistico coniugante l’articolazione dei suoi assetti territoriali che ne figurano la qualità che prende storia. Ogni genere di cambiamento, e la storia ne è memoria, rinvia a una istanza non formale che la contestualità formalizzerà in uno stile di cultura. Da una esplorazione inquieta sui minimi episodi orientata a sterrare  l’annidarsi di una foggia culturale, la quale è sociale ed è tale in quanto è culturale,  l’enunciato che esprime può verosimilmente mostrarsi espositivo, e non in relazione alla correttezza delle sue proprietà formali - e il richiamo ad Adorno si fa pungente: lo sguardo che <frantuma il guscio dell’impotentemente isolato in base al criterio del concetto superiore,…e fa saltare la sua identità> (Dialettica negativa): il profondo aggiudica un genere di inviluppo che spiega e dispiega in sé la fluente dissipazione del reticolo che definisce l’architettonica totalizzante e sinergetica di una stagione epocale: in tale campo visivo, consequenziale è l’assumere un atteggiamento di analisi esplorativa, non selettiva ma a ventaglio, nei meandri di quel labirinto: lo sguardo.

Uno sguardo, non pertinenza tematica dell’ultima, sempre penultima, parola / uno sguardo, come suggerisce, appunto Adorno, micrologico sui i segni, graffiati dalle cicatrici, messe a nudo dall’instabilità dei vari settori che configurano l’architettura delle varie geografie europee / sguardo, sbirciante quei segni in comparabile scorsa dei segnali non trascurabili, propaganti dalle geografie inquiete del resto del mondo, l’oriente e l’islamico: un tentativo autonomo di sottrazione all’atmosfera umbratile della confusione / un voler capire.

Sguardo senza volto, direbbe Deleuze, la visuale micrologica / focalizza l’attualizzarsi di una casuale cruciale di interrelazione di quelle geografie, disgiunte per pertinenza di problemi e di cartografia dei saperi, ma convergenti nel medesimo obiettivo di aggressione, differenziata nelle procedure operative, ma finalizzata alla liquidazione di una positura di cultura, condizionale di una forma di disposizione dei rapporti tra gli uomini, elevata a valore universale, in quanto <tendenza oggettiva e che si impone al di sopra dei confini politici> (Adorno/Horkheimer, Sociologia II) / forma normativa: ciò che ci qualifica culturalmente uomini occidentali; forma integralista: ciò che qualifica l’uomo islamico; forma di imperialismo economico: la minaccia cinese.

Forme, filtrate, pertanto, da un occhio micologico senza volto, cioè disinibito da ogni accecamento, lancinante: il tessuto condizionale attraverso il quale e per mezzo del quale si è formato e sviluppato nella geografia europea il rapporto tra sapere e realtà che caratterizza, appunto, la nostra civiltà; e, in esso, perforare gli indici di recessione sintomatici delle cicatrici che contrassegnano ogni settore, stagliandone i segni minatori, fattori gravitazionali che mettono a rischio quel tessuto culturale del mondo occidentale, trainando con sé sia la modernità che la post-modernità, stralcio sfuggente di primavera, rannuvolatosi dall’ingordigia di una libido dominandi che ci ha reso e ci rende reciprocamente stranieri in forza di un nostro proprio vantaggio, elevato a livello generale.

La crisi attuale è diversa da quella del 1929, la quale provocò il crollo di Wall Street, risolta abilmente dagli Stati, applicando la teoria di Keynes, sostengono gli autori del testo citato, in tematica di confronto, motivandone varie causali.
Ne lancio alcune sia per una mia maturata riflessione futura sia per intavolare quella mia aspirazione di possibile relazione di comparabilità comunicativa / più sguardi, in rifrangenza angolata ma non sbiechi fra di loro, può farci leggere la complessità con cui si presenta la crisi dal passaggio incerto / crisi che è locale in quanto è globale, e viceversa / che è europea in quanto è mondiale, e viceversa / crisi, per tali dimensioni, posta in gioco, nello stesso tempo, della nostra cultura e delle armi strategiche di ogni intervento sanatorio.
Pertanto, preferisco zittirmi ed ascoltare gli autori del testo citato, e intervenire in ripiego.

Uno stacco / pausa per riflettermi e lasciar riflettere
Franco Riccio