Feconda provocazione di Marco
Furia, fertilizzante in me uno stimolo a rimeditare la questione da me posta in
sospetto del nostro considerarci moderni / la tempestività della
ricezione, favorita dall’avvento di una tecnologia, strumento in grado di contestualizzare l’interscambio di vedute, e,
in quanto tale, visibilità di una pratica
di enunciazione senza precedenti storici,
mi dà la possibilità, nell’ascolto
dello stimolo, di spiegare a me stesso l’anomalia evidente, riscontrabile nella
mia maturata convinzione di non
essere usciti dal sempre stato di
minorità
/ l’osare di un varcare, valicando il fluire dei torrenti, coinvolgenti ogni uomo, nel vivere l’esperienza della
sua congiuntura, in una situazione che si rivela figlia del tempo: il moderno: messaggio che io percepisco dal manifesto illuministico, annunciante l’avvento di tempi nuovi / tempi nei quali Hegel vede lo spiegarsi della loro grandezza nel
riconoscere la <libertà> e la <riflessione>. proprietà dell’uomo in
quanto soggetto (Lineamenti di filosofia del
diritto) / tempi, manifestazione,
tradita per Nietzsche, poiché tempo del dischiudersi <nuovi
mari>, dove <aperto è il mare…(e) tutto più nuovo..risplende> (La gaia scienza) ad ogni uomo: proiezione indicativa di una possibile figurabilità di moderno nel quale l’agire pensante di ogni
individuo costruisce l’esperienza mondana del suo vivere gli spazi di
convibilità nell’articolazione temporale del suo agire in tutt’uno, per dirla
con Nancy, graffiato dal suo essere <testo>, con e attraverso l’<ondeggiamento incoativo
dell’esperienza> - il polein,
cioè, l’agire dell’uomo che esercita la naturalità
del suo pensare al di là di ogni
previsione, sfuggente ad ogni pianificazione,
poiché vive la sua temporalità
(Hölderlin, Sul tragico)
/ testimonianze letterarie, su cui si adagerà il
dibattito intorno alla modernizzazione
del moderno, <l’età del
trapasso>, ancora Hegel (suggerirei la
lettura del lavoro di Habermas, Il
discorso filosofico della modernità): innegabile / testimonianze, tuttavia,
i cui effetti solventi sul corpo sociale,
dal quale provengono, ne mostrano il
rivolgimento totale delle condizioni che lo attestano spazializzazione
temporale alimentante una continua innovazione che inaridisce il passato
remoto, il recente e la stessa ora:
ne siamo testimoni: il corpo sociale,
nella sua frastagliata composizione, ha eruttato:
la libido peccaminosa, mettendone
alla luce la forza produttiva del suo
stesso disporsi corpo sociale,
liberandone la ritualità della confessione
e della relativa assoluzione,
cittadelle del confessionale e della psicoanalisi, rendendola pubblica, divenendo, tra l’altro, materia scolastica; il peccato originale di Eva, mostrandone la
redenzione della donna nella fisionomia del maschio, nella quale realizza il diritto negato della parità
sessuale e in forza della quale legittima
la compartecipazione alla governabilità,
nei limiti democratici del 50%; il
dislivello dei canali di trasmissione espositiva
di una manifestazione di una esperienza di verità, attraverso la
parità individuale del diritto alla
parola e alla sua trasmissione, fuori dal <testo> e dalla
contaminazione dei media,
contribuendo ad evolvere la massa in moltitudini di individui, livellata
nell’<utilizzo della digitalizzazione
high-tech, esemplificata in
Internet e nella telefonia mobile> - utilizzo, che rende fattibile <il
raggrupparsi particolarizzato degli
uomini, accomunati trasversalmente dalla loro attività tecnica, in quanto capacità di rilegare i diversi gruppi sociali
con una seconda natura> (F. Duque,
L’età è mobile, qual cella al vento,
in ”Anterem”, n. 87).
