Dilemma, e il richiamo alla logica salta agli occhi: una stonatura / meglio una mia stecca: io tradito da me stesso / nel
marasma della confusione, aggiungo confusione, avvalendomi di un’operazione logico-grammaticale, per sollevare
all’attenzione la complessità della
congiuntura nella quale siamo personalmente
coinvolti: un chiarire che ombra nella formulazione la biforcazione
in cui ci troviamo e che non sappiamo come traghettarla: la mia inquietudine, oltre ogni visione
scettica / perplessità legittima dell’eventuale lettore e che diventerà
indignazione per l’ esplicazione aggiuntiva: dilemma è una varietà rara del sillogismo
disgiuntivo, che ha come premessa maggiore una proposizione disgiuntiva
esprimente un’alternativa.
Convengo, senz’altro, con lo sdegnato presunto lettore /
scelta motivata dall’esigenza di un mio pensare
la crisi nella centralità della razionalità
che la rende singolare / la scelta di quel termine / scelta meditata
a rischio: scivolare, nel tentativo
comunicativo di una riflessione su quello
che è per me, senza farmi testo, l’interrogativo vitale che
dissotterra questa crisi e che va
oltre, contemplandola, la pertinenza economica, in una ibrida confusione di
aristotelismo e di economicismo: interrogativo sul nostro agire pensante nel vivere, in vivibilità dignitosa, il nostro peregrinaggio esistenziale, in coabitante comunicatività, nello spazio che ci appartiene;
requisiti, dignità e convibilità, oggi, più di ieri,
compromessi per la condizione di agenti supplementari
delle scelte intorno alla nostra vivibilità e di un convivere, echeggiando il
poeta Edmond Jabès, fra <stranieri> nello stesso luogo natio / rischio
consapevole, sollecitato dalla dispersione delle opinioni, miste di riferimenti
eruditi, scientifici e di banalità propagandistiche, ma in sintonia nel
riportare questa crisi ad una recessione economica, governabile con
riforme di politica amministrativa e settoriale; ed è preoccupante, il silenzio
sul capitalismo: un disertare teorico e strategico ottenebra l’ordito del suo filo rosso, oggi più vorace, per la virtualità del capitale, in forza della
quale esso <prende tutte le principali decisioni economiche, e le rende del
tutto indipendenti dai legislatori e, a fortiori, dalla volontà degli elettori
di un dato paese> (è una citazione di R. Rorty, riportata dal mio referente testo).
La crisi che subiamo, come ho già evidenziato in un
precedente soliloquio, non è paragonabile a quella del 1929 / è, ribadisco,
certamente una crisi economica, con
gli effetti devianti della disoccupazione
e della stessa deregulation,
cancellante le <norme che regolano
i rapporti economici> / tuttavia, il suo taglio,
nello scoperchiare il vaso di Pandora, denudando le cicatrici, retaggi di ferite inflitte al
rapporto di convivenza fra gli uomini, si segnala, dalla mia angolazione, vettore di trasformazione della matrice logica della nostra cultura e
catalizzatore di rinnovate strategie frustranti il convivere fra gli uomini; taglio, solvente, nel passaggio, un impatto, il quale, se in noi provoca una sensazione di incertezza, dalla mia, ribadisco,
angolatura, opinabile, si rivela in se stesso oggettivamente in un bivio
/ un aut aut, tuttavia, che mostra i
segni di una progressiva posizione di
cultura del nostro vivere sociale, attraverso livelli di complessità
crescente, che non costituisce, tuttavia, una posizione di successione, ma, all’inverso, una asimmetrica correlazione delle due forme sistemiche di ordine, col medesimo carattere di cattura del nostro vivere individuale e comunitario: ieri remoto e recente, oggi,
il suo prendere storia / asimmetria, la quale è tale in forza
della causale di fondo, provocata
particolarmente, dalla virtualità del
capitale: metamorfosi in atto del capitalismo?
Tale posizione
asimmetrica, per tipologie diverse
nell’investimento razionale della nostra matrice
razionale, si mostra culturale,
la quale è tale in quanto è sociale,
e viceversa, mi chiarisce Adorno; in quanto tale, per me, denuncia la dilemmaticità
con cui oggi si svela quella nostra radice.
