mercoledì 4 febbraio 2015

DICIOTTESIMO SOLILOQUIO

Mandare a memoria il già archiviato non suona ridondante proprio in questo periodo travagliato da una crisi economica planetaria, la quale, nel rendere permanente la situazione di povertà i sempre poveri, tende ad una inarrestabile pauperizzazione dei vari livelli della classe sociale, compresa quella imprenditoriale, un tempo nemica del proletariato?

E in più, non stiamo vivendo una inarrestabile e incontrollabile deoccidentalizzazione dell’Occidente? Ancora, non avvertiamo l’addensare in noi l’ombra della morte per l’intensificarsi di una strategia interventista, dissimulata in lotta di religione?

Perplessità e sconcerto nell’interrogarmi / siamo in balia del mondo, ed io discuto e propongo di discutere sul sesso degli angeli / in affanno mi penso, e un confederarsi di pensieri circolanti intorno al buon governo, da affidare agli onesti, mette alle strette l’interrogarmi sul mio tentativo: polivocità in tonalità a gradazioni sfumate immobilizzano la storia: il detto illuministico riecheggia nella sincope dell’oggi orchestrato in moralistica arroganza – e il fuori storia  si fa reinvestimento nel pensare quotidiano di ciascuno.

Non ho scelta / mi sottraggo al dire che inchioda la storia e la cui immobilità porta il peso schiacciante del tu devi: adeguazione alla parola d’ordine che indora l’attesa della gente, incespicata nel sempre ruolo di appendice del processo sociale nel silenzio complice dell’intellettuale, occupato a formalizzare la pertinenza del dire e la coerenza della sua forma logica.

Io fuori tempo coinvolto nel dilemma:   

Io e me stesso tra il sentire mio il travaglio della gente e lo sconcerto impressionato dalla evidente incoerenza fra: ׀ la luminosità di un sapere germogliante condizioni paritarie di vivibilità nella sfida alla sofferenza, in virtù del progredire della ricerca scientifica e alla prevaricazione ad ogni forma di dominio per la consapevolezza culturale della potestà dell’agire pensante di ogni individuo nella parità della diversità dei ruoli ׀ e ׀ il rimbombante e promiscuo vocio di antichi e nuovi improvvisati messia che, nel segno della redenzione si offrono al mercato del voto fideiussori dell’amministrazione del nostro vivere individuale e comunitario ׀

/ piagnistei soffusi di miscellaneo misticismo e moralismo sulla miseria della gente e sulla disoccupazione giovanile, in realismo premonizionale di una soluzione adeguata
/ improvvisati unti cacciatori dei profanatori del tempio del potere, portatori della buona novella di essere i giusti e onesti nostri governatori
/ strilli in sciacquio di bocca di rivoluzione culturale

impantanano la mia sensibilità, scuotendomi dalla vigliaccheria del mio silenzio – e la memoria spinse e spinge i miei pensieri a sollevare all’attenzione su una negligenza: la radice della nostra cultura, generativa della forma mentale dei nostri pensieri, 

e la mia voce, schiva dalla qualità del timbro, solleva quella dimenticanza per ravvivarla per un conoscerci.


al prossimo  

Franco Riccio

1 commento:

  1. Quanto dura un’emozione estetica?
    Il lasso di tempo durante il quale un osservatore indugia di fronte a un dipinto può essere oggetto di misurazione, ma quello che in lui “avviene” di certo no.
    Ciò è vero (o può essere vero) per ogni aspetto “interno”?
    Quesito a prima vista banale che, a mio avviso, non è privo di rilevanza.
    Viviamo nel tempo, nondimeno gran parte del nostro esistere trascorre in sua “assenza”.
    Gentile Professore, la lettura delle sue articolate pronunce, simili, per certi aspetti, a versi filosofici, scritti, per così dire, non “da fuori” ma “da dentro”, ha generato questa riflessione che, forse, può costituire un breve “commento” al suo blog.
    Marco Furia

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