io smentito dai fatti
eppure, -
più il nuovo mi avvince, più esso
misura la mia ignoranza di non vederne quel distanziarsi, pur nella visibilità dello spicco che lo estranea, perché esso mi oscura la condizione di possibilità, a partire dalla quale e mediante essa,
la curva della svolta si segnala
indice esplorativo di un percorso, non dettato da un ago gravitazionale la strada, ma freccia che va attuando la
strada con e attraverso la compartecipazione attiva di ogni uomo
<Io, la verità, parlo> (Lacan, Altri
scritti) / uno spiraglio tra gli interstizi dell’angolazione tematica,
senza entrarne in merito, elaborata da Lacan, sveglia in me il taglio di cesura, prodotto genealogicamente
dal moderno, in raffronto a quel taglio di cesura, operato intorno, se la
memoria non mi tradisce, tra il VII e il VI sec. a.C. nelle geografie delle
colonie greche, nei confronti della loro cultura
coerente ad un atteggiamento mentale figurativo: il pensare mitico; cesura, la quale
segnò, per varie esigenze di equilibri, inerenti alla realizzazione di una maturata esperienza mondana del convivere, il
terreno fertile della trasformazione, alimentata dall’alfabetizzazione,
provocata da un far proprio dell’alfabeto siro-fenicio, di una mentalità, educata da una cultura orale a una mentale
(diciamo) scritta, genesi della matrice del nucleo logico (mi approprio
del linguaggio di Frege) della cultura della nostra mondanità:
semplificando la cesura che apre la
via ai tempi moderni mette in luce un
pensare soggettivo che si fa oggettivo / oggettivo, la qualità che fa la differenza:
su essa si appunta il problema su cui invito a riflettere.
Nei due soliloqui antecedenti e il posteriore (lo spero) a questa mio riflettere una provvidenziale sollecitazione è rintracciabile una più articolata
elaborazione, in linea spezzata con
il problema posto da Deleuze di spostare l’attenzione
dalla manifestazione del nuovo alla sua condizione: la centralità
della questione. Oggi, pregiudiziale ad
ogni riforma del nostro assetto
comunitario / due emergenze la
impongono: la linea rossa del
capitalismo finanziario, su cui ho dedicato, credo, cinque esplorazioni; la tecnologia mobile.
Slittare l’esplorazione dalla
loro dalla loro manifestazione alla condizione fondamentale che la qualifica
è urgenza politica di un rinnovamento organizzativo del corpo sociale
che passa attraverso una presa di coscienza individuale e collettiva del come pensiamo / noi siamo
figli educati da una logica culturale che
ci distingue: occidentali e il nostro agire
pensante si esercita attraverso la
riflessione comunicativa che si pratica in un corpo sociale normato dalla nostra stessa cultura.
Trasmetto una considerazione di
Pierre Livet (Norme. I difficili rapporti
del razionale e de normativo, in Concetti
nomadi) che deve farci riflettere:
<Se esistono molte maniere di strutturare l’esperienza, se ogni imposizione
di significato è un’interpretazione, avremo un bell’utilizzare le stesse
procedure intellettuali, le stesse operazioni logiche di base, la nostra
visione del mondo sarà comunque normata dalla nostra cultura, e potrebbe dunque
diversa da quella che è>.
Riflettere oggi, necessariamente per non cadere in balia
di qualche improvvisato messia: oggi
sorgono come funghi / con persuasione, pregnante di intensa misericordia verso
gli ultimi, affermano la netta distinzione tra il loro pensare in grado di correlazionare il
loro dicibile con l’esistente da un agire pensante in dicibile poetico: discorso vero, innovativo: tutti progressisti
a tal punto dal non distinguere il dire:
la diversità dei toni uniformati
dalla medesima mentalità conservatrice /
politica e antipolitica, il loro dire secondo l’assiomatica sulla contraddizione di Aristotele, attualizzata
nei tempi moderni: in postulato
scientifico; in formalizzazione fenomenologica; in coerenza e correttezza
logica
/ Io, la verità, parlo, e la parola
si fa <l’esperienza di ciò che arriva alla parola attraverso la parola
stessa> (Derrida).
siamo post-moderni?
Franco Riccio
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