Ho già sollevato la questione nei precedenti soliloqui,
avente come referente il lavoro di Barman e Bordoni / qui un rilievo in
ripetizione: il capitale, venendosi a legare al primato della finanza e della
banca, perde la connotazione storica del suo legame col mondo del lavoro, la
cui visibilità era espressa dalla fabbrica; in conseguenza viene, in funzione
della virtualità della sua
trasformazione, a verificarsi una smaterializzazione dello stesso lavoro,
poiché, rispetto all’immobilizzazione del passato, alla sua materialità
visibile, appunto, la fabbrica, e quindi impianti ed inquinamento, si
volatilizza e si rileva senza padroni.
In tale connotazione configurativa, il mio interrogativo su tale virtualità, la quale ottunde il
significato “astratto” di possibilità ad “essere”, ma realtà a tempi differenti nel filo
rosso della “cattura” del sociale e della produzione della “ricchezza” (25°
sol.) / il mio quesito: la centralità del travaglio odierno
nell’economia, mette in luce nuova il taglio
logico della matrice razionale della nostra cultura / quesito, che si incappa nella pratica burocratica della pertinenza: è un problema economico:
senz’altro; ma, la sua singolarità,
così come le altre singolarità, che,
nella loro correlazione, costituiscono la nostra
esperienza mondana, non sviluppa le sue potenzialità di autonomia
attraverso un dispiegarsi di una
razionalità normativa (Foucault)? Oggi, la questione economica, nella sua
complessità, non segnala il carattere
critico di quella stessa razionalità: il
problema? Ha ben visto Adorno in Parole
chiave: <La critica della società è critica della conoscenza, e
viceversa>. La reciproca convertibilità rende discutibile la pertinenza: la razionalità fa parte del nostro mondo umano reale: non è dipendente
da una particolare disciplina.
Oggi, questa nostra razionalità, nella trasformazione
economica, manifesta dei segnali di
deviazione dai suoi tradizionali dispositivi normativi, proprio nella loro
riproposizione . Nel rifletterli, il mio interrogativo:
il suo porsi o imporsi taglio, cesura, tale varco controvertibile di un prendere cultura si
staglia in tutta la sua problematicità: o
di un ribaltamento della radice
storica della nostra razionalità o di
un suo avvicendamento, dissimulatore,
irrobustito dai progressi scientifici e tecnologici, di un rinnovato
incanalamento della mentalità degli
individui nella sfera del vantaggio, il quale oggi
sembra farsi storia / posizione cruciale
della crisi: in essa si accendono, ribadisco, tutte le cicatrici, prodotti dalla storia, e la crisi da economica si
svela culturale, rendendo
intransitabile il nostro temporaneo cammino su questa terra e i nostri rapporti
di convivenza, e un dilagarsi di una
confusione di idee ottenebra il reciproco ascolto
/ ci rispecchiamo, riecheggiando il
poeta Edmond Jabès, nello stesso luogo natio, l’uno verso l’altro, e viceversa stranieri.
Sollecitare l’attenzione, nella vigente sordità
atmosferica, su quell’interrogativo,
espresso in precedenza (la nostra vivibilità
individuale e sociale) e che, in quanto tale, investe la matrice della cultura della nostra
occidentalità, tra l’altro minacciata, in casuale concomitanza con la crisi che subiamo, rendendola più
complicata, da settori della geografia islamica: la mia scelta.
Scelta travagliata e a rischio, come già affermato: il virus logico-linguistico della razionalità della nostra cultura /
affezione in contagio educativo del timbro
della sua tonalità, base della nostra istituzione scolastica
/ in quella base circoscriviamo i
nostri interrogativi, anche i più radicalmente sovversivi, gli strumenti del dubbio / il tentativo di
intraprendere percorsi inusitati.
In tale consapevolezza, - il mio accorgimento metodologico operativo a segnalare la
valenza cruciale della crisi,
provocata dalla trasformazione economica (la virtualità del capitale finanziario), in quella matrice, nel genealogico suo <nucleo
logico>, rilievo di Frege, da me visitato nei suoi cardini di funzionamento,
e cogliere, nel suo posizionarsi in
atto, l’oggettività correlazionale,
riflessa in sé, dei suoi dispiegamenti controversi: il suo manifestarsi in dilemma
In tangenziale
agli indici rilevanti del dibattito
sul discorso della modernità, nel
soliloquio precedente, i miei interrogativi (ne evito la ripetizione) suoi cardini di funzionamento di quel genealogico <nucleo logico> della nostra cultura,
/ nella quale il timbro occidentale va oltre la sua geografia, nella loro operatività di cattura dell’ondeggiamento incoativo dell’esperienza naturale e
sociale, sotto l’<unità del nome> (Nancy) \
posti in comparazione nella medesima funzionalità,
fibrillazioni di un capitalismo corsaro dell’ieri e dell’oggi, hanno
evidenziato in quell’attrattore
gravitazionale, logica istitutiva
della nostra cultura, (insisto) non la contraddizione dell’efficacia
catturante, ma l’alternativa funzionale
degli stessi suoi cardini di operatività.
