Crisi,
indica <una connotazione prettamente economica>? Il quesito che si pone
Carlo Bordoni e che tematizza con Zygmunt Barman (a lui si deve la definizione
della <modernità liquida>) in Stato
di crisi (2015, Einaudi, l’ed. originale è del 2014), affrancando il termine da quell’<attribuzione di
responsabilità spersonalizzata, che libera gli individui da ogni coinvolgimento
e fa riferimento a un’entità astratta, dal suono vagamente sinistro>, e di
contro, cogliendone il segno emblematico
di un profondo sconvolgimento, conturbante il sistema economico.
Ineluttabilità del quesito,
recepibile nella mia riflessione, come presa di posizione di fronte alla
confusione dei linguaggi e dei ritagli settoriali, in quanto, nell’accedere al
suo aperto <significato originario> ׀
<passaggio>, <decisione>, <cruciale>, <contesa>, <da
cui deriva criterio ׀, è configurabile, per me,
la messa a fuoco, per la sua composita angolatura, della portata di
perturbazione, proporzionale all’intensità di cesura rilevata.
Una parola: crisi, eppure,
proprio in relazione al linguaggio, in forza della polisemia dei suoi segni, si colloca oltre il suo carattere linguistico / in tale accezione, la
plurima possibilità analitica del senso
dei suoi segni (estensione semiologia) e della loro significazione (estensione semantica) / può costituire un strumento
esplorativo del momento particolare del nostro vivere il quotidiano, per capire e capirci: la mia scelta
opinabile, la quale, sottintende una rilettura della proposta di Guattari (La rivoluzione molecolare) di una semiotica non ideologica.
L’applicare, pertanto, la
polisemia dei suoi segni nel mio obliquo osservare interrogante il rilievo di
Habermas del logorio di quello che lui denomina legame sociale, il quale, per
me, è la risultanza genealogica di un vincolo,
può costituire un indice segnalatore di
riscontro, nello stato in cui viviamo, di situazioni, di eventi in fase
di “straripamento”, tale da manifestare quel vincolo un incastro di livelli d’integrazione in enzima eruttivo /
uno spunto dal testo mi è di conforto, poiché esternizza gradi di instabilità,
letti da me fattori gravitazionali, in quanto delineano l’orbita di
oscillazione e lo stadio di intensità dell’incrinatura che contribuisco a
rendere traballante l’organizzazione sociale; incrinatura aggravatasi, segnale
da non sottovalutare, dopo lo smantellamento del welfare, da <esigenze
improcrastinabili>, <problemi di bilancio>, <adeguamento alle
normative europee> (Bordoni) / da qui la scelta di lettura dei rilievi che
traggo dal testo con leggibilità di impiego della pluralità degli indici che il termine crisi esprime / uno stile rapsodico, non architettonico: frammentario,
e, in tale erranza, aprire spazi di
riflessioni comparative / penso: tale
impiego può offrirsi potenziale cronometro di misurazione della possibilità e
delle velocità dei mutamenti in corso e di rilevarne, nel passaggio, cicatrici,
retaggi del passato o indici di
svolte.
L’espressione passaggio mi spinge a riflettere il profondo cambiamento in svolgimento
dell’intero sistema economico, accreditato dalle varie analisi, e il
consequenziale coinvolgimento dei suoi effetti solventi sul reticolo
organizzativo politico, sociale, culturale della società, legittimandone l’impronta mediante la quale mi si manifesta, osservandolo: posizione
dilemmatica. Ciò è accertabile, se si
considera: la disinformazione del grado di entità
ed estensione degli accidenti in percorso migratorio; delle loro probabili variabili composizioni, non
paradigmatiche; il gioco competitivo per la loro gestione, delle forze
emergenti; proprio tali rilievi, in interconnessione cooperativa, ai quali si
aggiunge la confusione delle idee e dei
linguaggi, inducono a presentarci quel profondo
in situazione nevralgica: quel
“profondo” si rivela oggettivamente in ondeggiamento incoativo di effetti destabilizzanti l’organizzazione
della convivenza fra gli uomini,
incentrata sino a qualche tempo fa sulla sovranità
istituzionalizzata – Stato - esercitata all’interno di precisi confini
territoriali (la formula di Vestfalia mi ricordano gli autori del testo citato)
/ destabilizzazione, provocata
dall’intrecciarsi di differenti connessioni locali e connessioni globali,
inaugurando una fitta rete di problemi,
per i quali si costituisce di per sé problema,
sfaldando di conseguenza ogni campo di
pertinenza e la relativa connessione sia ad una specifica disciplina che al relativo intervento sanatorio del
guasto settoriale.
