mercoledì 15 giugno 2016

QUARANTAQUATTRESIMO SOLILOQUIO

Riprendo il filo interrotto in quell’additare il rotolare, ancora oggi, del macigno (Camus) e, allo stesso tempo, nel suggerire il prenderne cognizione, non in base al clima che respiriamo / clima, per il quale l’altro è il corrotto o il criminale o l’egoista, privo di misericordia verso gli ultimi / clima, risonante un moralismo cieco, poiché pregiudica la dignità dell’uomo…inequivocabilmente colpevole, quindi: punibilelasciando scorrere il reato, cancrena da sradicare / prenderne, pertanto, cognizione, in forza di quell’onestà intellettuale che ci spinge a riflettere…rifrangendola in noipunto, per dirla con Nietzsche (La Gaia scienza), di una circonferenza - sulla condizione cagionatrice di quei fenomeni che hanno segnato il faticoso ed arduo nostro cammino verso l’emancipazione, e che, oggi, si manifestano in smodata recrudescenza.

Se quei fenomeni…estrazione umana…resistono al tempo, non segnalano una moria in propagazione, tale da evidenziare l’impotenza di ogni normativa, anche la più inflessibile? Non è lecito il sospetto della presenza di un virus che evidenza in quei fenomeni la malattia congenita in ogni organizzazione umana del nostro vivere da individui in naturalmente attivo (espressione a prestito dall’Emilio di Rousseau) relazionarci con i nostri simili, e che ci rende singolarmente sociali? Quel virus non denuncia un problema sociale di pertinenza politica e non giudiziaria, fermo restando la punibilità del reato? Oggi da emancipati, annebbiati della confusione delle pertinenze di quei poteri che un tempo definiva lo Stato di diritto? Non è individuabile in quella confusione una sfuggente distanza tra autonomia e indipendenza? distanza, sancita per impedire a quei poteri l’insorgere pretenzioso della riduzione all’unità di quel equilibrio, argine a ritorni, sovvertiti dalla maturata presa di coscienza popolare? Perché, noi…né guelfi, né ghibellini…non proviamo a sbirciare con occhio microscopico quella conflittualità? Non siamo…a prima occhiata…spettatori inerti di una spettacolarità angosciante e che raggiunge livelli di assurdità a tal punto da barattare un accordo tra parti, chiamati ad esercitare un servizio sociale, obliando il vincolo costituzionale e sostituendolo con il rispetto reciproco? Addentrandoci, non salta fuori una anomalia che stride con la genealogia che ha dato vita a questa nostra organizzazione sociale, e rintracciarla nella dimenticanza della conquista della nostra sovranità, sancendola…nella delega…nel requisito della responsabilità verso se stessa, cioè il diritto ad attribuirsi l’indipendenza? Più a fondo, non è visibile una delle cause che  oggi generano la crisi della rappresentanza e l’incertezza del diritto? Tali rilievi non possono costituire l’interrata condizione innovante insorgenze contro le quali abbiamo lottato?

Ci siamo impossessati di tutte quelle libertà che caratterizzano il <naturalmente attivo> (ibidem) del nostro agire pensante: prima, conquistandole attraverso lotte e sofferenze; poi, nell’avvicendarsi dei tempi,  sudandole e strappandole a formazioni sovrane per un loro riconoscimento giuridico – e il <già è> avviò il suo attualizzarsi in esse, in forza ad una normativa che noi abbiamo voluto, nella fiducia in noi di aprire una pagina su cui iniziare a scrivere una esperienza di vita. tratteggiata dalle coordinate della nostra cooperativa produttività, poiché i delegati della nostra sovranità continuarono, e continuano ancora oggi, a chiamarsi Stato (leggere Nietzsche, Così parlò Zarathustra), eternando il sempre stato della discriminante separazione fra governanti e governati: governare per governarci è la corale che oggi unifica le diverse tonalità dei vocati…in appendice la nostra sovranità.
Abbiamo reso possibile la traduzione della nostra sessualità in sapere, tale da renderla insegnabile nelle scuole / abbiamo conquistato il diritto alla parola, in forza dell’ingegno dell’uomo della tecnologia mobile che ha smacchiato quell’appellativo di massa che ci uniformava nello status di esseri all’oscuro, e resa visibile la nostra sovranità di individui, costituente una moltitudine, legata trasversalmente dalla tecnica (Duque, già cit. / siamo i padroni assoluti dell’universo intero / niente ci è oscuro: abbiamo sfidato la morte, debellando malattie tradizionali e nuove, allungando la vita; abbiamo dimostrato a Dio la nostra capacità di aver scoperto la particella con la quale ha creato il mondo / abbiamo ricuperato e evidenziato la capacità della nostra facoltà di pensare oltre al burocraticismo e formalismo del nostro agire pensante, esternando la possibilità della nostra immaginazione di una disposizione configurativa dei rapporti umani sottratta al dominio capitalistico e ad ogni forma di potere dell’uomo sull’uomo, indicandone la via in un ribaltamento culturale, reso possibile da una logica al femminile, in grado di promuovere una partecipazione collettiva nella pratica del vivere la nostra mondanità: il sessantottoutopia, dimostrata praticabile negli anni settanta e ottanta per la concomitanza di più fattori, tra i quali: <lo sviluppo della tecnologia, il post-fordismo e la smaterializzazione del lavoro, unite all’esplosione del consumismo e della diffusione delle comunicazioni> (Bordone, Stato di crisi, già cit.)…eppure
…viviamo e subiamo un loro profondo processo di revisione, il quale è più che una <restaurazione> (Bordoni, già cit.), ma una  recrudescenza del sempre stato.
Il sempre stato: il filo rosso di una economia in svolta capitalistica, nel taglio del moderno, oggi in gestione del mercato finanziario che, nella virtualità del capitale, immette e instrada nel nostro quotidiano il lasciar fare dello spirito liberista in chiave di un individualismo in bàlia del mondo e senza futuro, legandolo a perseguire il proprio vantaggio, promuovendo: lo sfaldamento della solidarietà, incanalando ciascuno di noi, educati dalla cultura dei nostri padri e vigente nella nostra operatività quotidiana, verso una cultura dell’immediato; il trasferimento della produttività del capitale dalla fabbrica alla banca, il  cui effetto solvente mette in pratica un nuovo padronato: sia in economia, poiché il visibile capitalista e individuabile, l’obiettivo delle lotte sindacali, si è virtualizzato nell’anonimato gestore del mercato finanziario; sia in politica, dalla quale ne sottrae il potere altra causa della crisi della rappresentanza, in quanto provoca <un’effettiva cancellazione di certe prerogative democratiche>, determinando <l’abbattimento drastico del welfare, (costringendo ogni Stato) a inserire la pratica del pareggio del bilancio nelle proprie Costituzioni>, (rendendo più visibile): la disuguaglianza dei cittadini>; la formalizzazione <di fatto (della) precarizzazione del lavoro come pratica necessaria per far fronte alle richieste di maggiore elasticità da parte dell’industria>; <lo sganciamento dai vincoli> di controllo dello Stato sull’economia, che di fatto implica una crescita e un consolidamento del capitalismo, rendendo più indipendente il suo anonimato (Barman, Stato di crisi)…

