Differenze che si ascoltano senza smarrire
la propria identità di pensiero, per una configurabilità di
un agire pensante, il quale, nel farsi tutt’uno con
l’ondeggiamento incoativo dell’esperienza, nella e
attraverso l’inter-comunicabilità dei loro dicibili in
propensione all’ascolto, si fanno testimonianze cooperative
di un crescere comune - sia che si tratti di tematiche
riguardanti il campo della filosofia, delle scienze, della politica,
della poetica, della teologia / sia di argomentazioni nel disquisire
quotidiano / sia nell’operatività di realizzazione spazi di
convibilità in autogestione.
***
<il legame sociale si logora nel momento in cui ad
ogni comportamento viene assegnato un prezzo>.
Una frase captata fuori testo di Habermas, - e il
mio atto riflessivo, per la sua incisività sintetica, separata dal
proprio contesto, la rileva supporto e spunto per un lavoro
esplorativo su quel legame, avvertito da me come il
motore mobile che alimenta una interattiva comunicativa, connotante
una organizzazione associativa, cioè ciò che noi definiamo società,
con e attraverso il divenire ambivalente dei suoi
equilibri.
Tentare, quindi, una via possibile di
leggibilità, non interpretativa, ma, appunto, lavoro investigativo
catturante in quel legame una interrrelazione, la quale, se
rinvia a una pluralità di registri, pertinenti i vari campi dei
saperi, nella dimensione del vivere degli uomini, acquista una
connotazione specifica in quanto delinea in sé un soggetto e un
ambiente culturalizzati.
Richiede, pertanto un districarsi lavorativo tra le
fessure delle tante varianti, nelle varie stagioni culturali, di
descrizione filosofica e scientifica mediante la loro connotazione
oggettiva di un paradigma,
referente per il
lettore e soprattutto per l’azione umana,
di una società, la quale, decisamente, si presente intreccio
inscrittorio del comportamento individuale
e di gruppo nei confronti del loro ambiente,
sia negli effetti migliorativi sia in quelli deteriorativi, quali
depressione, insicurezza, criminalità e…׀
oltre quelle filosofiche e
di psicologia intimistica, quelle, indubbiamente interessanti, legate
alla storia filogenetica della specie; al behaviorismo; alle scuole:
dell’<etologia oggettiva> (Lorenz); di psicofisiologia e di
neurofisilogia.
Una scelta operativa a rischio, e della quale confesso
la mia reità nei confronti della linguistica e
soprattutto dell’ermeneutica, tralasciando il “testo” e
lavorando esclusivamente sulle “frasi”, sciolte dal <luogo del
testo>.
Mi richiamo a Ricoeur (De l’interpretation in
Du texte á l’action, 1986), il quale considera il
“testo”una elaborazione soggettiva di grado superiore alla
“frase”, unità minima del discorso.
Nebbia nel mio riflettere tale sperequazione fra due
elaborazioni soggettive: ambedue, fertilità di un agire
pensante, in grado di pro-durre pensieri non “catturabili”
da qualsiasi ordine consolidato, nella confezione del “testo”,
cioè, un pensato fissato dalla scrittura, l’elaborazione
testuale – “luogo chiuso” - costituisce il dicibile
selettivo catturante la “cosa” che si fa “testo”.
Barlume, in quella nebbia, memore di una cesura,
genealogia della civiltà occidentale / retaggio?
Un per me, senza dubbio / un per me,
stimolato dal riflettere su una comparazione tra tre dicibili,
incomparabili per disgiunti punti di vista, “predati” da tre
elaborazioni soggettive, fissate nelle rispettive frasi:
Ricoeur, Adorno, Guattari. / comparazione non interpretativa, ma
indice di rilievi che motivano la mia scelta di lavoro
sulle frasi.
<La fissazione con la scrittura sopraggiunge nel
luogo stesso della parola, ossia, nel luogo stesso in cui la parola
sarebbe potuto sorgere. Si può allora domandare se il testo sia
veramente tale quando non si limita a trasferire una parola
precedente, ma viene a inscriversi nelle lettere di ciò che vuol
dire il discorso> (Ricoeur, cit.)
