Mandare a
memoria il già archiviato non suona ridondante proprio in questo periodo
travagliato da una crisi economica planetaria, la quale, nel rendere permanente
la situazione di povertà i sempre poveri,
tende ad una inarrestabile pauperizzazione dei vari livelli della classe
sociale, compresa quella imprenditoriale, un tempo nemica del proletariato?
E in più,
non stiamo vivendo una inarrestabile e incontrollabile deoccidentalizzazione
dell’Occidente? Ancora, non avvertiamo l’addensare in noi l’ombra della morte
per l’intensificarsi di una strategia interventista, dissimulata in lotta di
religione?
Perplessità
e sconcerto nell’interrogarmi / siamo in balia del mondo, ed io discuto e
propongo di discutere sul sesso degli
angeli / in affanno mi penso, e
un confederarsi di pensieri circolanti intorno
al buon governo, da affidare agli onesti, mette alle strette l’interrogarmi sul mio tentativo:
polivocità in tonalità a gradazioni sfumate immobilizzano la storia: il detto illuministico
riecheggia nella sincope dell’oggi orchestrato in moralistica arroganza – e il fuori
storia si fa reinvestimento nel pensare quotidiano di ciascuno.
Non
ho scelta / mi sottraggo al dire che
inchioda la storia e la cui
immobilità porta il peso schiacciante del tu
devi: adeguazione alla parola
d’ordine che indora l’attesa
della gente, incespicata nel sempre ruolo di appendice del processo sociale nel silenzio complice
dell’intellettuale, occupato a formalizzare la pertinenza del dire e la coerenza della sua forma
logica.
Io
fuori tempo coinvolto nel
dilemma:
Io
e me stesso tra il sentire mio il
travaglio della gente e lo sconcerto
impressionato dalla evidente incoerenza fra:
׀ la luminosità di un sapere germogliante condizioni paritarie di vivibilità nella sfida
alla sofferenza, in virtù del progredire della ricerca scientifica e alla
prevaricazione ad ogni forma di dominio per la consapevolezza culturale della
potestà dell’agire pensante di ogni
individuo nella parità della diversità dei ruoli ׀ e ׀ il rimbombante e
promiscuo vocio di antichi e nuovi
improvvisati messia che, nel segno della redenzione si offrono al
mercato del voto fideiussori dell’amministrazione del nostro vivere individuale
e comunitario ׀
/ piagnistei soffusi di miscellaneo misticismo e moralismo
sulla miseria della gente e sulla disoccupazione giovanile, in realismo
premonizionale di una soluzione adeguata
/
improvvisati unti cacciatori dei
profanatori del tempio del potere,
portatori della buona novella di
essere i giusti e onesti nostri governatori
/ strilli in sciacquio di bocca di rivoluzione
culturale
impantanano
la mia sensibilità, scuotendomi dalla vigliaccheria del mio silenzio – e la memoria spinse e spinge i miei pensieri a sollevare all’attenzione su
una negligenza: la radice della
nostra cultura, generativa della forma mentale dei nostri pensieri,
e la mia
voce, schiva dalla qualità del timbro,
solleva quella dimenticanza per
ravvivarla per un conoscerci.
al prossimo
Franco Riccio
Quanto dura un’emozione estetica?
RispondiEliminaIl lasso di tempo durante il quale un osservatore indugia di fronte a un dipinto può essere oggetto di misurazione, ma quello che in lui “avviene” di certo no.
Ciò è vero (o può essere vero) per ogni aspetto “interno”?
Quesito a prima vista banale che, a mio avviso, non è privo di rilevanza.
Viviamo nel tempo, nondimeno gran parte del nostro esistere trascorre in sua “assenza”.
Gentile Professore, la lettura delle sue articolate pronunce, simili, per certi aspetti, a versi filosofici, scritti, per così dire, non “da fuori” ma “da dentro”, ha generato questa riflessione che, forse, può costituire un breve “commento” al suo blog.
Marco Furia