In tale alternatività,
operatività soggiacente di una economia in trasformazione, che è tale,
riaffermo, in quanto è sociale, e viceversa, in quanto designano la nostra
esperienza mondana, l’irrompere, oggi,
una crisi singolare per la
turbinosa complessità, conglobante in sé problemi in divario di natura. Nella
mia osservazione si manifesta passaggio
in bivio, il mio urlo in replica,
di una perturbazione che aggredisce la radice,
genealogicamente istitutiva del taglio culturale attraverso il quale l’occidente, a livello storico sociale, ha
divulgato nel resto del mondo una nuova civiltà,
fondata sulla valorizzazione dell’uomo operatore della sua fortuna / possiamo
essere critici severi, e lo siamo
stati, ma su quel taglio si sono
istituiti i saperi e la stessa loro
critica; si è sviluppato il progresso; ci siamo educati: un dato storico incontestabile.
In tale quadro, il nome dilemma, va sottratto al significato psicologico dello stato
d’animo della scelta opzionale, e va
chiarito nella sua accezione logica / il mio ricorso metodologico di lettura a quel sillogismo
[mettendo in risalto, in piega tangenziale, svincolandola dal
formalismo, la proposizione maggiore
(identificante il <nucleo logico) e
riaffermandone la funzione, flettendola, in tale taglio, in attrattore
gravitazionale attraverso il quale si dispiega
la disgiunzione, non contraddittoria, ma alternativa delle sue due proposizioni (i cardini di operatività del <nucleo>)
in essa orbitante],
tende ad orientare, senza distogliere l’attenzione sulle
difficoltà del momento, il discorrere
su tale centralità per intenderci che
un ribaltamento sociale non è
operativo, se non è sostenuto da uno stravolgimento del come pensiamo: quindi, operazione di logica culturale.
Piegature in arbitrio motivato: ciò che si dà in dilemma è il <nucleo logico> della
nostra cultura nella
istitualizzazione dei suoi cardini,
׀ il genealogico, nel linguaggio di Hölderlin
(Sul tragico) <rivolgimento
totale> dal mito, e per me,
della cattura dei pensieri soggettivi, storicamente
incorporati in un pensare figurativo (il
mito) e in un pensare per astrazione
(la formalizzazione della sua aurea genealogica, il fondamento razionale, appunto, della nostra cultura, e, pertanto, il tessuto formativo del come
peniamo) ׀
l’attratore
gravitazionale delle sue stesse disgiunzioni,
da cui partire per cogliere il possibile passaggio
di cultura della nostra società, e che oggi, la situa in posizione dilemmatica / tale posizione non è, quindi,
uno status di scelta individuale, se
non nel coinvolgimento esistenziale: noi siamo stati indottrinati da una egemonia
culturale, immutabile nel variare delle stagioni climatiche
socio-politiche, sino ad oggi con la legalizzazione
della delega, ad essere <appendici> (Adorno) dei vari processi
economici, sociali, politici, culturali, eccetto al verificarsi di una nostra
indispensabilità, come forza di sostegno: soldati/elettori/apprendisti
stregati.
Consapevolezza
di quel vincolo culturale, rinnovo il
suggerimento di Adorno, con il quale, condividendolo, è culturale in quanto è sociale,
e viceversa / misura: il non aver
avuto consapevolezza di tale condizionamento
le rivoluzioni perdute e i vari tentativi di un pensare altrimenti, intrappolandosi in quella oggettivazione, in regime
diverso, di pensieri soggettivi, che
fa del sapere, potere (Foucault) / Misura in me
il desiderio del cambiamento per amore di
un cambiamento, sottratto ad ogni dettame.
Franco Riccio
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