martedì 18 agosto 2015

TRENTATRESIMO SOLILOQUIO

Feconda provocazione di Marco Furia, fertilizzante in me uno stimolo a rimeditare la questione da me posta in sospetto del nostro considerarci moderni / la tempestività della ricezione, favorita dall’avvento di una tecnologia, strumento in grado di contestualizzare l’interscambio di vedute, e, in quanto tale, visibilità di una pratica di enunciazione senza precedenti storici, mi dà la possibilità, nell’ascolto dello stimolo, di spiegare a me stesso l’anomalia evidente, riscontrabile nella mia maturata convinzione di non essere usciti dal sempre stato di minorità

/ l’osare di un varcare, valicando il fluire dei torrenti, coinvolgenti ogni uomo, nel vivere l’esperienza della sua congiuntura, in una situazione che si rivela figlia del tempo: il moderno: messaggio che io percepisco dal manifesto illuministico, annunciante l’avvento di tempi nuovi / tempi nei quali Hegel vede lo spiegarsi della loro grandezza nel riconoscere la <libertà> e la <riflessione>. proprietà dell’uomo in quanto soggetto (Lineamenti di filosofia del diritto) / tempi, manifestazione, tradita per Nietzsche, poiché tempo del dischiudersi <nuovi mari>, dove <aperto è il mare…(e) tutto più nuovo..risplende> (La gaia scienza) ad ogni uomo: proiezione indicativa di una possibile figurabilità di moderno nel quale l’agire pensante di ogni individuo costruisce l’esperienza mondana del suo vivere gli spazi di convibilità nell’articolazione temporale del suo agire in tutt’uno, per dirla con Nancy, graffiato dal suo essere <testo>, con e attraverso  l’<ondeggiamento incoativo dell’esperienza> - il polein, cioè, l’agire dell’uomo che esercita la naturalità del suo pensare al di là di ogni previsione, sfuggente ad ogni pianificazione, poiché vive la sua temporalità (Hölderlin, Sul tragico)  


/ testimonianze letterarie, su cui si adagerà il dibattito intorno alla modernizzazione del moderno, <l’età del trapasso>, ancora Hegel (suggerirei la lettura del lavoro di Habermas, Il discorso filosofico della modernità): innegabile / testimonianze, tuttavia, i cui effetti solventi sul corpo sociale, dal quale provengono, ne mostrano il rivolgimento totale delle condizioni che lo attestano spazializzazione temporale alimentante una continua innovazione che inaridisce il passato remoto, il recente e la stessa ora: ne siamo testimoni: il corpo sociale, nella sua frastagliata composizione, ha eruttato: la libido peccaminosa, mettendone alla luce la forza produttiva del suo stesso disporsi corpo sociale, liberandone la ritualità della confessione e della relativa assoluzione, cittadelle del confessionale e della psicoanalisi, rendendola pubblica, divenendo, tra l’altro, materia scolastica; il peccato originale di Eva, mostrandone la redenzione della donna nella fisionomia del maschio, nella quale realizza il diritto negato della parità sessuale e in forza della quale legittima la compartecipazione alla governabilità, nei limiti democratici del 50%; il dislivello dei canali di trasmissione espositiva di una manifestazione di una esperienza di verità, attraverso la parità individuale del diritto alla parola e alla sua trasmissione, fuori dal <testo> e dalla contaminazione dei media, contribuendo ad evolvere la massa in moltitudini di individui, livellata nell’<utilizzo della digitalizzazione high-tech, esemplificata in Internet e nella telefonia mobile> - utilizzo, che rende fattibile <il raggrupparsi particolarizzato degli uomini, accomunati trasversalmente dalla loro attività tecnica, in quanto capacità di rilegare i diversi gruppi sociali con una seconda natura> (F. Duque, L’età è mobile, qual cella al vento, in ”Anterem”, n. 87).

