sabato 18 ottobre 2014

PRIMO SOLILOQUIO



Differenze che si ascoltano senza smarrire la propria identità di pensiero, per una configurabilità di un agire pensante, il quale, nel farsi tutt’uno con l’ondeggiamento incoativo dell’esperienza, nella e attraverso l’inter-comunicabilità dei loro dicibili in propensione all’ascolto, si fanno testimonianze cooperative di un crescere comune - sia che si tratti di tematiche riguardanti il campo della filosofia, delle scienze, della politica, della poetica, della teologia / sia di argomentazioni nel disquisire quotidiano / sia nell’operatività di realizzazione spazi di convibilità in autogestione.

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<il legame sociale si logora nel momento in cui ad ogni comportamento viene assegnato un prezzo>.

Una frase captata fuori testo di Habermas, - e il mio atto riflessivo, per la sua incisività sintetica, separata dal proprio contesto, la rileva supporto e spunto per un lavoro esplorativo su quel legame, avvertito da me come il motore mobile che alimenta una interattiva comunicativa, connotante una organizzazione associativa, cioè ciò che noi definiamo società, con e attraverso il divenire ambivalente dei suoi equilibri.

Tentare, quindi, una via possibile di leggibilità, non interpretativa, ma, appunto, lavoro investigativo catturante in quel legame una interrrelazione, la quale, se rinvia a una pluralità di registri, pertinenti i vari campi dei saperi, nella dimensione del vivere degli uomini, acquista una connotazione specifica in quanto delinea in sé un soggetto e un ambiente culturalizzati.


Richiede, pertanto un districarsi lavorativo tra le fessure delle tante varianti, nelle varie stagioni culturali, di descrizione filosofica e scientifica mediante la loro connotazione oggettiva di un paradigma, referente per il lettore e soprattutto per l’azione umana, di una società, la quale, decisamente, si presente intreccio inscrittorio del comportamento individuale e di gruppo nei confronti del loro ambiente, sia negli effetti migliorativi sia in quelli deteriorativi, quali depressione, insicurezza, criminalità e…׀ oltre quelle filosofiche e di psicologia intimistica, quelle, indubbiamente interessanti, legate alla storia filogenetica della specie; al behaviorismo; alle scuole: dell’<etologia oggettiva> (Lorenz); di psicofisiologia e di neurofisilogia.

Una scelta operativa a rischio, e della quale confesso la mia reità nei confronti della linguistica e soprattutto dell’ermeneutica, tralasciando il “testo” e lavorando esclusivamente sulle “frasi”, sciolte dal <luogo del testo>.
Mi richiamo a Ricoeur (De l’interpretation in Du texte á l’action, 1986), il quale considera il “testo”una elaborazione soggettiva di grado superiore alla “frase”, unità minima del discorso.
Nebbia nel mio riflettere tale sperequazione fra due elaborazioni soggettive: ambedue, fertilità di un agire pensante, in grado di pro-durre pensieri non “catturabili” da qualsiasi ordine consolidato, nella confezione del “testo”, cioè, un pensato fissato dalla scrittura, l’elaborazione testuale – “luogo chiuso” - costituisce il dicibile selettivo catturante la “cosa” che si fa “testo”.

Barlume, in quella nebbia, memore di una cesura, genealogia della civiltà occidentale / retaggio?

Un per me, senza dubbio / un per me, stimolato dal riflettere su una comparazione tra tre dicibili, incomparabili per disgiunti punti di vista, “predati” da tre elaborazioni soggettive, fissate nelle rispettive frasi: Ricoeur, Adorno, Guattari. / comparazione non interpretativa, ma indice di rilievi che motivano la mia scelta di lavoro sulle frasi.

<La fissazione con la scrittura sopraggiunge nel luogo stesso della parola, ossia, nel luogo stesso in cui la parola sarebbe potuto sorgere. Si può allora domandare se il testo sia veramente tale quando non si limita a trasferire una parola precedente, ma viene a inscriversi nelle lettere di ciò che vuol dire il discorso> (Ricoeur, cit.)

Postille: - il <testo>? Direi: il disposto del <testo>: telaio accreditato dalla tradizione, con strumenti semiotico-linguistici aggiornati e con un <centro di gravità> attualizzato / <telaio>, <centro referenziale>: retaggi?
- la <parola> si fa <testo> / oggettivazione di un pensiero soggettivo, slegato dal suo processo psichico: ulteriore retaggio?

<Ogni sintesi logica viene attesa dal suo oggetto, ma la sua possibilità rimane astratta e viene utilizzata unicamente dal soggetto>.
<Il principio di contraddizione è una specie di tabù decretato sul diffuso….In quanto <legge di pensiero>, esso ha come contenuto un decreto: non distrarti nel pensare, non ti fare distogliere l’attenzione dalla natura inarticolata, ma trattieni salda come un possesso l’unità dell’intenzionato> (Adorno, Metacritica della teoria della conoscenza).

