mercoledì 8 aprile 2015

VENTITRESIMO SOLILOQUIO

Crisi, indica <una connotazione prettamente economica>? Il quesito che si pone Carlo Bordoni e che tematizza con Zygmunt Barman (a lui si deve la definizione della <modernità liquida>) in Stato di crisi (2015, Einaudi, l’ed. originale è del 2014), affrancando il termine da quell’<attribuzione di responsabilità spersonalizzata, che libera gli individui da ogni coinvolgimento e fa riferimento a un’entità astratta, dal suono vagamente sinistro>, e di contro, cogliendone il segno emblematico di un profondo sconvolgimento, conturbante il sistema economico.

Ineluttabilità del quesito, recepibile nella mia riflessione, come presa di posizione di fronte alla confusione dei linguaggi e dei ritagli settoriali, in quanto, nell’accedere al suo aperto <significato originario> ׀ <passaggio>, <decisione>, <cruciale>, <contesa>, <da cui deriva criterio ׀, è configurabile, per me, la messa a fuoco, per la sua composita angolatura, della portata di perturbazione, proporzionale all’intensità di cesura rilevata.

Una parola: crisi, eppure, proprio in relazione al linguaggio, in forza della polisemia dei suoi segni, si colloca oltre il suo carattere linguistico / in tale accezione, la  plurima possibilità analitica del senso dei suoi segni (estensione semiologia) e della loro significazione (estensione semantica) / può costituire un strumento esplorativo del momento particolare del nostro vivere il quotidiano, per capire e capirci: la mia scelta opinabile, la quale, sottintende una rilettura della proposta di Guattari (La rivoluzione molecolare) di una semiotica non ideologica

L’applicare, pertanto, la polisemia dei suoi segni nel mio obliquo osservare interrogante il rilievo di Habermas del logorio di quello che lui denomina legame sociale, il quale, per me, è la risultanza genealogica di un vincolo, può costituire un indice segnalatore di  riscontro, nello stato in cui viviamo, di situazioni, di eventi in fase di “straripamento”, tale da manifestare quel vincolo un incastro di livelli d’integrazione in enzima eruttivo / uno spunto dal testo mi è di conforto, poiché esternizza gradi di instabilità, letti da me fattori gravitazionali, in quanto delineano l’orbita di oscillazione e lo stadio di intensità dell’incrinatura che contribuisco a rendere traballante l’organizzazione sociale; incrinatura aggravatasi, segnale da non sottovalutare, dopo lo smantellamento del welfare, da <esigenze improcrastinabili>, <problemi di bilancio>, <adeguamento alle normative europee> (Bordoni) / da qui la scelta di lettura dei rilievi che traggo dal testo con leggibilità di impiego della pluralità degli indici che il termine crisi esprime / uno stile rapsodico, non architettonico: frammentario, e, in tale erranza, aprire spazi di riflessioni comparative / penso: tale impiego può offrirsi potenziale cronometro di misurazione della possibilità e delle velocità dei mutamenti in corso e di rilevarne, nel passaggio, cicatrici, retaggi del passato o indici di svolte.

L’espressione passaggio mi spinge a riflettere il profondo cambiamento in svolgimento dell’intero sistema economico, accreditato dalle varie analisi, e il consequenziale coinvolgimento dei suoi effetti solventi sul reticolo organizzativo politico, sociale, culturale della società, legittimandone l’impronta mediante la quale mi si manifesta, osservandolo: posizione dilemmatica. Ciò è accertabile, se si considera: la disinformazione del grado di entità ed estensione degli accidenti in percorso migratorio; delle loro probabili variabili composizioni, non paradigmatiche; il gioco competitivo per la loro gestione, delle forze emergenti; proprio tali rilievi, in interconnessione cooperativa, ai quali si aggiunge la confusione delle idee e dei linguaggi, inducono a presentarci quel profondo in situazione nevralgica: quel “profondo” si rivela oggettivamente in ondeggiamento incoativo di effetti destabilizzanti l’organizzazione della convivenza fra gli uomini, incentrata sino a qualche tempo fa sulla sovranità istituzionalizzata – Stato - esercitata all’interno di precisi confini territoriali (la formula di Vestfalia mi ricordano gli autori del testo citato) / destabilizzazione, provocata dall’intrecciarsi di differenti connessioni locali e connessioni globali, inaugurando una fitta rete di problemi, per i quali si costituisce di per sé problema, sfaldando di conseguenza ogni campo di pertinenza e la relativa connessione sia ad una specifica disciplina che al relativo intervento sanatorio del guasto settoriale.

