sabato 15 novembre 2014

QUARTO SOLILOQUIO


Abbiamo bisogno di storia / oggi, in movente incalzante dall’ondeggiamento incoativo attraverso il quale emergenze contraddittorie inviluppano quel legame, in tonalità senza tono, che ci identifica, fuori delle varie argomentazioni, abitatori temporanei di una terra comunitaria, nell’articolazione di un insieme, il quale, nel manifestare la sua organicità operativa nel segno del rapsodico che avvolge in sé il fluire incoativo di una esperienza individuale e collettiva che va costruendosi, traluce una correlazione oggettiva difensiva contro le variabili insorgenti negli equilibri raggiunti, cementando la dipendenza di sempre del nostro esistere dall’insieme dell’esistente, configurato all’interno dalla perenne questione del rapporto tra pensiero e essere.



Ciò mi induce a un riflettere puntato, come determinata condizione preliminare, non sulla critica né sulla denuncia, ma attraverso un risveglio di memoria intorno alla genealogia della nostra civiltà, che ci qualifica uomini occidentali.
Un risveglio indispensabile, per me, per comprendere l’attuale nostra vicissitudine esistenziale, travagliata da una crisi mondiale dagli esiti incerti e nella prospettiva di persistere nello status di individuo amministrato da una formazione politica, che si farà chiamare Stato (Nietzsche, Così parlò Zarathustra), in quanto vincente; un conoscere, il quale è un conoscermi, socializzandolo a un conoscersi; ciò affinché possiamo imparare sempre meglio <a coltivare la storia a scopo di vita>, lasciando <agli uomini sovrastorici la loro nausea e la loro saggezza> (N. Considerazioni inattuali, II) e a noi il compito di cercare in essa, <attraverso i dettagli quel frammento di stregoneria ontologica che ha presa sul reale> (Adorno, Dialettica negativa) e rilevare in essi le cicatrici del nostro legame sociale.



<Stregoneria ontologica>, oggi, rilevabile, con micologica investigazione, secondo il suggerimento di Adorno, in un prendere forma una intelligenza artificiale, in virtuale ondeggiamento costruttivo, attraverso il quale rende dicibile l’indicibilità del legame sociale, dispiegandosi e rispiegandosi in essa, per riassettarla secondo il suo timbro.



Retaggio culturale in attualità che rifinisce una mentalità, genealogicamente affermatasi, in corrispondenza all’emergere di fattori innovativi esterni e ad esigenze interne ad un legame sociale in sincope, geograficamente circoscritto. Un rivolgimento totale di un agire pensante, - e qui è necessario riflettere in sospensione ideologica e scientifica - connaturale alla natura pensante di ogni individuo di produrre pensieri, fuori da qualsiasi ordine stabilito; ordine, il quale è genealogicamente socio-culturale. Una punteggiatura per capire e per capirci: in questo campo si misura la cessazione di ogni conflittualità armata o dialettica / fuori da questo campo è il terreno di quella reificazione, urlata e tacitata dal punto di vista di colui che giudica da Adorno, prodotta dall’uomo sull’uomo /  in quel campo sono da portare i vari saperi, le varie istituzioni, le forme storiche di pensiero e di razionalità, le erranze del linguaggio, le diversità di religioni, non alla loro autosufficienza / il responsabile è l’uomo: e qui il riflettere riflettendoci si rende indispensabile: ci coinvolge, e ci coinvolge proprio nel processo d’interazione con il reale processo della vita della società, mediante il quale apprendiamo la cultura, acquistiamo i ruoli, costruiamo il nostro , e si formano e si trasformano i modelli, attraverso i quali si innesta un relativo processo di apprendimento, mediante il quale li incorporiamo psicologicamente, determinando in noi un comportamento o conforme o deviante (cfr. A.K. Cohen, Controllo sociale e comportamento deviante). / processo d’interazione da connaturale alla nostra singolarità, la quale è individuale in quanto sociale ed è tale in quanto individuale, perché abitanti temporanei nello spazio che configura la nostra appartenenza, per un processo selettivo e di equilibrio di una organizzazione umana, culturalmente normativa, diventiamo soggetti normativi: uomo, sia filosofo, scienziato, statista, progettista  informatico, teologo, senza qualità.



Ecco perché abbiamo bisogno di storia /  una storia, non per la vita (Nietzsche), ma per un’assunzione di responsabilità, non delegabile, del diritto di ogni uomo a vivere la sua quotidianità in quella superficie comunitaria che è la terra, attraverso quel legame che unifica le diversità senza annullarle.