Postilla: anche se nel testo la critica è rivolta ad Husserl e alle antinomie fenomenologiche, è valida per ogni discorso fissato dalla scrittura, in quanto ne timbra la condizione salvaguardante la sua oggettività / per me è un retaggio in attualità / coinvolge me nel fissaggio di questo soliloquio, pur nella consapevolezza dell’essere un riflettere per me, in quanto non può sottrarsi ai criteri (legge del pensiero) di credibilità.

<ci sono due modi di consumare gli enunciati teorici: quello dell’universitario che prende o lascia il testo nella sua integrità, e quello del dilettante appassionato (nel mio dicibile, il per me) che al tempo stesso lo prende o lo lascia, lo manipola secondo la propria convenienza, cerca di servirsene per illuminare i propri punti di riferimento e orientare la propria vita>.
<Il solo problema è quello di cercare di far funzionare un testo> (Guattari, La rivoluzione molecolare).

Postilla: la mia scelta: far funzionare la frase, nella consapevolezza di non produrre un rivolgimento totale nell’ordine del discorso, genealogia di una <cesura>, sulla quale si concentrerà la mia riflessione / la mia scelta, testimonianza di una attualizzazione di quella eredità. – ripeto: il mio dilemma.

Quale via intraprendere come comprensione del <testo>, in quanto possibilità di dischiuderci un nuovo orizzonte storico? L’attività esperenziale del poetare, suggerita da Hölderlin? Oppure quelle attività più recenti di un agire trasversalizzando o decostrutturante il <testo>, per lasciare insorgere quegli <indicibili>, sfuggenti all’egemonia culturale?
Non lo so. Un non sapere patito, reso più inquietante dal vedere insorgere il solito nei <gruppi soggetti>, nel decentrare l’infausto <centro>, di Deleuze; nella normativizzazione della disseminazione nel <fuori testo> di Derrida, - e la memoria, nel riflettere in me tale rispondenza, risveglia in me una frase carpita nella lettura del Sul tragico di Hölderlin: <Un rivolgimento totale…è privo di qualsiasi di qualsiasi ritegno (so-sta), non è lecito all’uomo in quanto essere conoscente>.
Allora la frase, il male minore per sfuggire all’autorità culturale, la quale è sociale ed è sociale in quanto è culturale.
Nella frase, il retaggio, essendo identico il disposto delle loro elaborazioni (Ricoeur). / la sua scelta è stata determinata dal riscontro analitico della condizione in essa dello slacciarsi possibili linee di fuga dall’olismo del testo per la plurivocità che può assumere la polisemia delle sue < significazioni individuali>.
<Esiste un problema di interpretazione non tanto per l’incomunicabilità dell’esperienza psichica dell’autore, quanto per la natura stessa dell’intenzione verbale del testo. Tale intenzione è un’altra cosa rispetto alla somma delle significazioni individuali delle frasi individuali. Un testo è più di una mera successione lineare di frasi> (Gadamer, Verità e Metodo).
Franco Riccio


UNA POSSIBILITA' D' INTESA



Soliloquio, il mio, il quale è un propormi io esterno / esternazione in emanazione comunicativa di un riflettere riflettendomi sulla quotidianità del nostro transitorio vivere, agibile attraverso le condizioni materiali di una estensione geografica planetaria, oggi, spazio critico di temporalità articolate in ondeggiamento incoativo, avvolgente le varietà tipologiche degli insiemi sociali in un sinergismo di potenziamento e di degradazione, reso più complesso da una prospettica interdipendenza tra le diverse etnie.

Riflettere riflettendosi, facendo mio un suggerimento di Nancy, elaborato attraverso una perforante indicazione di Adorno di spezzare il nodo che strozza la critica, in quanto causativo di una mimesi rinnovata, la quale rende insufficiente i contributi più avanzati, <inquadrandoli nel sistema eteronomo dei compiti stabilito dall’alto> (Minima Moralia) e, in ripercussione, andare alla radice di ogni questione. / Esortazione, sintomo della mia scelta inquietante di leggere ad alta voce la crisi che oggi travaglia il nostro vivere la quotidianità.

Riflettere riflettendosi ad alta voce, pertanto, si svolge a sollecito che rivolgo a chi, come me, è travagliato dall’inquietudine di scoprirsi, come ci esorta a pensarci Adorno, appendice del processo sociale e l’avverte come ribellione, contrapposta al silenzio passivo e al chiacchiericcio complice, <contro la pretesa di ogni immediato di piegarsi contro ciò che gli viene imposto>.