io smentito dai fatti 

eppure, - più il nuovo mi avvince, più esso misura la mia ignoranza di non vederne quel distanziarsi, pur nella visibilità dello spicco che lo estranea, perché esso mi oscura la condizione di possibilità, a partire dalla quale e mediante essa, la curva della svolta si segnala indice esplorativo di un percorso, non dettato da un ago gravitazionale la strada, ma freccia che va attuando la strada con e attraverso la compartecipazione attiva di ogni uomo

<Io, la verità, parlo> (Lacan, Altri scritti) / uno spiraglio tra gli interstizi dell’angolazione tematica, senza entrarne in merito, elaborata da Lacan, sveglia in me il taglio di cesura, prodotto genealogicamente dal moderno, in raffronto a quel taglio di cesura, operato intorno, se la memoria non mi tradisce, tra il VII e il VI sec. a.C. nelle geografie delle colonie greche, nei confronti della loro cultura coerente ad un atteggiamento mentale figurativo: il pensare mitico; cesura, la quale segnò, per varie esigenze di equilibri, inerenti alla realizzazione di una maturata esperienza mondana del convivere, il terreno fertile della trasformazione, alimentata dall’alfabetizzazione, provocata da un far proprio dell’alfabeto siro-fenicio, di una mentalità, educata da una cultura orale a una  mentale (diciamo) scritta, genesi della matrice del nucleo logico (mi approprio del linguaggio di Frege) della cultura della nostra mondanità: semplificando la cesura che apre la via ai tempi moderni mette in luce un pensare soggettivo che si fa oggettivo / oggettivo, la qualità che fa la differenza: su essa si appunta il problema su cui invito a riflettere.

Nei due soliloqui antecedenti e il posteriore (lo spero) a questa mio riflettere una provvidenziale sollecitazione è rintracciabile una più articolata elaborazione, in linea spezzata con il problema posto da Deleuze di spostare l’attenzione dalla manifestazione del nuovo alla sua condizione: la centralità della questione. Oggi, pregiudiziale ad ogni riforma del nostro assetto comunitario / due emergenze la impongono: la linea rossa del capitalismo finanziario, su cui ho dedicato, credo, cinque esplorazioni; la tecnologia mobile.

Slittare l’esplorazione dalla loro dalla loro manifestazione alla condizione fondamentale che la qualifica è urgenza politica di un rinnovamento organizzativo del corpo sociale che passa attraverso una presa di coscienza individuale e collettiva del come pensiamo / noi siamo figli educati da una logica culturale che ci distingue: occidentali e il nostro agire pensante si esercita attraverso la riflessione comunicativa che si pratica in un corpo sociale normato dalla nostra stessa cultura.

Trasmetto una considerazione di Pierre Livet (Norme. I difficili rapporti del razionale e de normativo, in Concetti nomadi) che deve farci riflettere: <Se esistono molte maniere di strutturare l’esperienza, se ogni imposizione di significato è un’interpretazione, avremo un bell’utilizzare le stesse procedure intellettuali, le stesse operazioni logiche di base, la nostra visione del mondo sarà comunque normata dalla nostra cultura, e potrebbe dunque diversa da quella che è>.

Riflettere oggi, necessariamente per non cadere in balia di qualche improvvisato messia: oggi sorgono come funghi / con persuasione, pregnante di intensa misericordia verso gli ultimi, affermano la netta distinzione tra il loro pensare in grado di correlazionare il loro dicibile con l’esistente da un agire pensante in dicibile poetico: discorso vero, innovativo: tutti progressisti a tal punto dal non distinguere il dire: la diversità dei toni uniformati dalla medesima mentalità conservatrice / politica e antipolitica, il loro dire secondo l’assiomatica sulla contraddizione di Aristotele, attualizzata nei tempi moderni: in postulato scientifico; in formalizzazione fenomenologica; in coerenza e correttezza logica

/ Io, la verità, parlo, e la parola si fa <l’esperienza di ciò che arriva alla parola attraverso la parola stessa> (Derrida).

siamo post-moderni?

Franco Riccio













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