Storia, non <pensata come pura scienza e divenuta sovrana, sarebbe una specie di chiusura e liquidazione> (Nietzsche, Considerazioni inattuali II) del legame che ci identifica per quel che siamo per natura, e non per contratto né per quello che siamo sempre stati: individui statalizzati sin dalla nascita: singolarità amalgamante in sé comunicatività nel vagito, - voce senza timbro che, in osmosi atonale ci omogenea nella diversità incomparabile / nel timbro, tonalità di una organizzazione associativa umana, prodotta, nelle varie configurazioni stagionali, dall’esito conflittuale dalle formazioni in competizione, la malattia, la quale più che logorare il legame (Habermas), ne trasmuta la spontaneità in vincolo formale, in un aggiornamento di un rituale consolidato, fissato in ogni momento della storia e che <impone delle obbligazioni e dei diritti; costituisce delle procedure accurate> (M. Foucault, Microfisica del potere) - il virus, che, in propagazione, infetta ogni individuo, il quale si fa portatore attivo, sia esso conservatore, progressista, rivoluzionario, senza qualità.



<Ciò che perdura non è un quantum di sofferenza, ma il suo progresso infernale>, scrive Adorno in Minima moralia, e dà spazio al mio rifletterla / intensificazione di un “indurimento” intensivo di un criterio normativo coniato sul timbro del segno che rende tangibile la trasmutazione di un pensare soggettivo in un pensare oggettivo e oggettivante, valorizzando, in conseguenza una forma di comportamento adatto alla società in cui si manifesta (suggerirei la lettura del saggio di J. Gervet, Comportamento. Una realtà in cerca di concetto, in Concetti nomadi, citato, per gli spunti di riflessione che suscita).
Svilupperò in seguito, almeno lo spero, tale riflessione. Ora mi è utile per un quadro sulla situazione odierna, la quale mi afferma, nell’accettazione della novità emergente, il bisogno di non dimenticare la nostra storia.



Oggi, siamo inviluppati, così penso, nei meandri labirintici di un anonimato di quel sempre amministratore dei bisogni incentivati degli individui e del loro talento – il capitalismo senza volto – e <l’esplosione planetaria della tecnologia mobile, la cui conseguenza, sul piano socio-politico, sarebbe la mobilizzazione della tecnologia> (F. Duque, L’età è mobile, qual cella al vento, in “Anterem”): New Onto(techon)logy.



inquietanti svolte, incisive su quel legame sociale che non siamo stati in grado, in ogni momento della nostra storia, costruire.



Proprio, per quel che scrive Duque, New Onto(techon)logy da prestazione, - efficiente per l’uscita di ogni uomo, al di là di ogni identità (ruolo, sesso, fede…), dalla funzione assegnata dall’equilibrio di una organizzazione umana, di agente pensante delegante, - in <l’Unità di comunicazione di base (ontologico-categoriale) attraverso la e per mezzo della proliferazione di procedure in permanente modifica e alterazione (LogicflowSystems)>, l’inguaribilità della malattia sociale.
Franco Riccio

1 commento:

  1. Mi chiedo: sono proprio dinanzi a un soliloquio?
    Se a simile termine si assegna il significato di monologo fine a se stesso, la risposta è no: se, invece, gli si attribuisce il valore di proposta di dialogo, la risposta è positiva.
    Il suo intenso e originale dire rivela un’assidua volontà o, meglio, un vivido desiderio di “esternazione”.
    A mio avviso, la sua scrittura trova l’impulso a proseguire proprio nella lucida consapevolezza dei problemi concernenti l’uso della lingua.
    Talvolta non siamo del tutto soddisfatti dalle nostre parole, tuttavia tale insoddisfazione non deve indurci a desistere ma a migliorare: questo mi sembra essere il “tenace” argomento dei suoi scritti.
    “Bisogna continuare e io continuo” diceva Beckett (cito a memoria) e, secondo me, i suoi “soliloqui” rappresentano proprio quel “bisogna” vissuto non quale dovere, bensì, ripeto, quale desiderio.
    Faccio parte della redazione di una rivista (“Anterem”) che ritiene non corretto segnare rigidi confini tra poesia e filosofia: credo che i suoi testi manifestino tale linea di pensiero in maniera non soltanto teorica ma anche esistenziale.
    La sua scrittura è vita perché è circostanza di vita e di scrittura.
    Pubblicato da Concetta Riccio
    per conto di Marco Furia

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