sabato 1 novembre 2014

SECONDO SOLILOQUIO


Riprendere la frase di Habermas, referente per il mio agire pensante / circoscrivere l’espressione legame / investigarne l’alterazione snaturante – il problema per me, esternato a riflessione comparativa per una interattiva comunicatività affiliativa ad annetterlo nostro / il legame: il problema: il nostro, coinvolgente, in una fisiologica patologia, il costume di vivere la nostra esistenza nella relativa costruzione di spazi che la rendono possibile.

Un problema geminazione di problemi con i loro interrogativi in sospensione prima del loro indurirsi, per dirla con Isabelle Stengers, in Concetti nomadi, nella cattura della loro determinazione / problemi e interrogativi, genealogia di una sincope dell’agire sociale / sincope, il luogo, facendo mio, in arbitrio, un rilievo di René Vinçon, in Ermeneutica teoria e pratica, <dove il linguaggio stormisce, fa un rumore tale che è difficile individuare le singole fonti: un fruscio generalizzato domina come parodia della voce unitaria del Senso. Appunto: tutti parlano nello stesso tempo e non si capisce più niente>.

Io mallevadore del <rumore insopportabile del concerto delle voci mescolate> (ibidem) / voce a distanza ravvicinata con le altre, in quanto la flessione politica e teorica, intenzionalmente atonale, pratica la capacità comunicativa all’interno della normativa non linguistica di organizzazione di un dicibile, referente paradigmatico dell’azione umana, - e <ciò che potrebbe aiutare il soggetto a uscire dalla prigionia di se stesso> viene a ricondursi <subito entro la chiostra del noto> (Adorno, Metacritica).

Io sono il risultato di una educabilità ad attualizzare quella tendenziale attitudine di predisposizione mentale, stampo dell’uomo occidentale, nell’atto del traslare l’intenzione del dire ciò che è problema per me in messaggio fissato sia dalla parola che dalla scrittura, a circoscrivere le coordinate configurative delle contingenze associative del mio problema soggettivo in un legame non linguistico organizzativo della polisemia delle singole mie espressioni, onde tenere salda l’unità del mio intenzionato, e così trasformare il problema per me in problema oggettivo e ottenere il suo riconoscimento o la sua smentita di oggettività.

Corporatura mentale, indipendente dai meccanismi e ingranaggi del nostro cervello / l’irrudicibilità del suo costrutto in criterio preposizionale al fattuale costituisce una necessità per non cadere in un relativismo culturale, alterante l’equilibrio stabile, indispensabile a una società civile per non scivolare nel dispotismo e, inoltre, consoliderebbe l’eterno conflitto fra individualismo e collettivismo; tra, quello che Adorno, in Metacritica, descrive il <pensare ut sic e il pensare logico>

eppure quella denuncia, recepita nelle frase di Habermas, brucia.

<nella fase attuale si è trasformata in un segno caratteristico dell’esistenza. Ciascuno è abbandonato al suo cieco caso. Da qui questa nostalgia di perfetta e consumata giustizia> (Horkheimer, La nostalgia del Totalmente Altro).

<la necessità di mascherare ׀ forse l’altro ieri / oggi smascherare in mistica insurrezione di mani pulitee il risultato non cambia ׀ questo fatto di importanza decisiva ׀ emergenzeieri, oggi incomparabili, inscritte nel medesimo rigo: il prezzo”, il quale, nella implicazione analitica dei suoi segni e delle sue significazioni, in una riflessione genealogica, indurisce il retaggio ׀ determina tutta una sfera di ipocrisia, che non solo si estende ai rapporti internazionali, ma invade anche i rapporti più privati, determina una diminuzione delle aspirazioni culturali…, un abbrutimento della vita pubblica e privata, così che alla miseria materiale si associa quella intellettuale> (ibidem).

Frase in venatura defluente di pessimismo / coralità di voci “senza “corpi” / tonalità <istituita> su cui il critico costruisce l’intenzione testuale dell’autore, contestualizzandone la qualità del suo dicibile / memoria immemore: la “dimenticanza”: denuncia di Adorno, la quale nel risveglio genealogico, impronta di Nietsche, di Foucault, si fa, notevolmente oggi, indispensabile nella confusione dei linguaggi, nella diatriba di un riformismo amministrativo e nella “distrazione” della tecnologia mobile / si propone memore stimolante a ritrovare la trafila della nostra storia, complessa per gli accidenti, le sue minime deviazioni, i suoi rovesciamenti completi (Microfisica del potere).

