Possibile strada per una
rivoluzione culturale della società, indicante, a chiusura
del mio settimo soliloquio, rivolgendomi all’interrogativo
di Marco Furia (sono proprio davanti a un soliloquio?) una
prassi dell’ascolto reciproco.
Un per me, certamente. Un
pensiero soggettivo di un uomo, come la grande
maggioranza dei miei simili, senza qualità,
Un <”panproblematismo”, mi direbbe Daniel Andler (Problema.
Una chiave universale, in Concetti nomadi di I.
Stengers, già citato), puramente verbale>.
Desiderio di un certo mio stato d’animo – lo confesso.
Desiderio che socializzo e vorrei percepirlo ascoltando il
travaglio esistenziale di chi, come me, vive come <appendice>,
per dirla con quella tensione di Adorno ribelle alla
reificazione dell’individuo, di un processo sociale in <
balia di un mondo>, preda da una anonima macchinazione
internazionale economico-finanziaria, agevolata dalle avanzate
tecnologiche, dettante equilibri sociali, funzionali al suo occulto
dominio, da un lato; dall’altro, dalla progressiva
deoccidentalizzazione dell’occidente e il profilarsi di lotta di
religione, mascherante la motivazione economico-politica; e quello,
il quale è maledettamente disumano, la dilagante pauperizzazione che
investe, a gradi diversi, i vari ceti sociali del mondo: palcoscenico
planetario di un teatro dell’assurdo, debuttante, in quello
status, una uguaglianza di base / e si ergono i profeti dalla
sgorgante parola innovata mobile – il software,
turlupinandone quella conquista di comunicazione di base,
possibilitante una percorribile via trasversale di uscita
dall’atavica minorità, e, invece flauto magico,
rassicurante, attraverso la nostra cambiale in bianco, salubri
spazi di vivibilità tra l’incalzante insalubre criminalità,
senza geografia, e l’indeteriorabile corruzione delle
persone per bene.
Un desiderio, pertanto,
sintomatico di una posta in gioco inafferrabile / la
possibilità di scelta: bisogno di un viandante in
affanno di uscire dalla sua solitudine e comunicarla per
quella via trasversale, se considerata prestazione, la
rete, come pratica del nostro agire pensante,
quindi, riflettente, tra il vocio tanto per parlare /
non paradigma, ma referente discutibile aperto e
diretto ad ascoltare ascoltatori possibili: ascoltiamoci,
ciascuno con la singolarità del dicibile delle proprie
riflessioni; trasformiamo il perpetuarsi di un conflitto
interpretativo, retaggio di quel pensiero della
<gerarchia violenta> (Derrida) che riduce ad una unica
angolazione di lettura le varietà spigolose di un sociale
senza legame compartecipativo – infezione ereditaria -;
cresciamo insieme nella differenza.
Franco Riccio
Nessun commento:
Posta un commento