Un tentativo di sperimentare una pratica dialogica che si dispieghi con e attraverso un riflettere riflettendosi comparativo di tagli screziati sui retaggi logico-culturali, irretiti vettori di tutti i poteri all’interno dell’organizzazione sociale attraverso pratiche disciplinare, sempre più aggiornate, che li riproducono, dandogli nuova vigoria.
Soliloquio

Riflettere riflettendosi sui quei retaggi, maglie e circuiti attraverso i quali si è venuta a istituzionalizzarsi, convalidandola con la delega, la nostra condizione di appendici del processo sociale, nel mio sollecitarlo all’attenzione, è una esortazione a rendere possibile la compresenza di un fascio eterogeneo di esplorazione centrata su quella ereditàvirus, inoculato pedagogicamente in ciascuno di noi, attraverso canali diversi che si incrociano e si sostengono, pur trincerati nella loro diversa configurazione istituzionalizzata / e, ciò che si rivela indicativo - e, di conseguenza, induce a esternare il mio riflettere e prospettarlo terreno di un riflettere a più voci -, quel retaggio fermenta, nell’incontestabile evoluzione dei saperi e della tecnologia e nel clima di interesse che avvicina un pubblico sempre più vasto alle scienze, l’esigenza cruciale del cambiamento, rinnovando, direbbe Foucault, la morfologia del referenziale, mantenendo in vita la detenzione in sé di legge dell’oggetto – sia scientifico che sociale, e quel mi preme sottolineare, sia oggetto nell’ordinaria consuetudine del colloquiare -, attraverso l’autofondazione delle proprie asserzioni.
Cito Foucault, avendo in memoria la Metacritica di Adorno.

Stimolo al mio pensare: quel retaggio permanente nella discontinuità, esplorandolo attraverso la storia, è l’effetto di una cesura dal mito (connessione a memoria di Hölderlin, Adorno, Deleuze), divenuta, genealogicamente, radice rizomatica di una istruttività a organizzare i nostri pensieri soggettivi in pensieri oggettivi, in forza dei quali vengono a definirsi, per dirla con Foucault: - <le forme regolari, i permessi regolari e le proibizioni del nostro agire> all’interno degli immutati rapporti economici e di un nuovo sistema del potere>, la cui diversità di colore è solo una imbellettatura; radice rizomatica che fa, sindrome di Edipo, di <ciascuno…in fondo titolare d’un certo potere e, in questa misura, lo trasmette> (Foucault).

Soliloqui, per concludere questa premessa, in comunicabilità interattiva, il cui laccio connettivo è il condividere una reità: il dissociarsi dal babelico vocio dei vari “redentoristi”, interpreti e conoscitori dei bisogni dei loro simili, reputati minorenni, e l’esigenza di sollevare all’attenzione quella radice – il male atavico della società – attraverso un tentativo di lasciar circolare riflessioni in reciproca dissonanza, tali da proporsi indipendenti le une dalle altre / quindi lontani dal voler raggiungere una omogeneità di gruppo, ma compartecipi nel proposito di sottrarsi dalle varie forme di egemonia sociali, economiche, culturali, cementatrici di quella “regolarizzazione”, funzionale alla sempre più globalmente icastica produzione capitalistica, e garanti di una organizzazione sociale “normativizzata”, appunto, dalla delega.

Distanza da Apel e da Habermas, per i quali la razionalità comunicativa è fondamentalmente normativa, in quanto si fonda sul consenso degli interlocutori ad accettare la norma, ritenuta fondamentale, della definizione della <situazione argomentativa>, <e le cui parole d’ordine sono la verità, l’autenticità e la rettitudine nell’argomentazione> (cfr., P. Livet, Norme. I difficili rapporti del razionale e del normativo, in I. Stengers, Concetti nomadi).
Tangenziale alla trasversalità di gruppi soggetti di Deleuze e Guattari, per il ripristino di “soggettività”, sia pure in moltiplicazione, sulle quali si addensa il fantasma della radice esecrata per il ripristino di quel referenziale (Foucault), in forza della quale viene a rinnovarsi quella relazione di potere fotografata nell’espressione di Adorno in Metacritica: <io so, tu no>.

Il web, per la sua portata innovativa delle risonanze che crea, può essere una occasione da non perdere, per testimoniare la possibilità di una razionalità comunicazionale non normativa unificante, ma in interazione disgiuntiva di riflessioni diverse che non perdono la loro identità, e, quindi, allignante l’acclimatarsi una prassi dell’ascolto reciproco.

una nota esplicativa:
rifletti sul mio tentativo, e non sul suo prodotto. Esso non intende prospettare l’accettazione di una <situazione argomentativa>, ma testimoniare la possibilità di una intercomunicabilità delle diverse angolature di lettura senza che l’una sia costrizione dell’altra, e tale da costituirsi a fonte di una crescita comune.
Franco Riccio