Postille: - il <testo>? Direi: il disposto
del <testo>: telaio accreditato dalla tradizione,
con strumenti semiotico-linguistici aggiornati e con un <centro di
gravità> attualizzato / <telaio>, <centro referenziale>:
retaggi?
- la <parola> si fa <testo> /
oggettivazione di un pensiero soggettivo, slegato dal
suo processo psichico: ulteriore retaggio?
<Ogni sintesi logica viene attesa dal suo oggetto, ma
la sua possibilità rimane astratta e viene utilizzata unicamente dal
soggetto>.
<Il principio di contraddizione è una specie di tabù
decretato sul diffuso….In quanto <legge di pensiero>, esso ha
come contenuto un decreto: non distrarti nel pensare, non ti fare
distogliere l’attenzione dalla natura inarticolata, ma trattieni
salda come un possesso l’unità dell’intenzionato> (Adorno,
Metacritica della teoria della conoscenza).
Postilla: anche se nel testo la critica è
rivolta ad Husserl e alle antinomie fenomenologiche, è valida per
ogni discorso fissato dalla scrittura, in quanto ne timbra
la condizione salvaguardante la sua oggettività / per me
è un retaggio in attualità / coinvolge me nel fissaggio
di questo soliloquio, pur nella consapevolezza dell’essere
un riflettere per me, in quanto non può sottrarsi ai criteri
(legge del pensiero) di credibilità.
<ci sono due modi di consumare gli enunciati teorici:
quello dell’universitario che prende o lascia il testo nella
sua integrità, e quello del dilettante appassionato (nel mio
dicibile, il per me) che al tempo stesso lo prende o lo
lascia, lo manipola secondo la propria convenienza, cerca di
servirsene per illuminare i propri punti di riferimento e orientare
la propria vita>.
<Il solo problema è quello di cercare di far
funzionare un testo> (Guattari, La rivoluzione molecolare).
Postilla: la mia scelta: far funzionare la
frase, nella consapevolezza di non produrre un rivolgimento
totale nell’ordine del discorso, genealogia di una <cesura>,
sulla quale si concentrerà la mia riflessione / la mia scelta,
testimonianza di una attualizzazione di quella eredità.
– ripeto: il mio dilemma.
Quale via intraprendere come comprensione del <testo>,
in quanto possibilità di dischiuderci un nuovo orizzonte storico?
L’attività esperenziale del poetare, suggerita da Hölderlin?
Oppure quelle attività più recenti di un agire trasversalizzando
o decostrutturante il <testo>, per lasciare insorgere
quegli <indicibili>, sfuggenti all’egemonia culturale?
Non lo so. Un non sapere patito, reso più
inquietante dal vedere insorgere il solito nei <gruppi
soggetti>, nel decentrare l’infausto <centro>, di Deleuze;
nella normativizzazione della disseminazione nel <fuori
testo> di Derrida, - e la memoria, nel riflettere in
me tale rispondenza, risveglia in me una frase carpita nella
lettura del Sul tragico di Hölderlin: <Un rivolgimento
totale…è privo di qualsiasi di qualsiasi ritegno (so-sta),
non è lecito all’uomo in quanto essere conoscente>.
Allora la frase, il male minore per sfuggire
all’autorità culturale, la quale è sociale ed è sociale in
quanto è culturale.
Nella frase, il retaggio, essendo identico
il disposto delle loro elaborazioni (Ricoeur). / la sua scelta è
stata determinata dal riscontro analitico della condizione in essa
dello slacciarsi possibili linee di fuga dall’olismo
del testo per la plurivocità che può assumere la polisemia
delle sue < significazioni individuali>.
<Esiste un problema di interpretazione non tanto per
l’incomunicabilità dell’esperienza psichica dell’autore,
quanto per la natura stessa dell’intenzione verbale del testo. Tale
intenzione è un’altra cosa rispetto alla somma delle
significazioni individuali delle frasi individuali. Un testo è più
di una mera successione lineare di frasi> (Gadamer, Verità e
Metodo).
Franco Riccio