Perspicace osservazione spigolosa necessita, in grado di attivare e risvegliare l’esigenza
di analisi ponderata e vagliata di quel profondo
che coinvolge ciascuno di noi / senza
pregiudizi di qualsiasi genere, compresi quelli morali, poiché ogni fattore specifico o insignificante e persino l’abito linguistico, può costituire attrattore gravitazionale dell’oscillazione
fluttuante che avvertiamo e di cui non conosciamo l’esito / occorre una seria
auto-ponderazione di fronte al verificarsi di un fatto deprecabile perché può trasmetterci ciò che può non
coincidere con le nostre aspettative e opinioni
/ urge: cogliere in quel reticolo di
connessioni il requisito di influsso
condizionale che, se incrimina il
colpevole da condannare, costituisce il tarlo
sociale, il serio problema da estirpare; il non intervento
contribuisce alla sua putrefazione,
anche, se legittimamente “tagliamo” la testa al reo / quel tarlo è il determinante
della sindrome dell’organizzazione sociale; sindrome, cooperativa, proprio in
un clima burrascoso, di sincope
possibilitate di mutazioni veloci o lenti, radicali o superficiali; sincope, le quali vanno a ricongiungersi
alla sollecitazione di un nuovo “genere” di cambiamento, il cui taglio configurativo, nel suo
contestualizzarsi, non può non mettere in luce il carattere specifico della sua “razionalità”, - tessuto non linguistico coniugante l’articolazione dei suoi assetti
territoriali che ne figurano la qualità
che prende storia. Ogni genere di cambiamento, e la storia ne è memoria, rinvia a una istanza non formale che la contestualità formalizzerà
in uno stile di cultura. Da una esplorazione inquieta
sui minimi episodi orientata a
sterrare l’annidarsi di una foggia culturale, la quale è sociale ed è tale in quanto è culturale, l’enunciato
che esprime può verosimilmente mostrarsi espositivo, e non in relazione alla
correttezza delle sue proprietà formali
- e il richiamo ad Adorno si fa pungente: lo sguardo che <frantuma il guscio dell’impotentemente isolato in
base al criterio del concetto superiore,…e fa saltare la sua identità> (Dialettica negativa): il profondo aggiudica un genere di inviluppo
che spiega e dispiega in sé la fluente
dissipazione del reticolo che definisce
l’architettonica totalizzante e sinergetica di una stagione epocale: in
tale campo visivo, consequenziale è l’assumere un atteggiamento di analisi esplorativa, non selettiva ma a ventaglio,
nei meandri di quel labirinto: lo sguardo.
Uno sguardo, non pertinenza tematica dell’ultima, sempre penultima,
parola / uno sguardo, come suggerisce, appunto Adorno, micrologico sui i segni,
graffiati dalle cicatrici, messe a nudo dall’instabilità dei vari settori che configurano l’architettura
delle varie geografie europee / sguardo,
sbirciante quei segni in comparabile
scorsa dei segnali non trascurabili,
propaganti dalle geografie inquiete del
resto del mondo, l’oriente e l’islamico: un tentativo autonomo di
sottrazione all’atmosfera umbratile della confusione / un voler capire.
Sguardo senza volto, direbbe Deleuze, la visuale micrologica
/ focalizza l’attualizzarsi di una casuale
cruciale di interrelazione di quelle geografie,
disgiunte per pertinenza di problemi e di cartografia dei saperi, ma
convergenti nel medesimo obiettivo di aggressione,
differenziata nelle procedure operative, ma finalizzata alla liquidazione di una positura di cultura, condizionale di una forma di disposizione dei rapporti tra gli uomini, elevata a valore
universale, in quanto <tendenza oggettiva e che si impone al di sopra dei
confini politici> (Adorno/Horkheimer, Sociologia
II) / forma normativa: ciò che ci
qualifica culturalmente uomini occidentali; forma
integralista: ciò che qualifica l’uomo islamico; forma di imperialismo economico: la minaccia cinese.
Forme,
filtrate, pertanto, da un occhio
micologico senza volto, cioè disinibito da ogni accecamento, lancinante: il tessuto
condizionale attraverso il quale e per mezzo del quale si è formato e
sviluppato nella geografia europea il rapporto tra sapere e realtà che
caratterizza, appunto, la nostra civiltà; e, in esso, perforare gli indici di recessione sintomatici delle
cicatrici che contrassegnano ogni settore, stagliandone i segni minatori, fattori gravitazionali che mettono a rischio quel tessuto culturale del mondo occidentale, trainando con sé sia la modernità che la post-modernità, stralcio sfuggente di primavera, rannuvolatosi dall’ingordigia di una libido dominandi che ci ha reso e ci
rende reciprocamente stranieri in
forza di un nostro proprio vantaggio, elevato a livello generale.
La crisi attuale è diversa da
quella del 1929, la quale provocò il crollo di Wall Street, risolta abilmente
dagli Stati, applicando la teoria di Keynes, sostengono gli autori del testo
citato, in tematica di confronto, motivandone varie causali.
Ne lancio alcune sia per una mia
maturata riflessione futura sia per intavolare quella mia aspirazione di
possibile relazione di comparabilità comunicativa / più sguardi, in rifrangenza
angolata ma non sbiechi fra di loro, può farci leggere la complessità con
cui si presenta la crisi dal passaggio
incerto / crisi che è locale in
quanto è globale, e viceversa / che è
europea in quanto è mondiale, e viceversa / crisi, per tali
dimensioni, posta in gioco, nello stesso tempo, della nostra cultura e delle
armi strategiche di ogni intervento sanatorio.
Pertanto, preferisco zittirmi ed
ascoltare gli autori del testo citato, e intervenire in ripiego.
Uno stacco / pausa per riflettermi e lasciar
riflettere
Franco Riccio