Soliloquio, il mio, il
quale è un propormi io esterno / esternazione in emanazione
comunicativa di un riflettere riflettendomi sulla quotidianità
del nostro transitorio vivere, agibile attraverso le condizioni
materiali di una estensione geografica planetaria, oggi,
spazio critico di temporalità articolate in ondeggiamento incoativo,
avvolgente le varietà tipologiche degli insiemi sociali in un
sinergismo di potenziamento e di degradazione, reso più complesso da
una prospettica interdipendenza tra le diverse etnie.
Riflettere riflettendosi,
facendo mio un suggerimento di Nancy, elaborato attraverso una
perforante indicazione di Adorno di spezzare il nodo che
strozza la critica, in quanto causativo di una mimesi
rinnovata, la quale rende insufficiente i contributi più
avanzati, <inquadrandoli nel sistema eteronomo dei compiti
stabilito dall’alto> (Minima Moralia) e, in
ripercussione, andare alla radice di ogni questione. /
Esortazione, sintomo della mia scelta inquietante di leggere
ad alta voce la crisi che oggi travaglia il
nostro vivere la quotidianità.
Riflettere riflettendosi ad
alta voce, pertanto, si svolge a sollecito che rivolgo a chi,
come me, è travagliato dall’inquietudine di scoprirsi, come ci
esorta a pensarci Adorno, appendice del processo sociale e
l’avverte come ribellione, contrapposta al silenzio passivo e al
chiacchiericcio complice, <contro la pretesa di ogni immediato di
piegarsi contro ciò che gli viene imposto>.
Un tentativo di sperimentare una
pratica dialogica che si dispieghi con e attraverso un
riflettere riflettendosi comparativo di tagli screziati
sui retaggi logico-culturali, irretiti vettori di tutti
i poteri all’interno dell’organizzazione sociale attraverso
pratiche disciplinare, sempre più aggiornate, che li riproducono,
dandogli nuova vigoria.
Soliloquio
Riflettere riflettendosi
sui quei retaggi, maglie e circuiti attraverso i quali si è
venuta a istituzionalizzarsi, convalidandola con la delega, la
nostra condizione di appendici del processo sociale, nel mio
sollecitarlo all’attenzione, è una esortazione a rendere possibile
la compresenza di un fascio eterogeneo di esplorazione
centrata su quella eredità – virus, inoculato
pedagogicamente in ciascuno di noi, attraverso canali diversi che si
incrociano e si sostengono, pur trincerati nella loro diversa
configurazione istituzionalizzata / e, ciò che si rivela indicativo
- e, di conseguenza, induce a esternare il mio riflettere e
prospettarlo terreno di un riflettere a più voci -, quel
retaggio fermenta, nell’incontestabile evoluzione dei saperi e
della tecnologia e nel clima di interesse che avvicina un pubblico
sempre più vasto alle scienze, l’esigenza cruciale del
cambiamento, rinnovando, direbbe Foucault, la morfologia del
referenziale, mantenendo in vita la detenzione in sé di legge
dell’oggetto – sia scientifico che sociale, e quel mi preme
sottolineare, sia oggetto nell’ordinaria consuetudine del
colloquiare -, attraverso l’autofondazione delle proprie
asserzioni.
Cito Foucault, avendo in memoria
la Metacritica di Adorno.
Stimolo al mio pensare: quel
retaggio permanente nella discontinuità, esplorandolo
attraverso la storia, è l’effetto di una cesura dal
mito (connessione a memoria di Hölderlin, Adorno, Deleuze),
divenuta, genealogicamente, radice rizomatica di una
istruttività a organizzare i nostri pensieri soggettivi in
pensieri oggettivi, in forza dei quali vengono a definirsi,
per dirla con Foucault: - <le forme regolari, i permessi regolari
e le proibizioni del nostro agire> all’interno degli immutati
rapporti economici e di un nuovo sistema del potere>, la cui
diversità di colore è solo una imbellettatura; radice
rizomatica che fa, sindrome di Edipo, di <ciascuno…in
fondo titolare d’un certo potere e, in questa misura, lo trasmette>
(Foucault).
Soliloqui, per concludere questa
premessa, in comunicabilità interattiva, il cui laccio connettivo è
il condividere una reità: il dissociarsi dal babelico vocio
dei vari “redentoristi”, interpreti e conoscitori dei bisogni dei
loro simili, reputati minorenni, e l’esigenza di sollevare
all’attenzione quella radice – il male atavico della
società – attraverso un tentativo di lasciar circolare riflessioni
in reciproca dissonanza, tali da proporsi indipendenti le une dalle
altre / quindi lontani dal voler raggiungere una omogeneità
di gruppo, ma compartecipi nel proposito di sottrarsi dalle varie
forme di egemonia sociali, economiche, culturali, cementatrici di
quella “regolarizzazione”, funzionale alla sempre più
globalmente icastica produzione capitalistica, e garanti di una
organizzazione sociale “normativizzata”, appunto, dalla delega.
Distanza da Apel e da Habermas,
per i quali la razionalità comunicativa è fondamentalmente
normativa, in quanto si fonda sul consenso degli interlocutori
ad accettare la norma, ritenuta fondamentale, della definizione della
<situazione argomentativa>, <e le cui parole d’ordine sono
la verità, l’autenticità e la rettitudine nell’argomentazione>
(cfr., P. Livet, Norme. I difficili rapporti del razionale
e del normativo, in I. Stengers, Concetti nomadi).
Tangenziale alla trasversalità
di gruppi soggetti di Deleuze e Guattari, per il ripristino di
“soggettività”, sia pure in moltiplicazione, sulle quali si
addensa il fantasma della radice esecrata per il ripristino di
quel referenziale (Foucault), in forza della quale viene a
rinnovarsi quella relazione di potere fotografata nell’espressione
di Adorno in Metacritica: <io so, tu no>.
Il web, per la sua
portata innovativa delle risonanze che crea, può essere una
occasione da non perdere, per testimoniare la possibilità di una
razionalità comunicazionale non normativa né unificante,
ma in interazione disgiuntiva di riflessioni diverse che non
perdono la loro identità, e, quindi, allignante
l’acclimatarsi una prassi dell’ascolto reciproco.
una nota esplicativa:
rifletti sul mio tentativo,
e non sul suo prodotto. Esso non intende prospettare
l’accettazione di una <situazione argomentativa>, ma
testimoniare la possibilità di una intercomunicabilità delle
diverse angolature di lettura senza che l’una sia costrizione
dell’altra, e tale da costituirsi a fonte di una crescita comune.
Franco Riccio
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