Risveglio di una presa di coscienza della radice di <quel che conosciamo e di quel che siamo>, rintracciabile nelle esteriorità delle accidentalità del legame attraverso il quale prende storia il corpo sociale, costituendosi, spostando l’accento di Foucault, <superficie d’iscrizione degli avvenimenti>. La sua evasione ripristina <il vuoto tautologico delle sacrosante determinazioni supreme>, sacrificando <razionalità e critica, in convivenza oggettiva con una società che si dirige verso le tenebre del dominio immediato> (Adorno, Metacritica).

Sacrosante determinazioni supreme, voci “senza corpi” che si inscrivono sul nostro quotidiano vivere nel segno della redenzione/perché questa generazione chiede un segno? Interrogativo in istanza sospensiva di Cristo (Matteo, 9.24), quasi a volerne registrare l’atemporalità/segno, oggi, profetizzato, con enfasi ciarliera, da improvvisati veggenti, la cui diversità risiede nell’abito del loro ruolo sociale, perché convergenti nella manovra del migliore offerente, installante, nel nostro subire la crisi, la seduzione/sfilano in passerella negli schermi televisivi di noi audienti impotenti, instillandoci il loro seducente segno: politici professionisti, magistrati, comici, giornalisti, sindacalisti, professionisti della criminalità organizzata, improvvisati saccenti opinionisti – e i nostri timpani si dispongono in cassa di risonanza di una sciorinante mistica, includente: lavoro, povertà, i giovani, i vecchi, le donne, la pace; mistica, della quale non è immune la chiesa di papa Francesco/e noi eterni confinati appendici di un processo sociale in accettazione della nostra reificazione, la quale attualizza, nella continua demitizzazione, l’esproprio della connaturata socialità, comunicata da quel vagito, col quale annunciamo la nostra presenza: in quel vagito, il sigillo della nostra individualità sociale; il legame che l’<uomo leonino, predatore> (Nietzsche) ha mistificato in vincolo normativo, snaturandoci in soggetti normativi.

mordente adorniano, motivo di riflessione per chi, come me, l’inquietudine di incedere su <suole nuove> (Nietsche) è scoraggiata dal perpetuarsi nell’odierno nostro vivere della sua <trasformazione nella ideologia della reificazione, letteralmente in una maschera mortuaria…, e ciò (perché) nell’autentico senso di falsa coscienza non ci sono più ideologie, ma unicamente la réclame del mondo attraverso la sua duplicazione, e la menzogna provocatoria ingiunge il silenzio…sulla questione della dipendenza causale della cultura> (Prismi).

Il silenzio ingiuntivo sulla dipendenza causale della cultura, e schegge di pensieri in libertà mi distolgono dalla riflessione in atto. Risveglio di memoria. Quel silenzio ha scritto la storia della duplicazione delle articolazioni temporali di quel legame di integrazione né affettiva né razionale, né un apriore né un aposteriore, ma parte integrante della nostra costituzione individuale; duplicazione, di conseguenza, della nostra stessa coscienza costituente, accettando le variazioni storiche della duplicazione – strumento della normalizzazione, dell’identificazione degli individui a standards sociocompartimentali diversificati – per assicurarci un migliore rendimento. Il suo radicamento in attualità costituisce una tara sul legame sociale in quanto altera la costituzione degli stessi individui nella doppiezza del loro attivarsi: agenti pensanti/agenti operativi.
Da qui, per me, ׀ astraendo tale riflessione dalla sua complessa genealogia, sulla quale, penso, di occuparmene in seguito ׀ viene a generarsi, sulla base della pertinenza, ׀ un concetto funzione, il cui effetto solvente <impedisce di pensare circolarmente (Lévy-Leblond, L’Esprit de sel, 1981) ׀ la separazione tra cultura e società, determinante nella separazione tra teoria e prassi, originante sia la distinzione tra sovrastruttura e struttura sia il divario tra società politica e società civile.

Quel silenzio, denunciato da Adorno, turba la mia riflessione in esternazione. Il suo indurimento nella nostra mentalità la rende inutile e fuori luogo in questo momento di crisi economica e politica, opera strategica di un capitalismo sempre più camaleontico. Trasforma quella che voleva essere una voce dissonante, in una oziosità di un intellettuale a tempo libero.
Non si intravede apertura di orizzonti nuovi. Si procede, per dirla con Nietzsche, su suole vecchie, non solo in Italia, ma nel mondo, con due aggravanti: egemonia cinese e la trasformazione dell’antagonismo occidente e oriente da razziale in lotta religiosa.

ma io sono un coriaceo spudorato, e dico, con Horkheimier: bisogna <riprendere a parlare veramente e sul serio> (citato).
Franco Riccio

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