Perspicace osservazione spigolosa necessita, in grado di attivare e risvegliare l’esigenza di analisi ponderata e vagliata di quel profondo che coinvolge ciascuno di noi / senza pregiudizi di qualsiasi genere, compresi quelli morali, poiché ogni fattore specifico o insignificante e persino l’abito linguistico, può costituire attrattore gravitazionale dell’oscillazione fluttuante che avvertiamo e di cui non conosciamo l’esito / occorre una seria auto-ponderazione di fronte al verificarsi di un fatto deprecabile perché può trasmetterci ciò che può non coincidere con le nostre aspettative e opinioni / urge: cogliere in quel reticolo di connessioni il requisito di influsso condizionale che, se incrimina il colpevole da condannare, costituisce il tarlo sociale, il serio problema da estirpare; il non intervento contribuisce alla sua putrefazione, anche, se legittimamente “tagliamo” la testa al reo / quel tarlo è il determinante della sindrome dell’organizzazione sociale; sindrome, cooperativa, proprio in un clima burrascoso, di sincope possibilitate di mutazioni veloci o lenti, radicali o superficiali; sincope, le quali vanno a ricongiungersi alla sollecitazione di un nuovo “genere” di cambiamento, il cui taglio configurativo, nel suo contestualizzarsi, non può non mettere in luce il carattere specifico della sua “razionalità”, - tessuto non linguistico coniugante l’articolazione dei suoi assetti territoriali che ne figurano la qualità che prende storia. Ogni genere di cambiamento, e la storia ne è memoria, rinvia a una istanza non formale che la contestualità formalizzerà in uno stile di cultura. Da una esplorazione inquieta sui minimi episodi orientata a sterrare  l’annidarsi di una foggia culturale, la quale è sociale ed è tale in quanto è culturale,  l’enunciato che esprime può verosimilmente mostrarsi espositivo, e non in relazione alla correttezza delle sue proprietà formali - e il richiamo ad Adorno si fa pungente: lo sguardo che <frantuma il guscio dell’impotentemente isolato in base al criterio del concetto superiore,…e fa saltare la sua identità> (Dialettica negativa): il profondo aggiudica un genere di inviluppo che spiega e dispiega in sé la fluente dissipazione del reticolo che definisce l’architettonica totalizzante e sinergetica di una stagione epocale: in tale campo visivo, consequenziale è l’assumere un atteggiamento di analisi esplorativa, non selettiva ma a ventaglio, nei meandri di quel labirinto: lo sguardo.

Uno sguardo, non pertinenza tematica dell’ultima, sempre penultima, parola / uno sguardo, come suggerisce, appunto Adorno, micrologico sui i segni, graffiati dalle cicatrici, messe a nudo dall’instabilità dei vari settori che configurano l’architettura delle varie geografie europee / sguardo, sbirciante quei segni in comparabile scorsa dei segnali non trascurabili, propaganti dalle geografie inquiete del resto del mondo, l’oriente e l’islamico: un tentativo autonomo di sottrazione all’atmosfera umbratile della confusione / un voler capire.

Sguardo senza volto, direbbe Deleuze, la visuale micrologica / focalizza l’attualizzarsi di una casuale cruciale di interrelazione di quelle geografie, disgiunte per pertinenza di problemi e di cartografia dei saperi, ma convergenti nel medesimo obiettivo di aggressione, differenziata nelle procedure operative, ma finalizzata alla liquidazione di una positura di cultura, condizionale di una forma di disposizione dei rapporti tra gli uomini, elevata a valore universale, in quanto <tendenza oggettiva e che si impone al di sopra dei confini politici> (Adorno/Horkheimer, Sociologia II) / forma normativa: ciò che ci qualifica culturalmente uomini occidentali; forma integralista: ciò che qualifica l’uomo islamico; forma di imperialismo economico: la minaccia cinese.

Forme, filtrate, pertanto, da un occhio micologico senza volto, cioè disinibito da ogni accecamento, lancinante: il tessuto condizionale attraverso il quale e per mezzo del quale si è formato e sviluppato nella geografia europea il rapporto tra sapere e realtà che caratterizza, appunto, la nostra civiltà; e, in esso, perforare gli indici di recessione sintomatici delle cicatrici che contrassegnano ogni settore, stagliandone i segni minatori, fattori gravitazionali che mettono a rischio quel tessuto culturale del mondo occidentale, trainando con sé sia la modernità che la post-modernità, stralcio sfuggente di primavera, rannuvolatosi dall’ingordigia di una libido dominandi che ci ha reso e ci rende reciprocamente stranieri in forza di un nostro proprio vantaggio, elevato a livello generale.

La crisi attuale è diversa da quella del 1929, la quale provocò il crollo di Wall Street, risolta abilmente dagli Stati, applicando la teoria di Keynes, sostengono gli autori del testo citato, in tematica di confronto, motivandone varie causali.
Ne lancio alcune sia per una mia maturata riflessione futura sia per intavolare quella mia aspirazione di possibile relazione di comparabilità comunicativa / più sguardi, in rifrangenza angolata ma non sbiechi fra di loro, può farci leggere la complessità con cui si presenta la crisi dal passaggio incerto / crisi che è locale in quanto è globale, e viceversa / che è europea in quanto è mondiale, e viceversa / crisi, per tali dimensioni, posta in gioco, nello stesso tempo, della nostra cultura e delle armi strategiche di ogni intervento sanatorio.
Pertanto, preferisco zittirmi ed ascoltare gli autori del testo citato, e intervenire in ripiego.

Uno stacco / pausa per riflettermi e lasciar riflettere
Franco Riccio

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