…un eppure, - incitamento ad una riflessione in correlazione su quei rilievi / indici…nell’utilizzare in arbitrio il dire di Lacan…eventi del mio corpo pensante…maturanti in esso un segnale di Adorno: la convinzione di esperire il vivere l’esperienza della mia mondanità in qualità di appendice di un processo confusionario di aggiornamento dell’incatenamento della mia coscienza, già espropriata: - una sua addizionale abrasione, poiché il modernismo del suo vincolo non è suscitato  da specifici contenuti ideologici, ma da una inoculazione pubblicizzante una riappropriazione di quel detratto subito, in mercanzia di scambio - e il constatarne il rispecchiarla nei mie conterranei…
…un eppure, - appello per una interdipendenza di riflessioni fra le nostre singolarità inalienabili: altra da una dialettica, fomentatrice di un conflitto tra le interpretazioni, ognuna delle quali in assiomatica ultima parola /  circolazione di liberi pensieri di un noi che lascia affiorare le singolarità degli io, foraggiata da quella circolazione / un noi non elettisenza pulpito, il podio che ci fa attori…un noi atonali in dissonanza dalla corale unificante  in tonalità in chiave di destra, di sinistra, di centro, diversificato dalle varie note, di anti-politica e di moralismo politico: manfrine, ambedue, in insegna promozionale, sventagliata in: mani puliti, cinque stelle, show in sceneggiata contro-informazione, misericordiosi: coralità di una necessaria nostra governabilità per una nostra redenzione dai mali che hanno sempre afflitto la società

…e la memoria rinnova in me l’annosa questione: il presupposto di quei mali: l’esperienza umana nel suo determinarsi storicamente o la società, in funzione della quale quel presupposto diviene il risultato.

La storia della nostra cultura, proprio nelle sue varianti, ne testimonia la rilevanza / esplicitarla ne svaluterebbe la gravità: primavere ravvivanti orizzonti di approfondimento in ogni campo del sapere: dalla filosofia alle varie scienze dell’uomo; dalla fenomenologia alla etologia e all’ecologia; dal positivismo logico alla psichiatria, alla psicologia analitica, alla psicanalisi, alla psicobiologia / ogni disciplina, comprese quelle che mi dimentico, ci hanno permesso l’approccio ai processi soggiacenti a quel presupposto.

Quel che mi preme sottolineare e portarlo alla riflessione…in un suo fluire in correlata disposizione…è una questione, che ritengo centrale, e che quelle discipline sorvolano, nella diversità dei registri e codici linguistici dei loro rispettivi generi discorsivi.

In questo momento…in cui la comunicazione manifesta opacità che concima la confusione dei linguaggi, rendendola  più pericolosa, in quanto la sua non trasparenza mette in gioco la nostra convivenza civile, rendendo inumata, in essa, l’atrofia di tutto ciò che umano (Adorno, Minima moralia)…<non vale la pena esaminare come la realtà sociale appare a livello della conoscenza umana>: suggerimento di J. Gervet (Comportamento, in Concetti nomadi, cit.)? Questione in oblio, effetto solvente delle citate formazioni discorsive e inumata negli ordinamenti pratici della vita (Adorno)?

Un mio indice di valutazione / un mio problema / esigenza “educata”, proposta alla riflessione senza valersi di uno statuto di esclusività né di oggettività / esigenza: bisogno di storia, sottratta al farneticamento delirio del vocio, in atto alternatesi tra retorica e chiacchiericcio / storia in chiave genealogica dell’operato degli uomini a costruirsi e viverla l’esperienza temporanea della propria mondanità: Nietzsche, vitalizzante in Foucault nell’attualizzare quella esperienza <il campo di determinazione storica> all’interno del quale l’uomo <vive, parla, produce>(da Le parole e le cose a L’archeologia del sapere) – esperienza di fatto che (e qui è illuminante Lacan) che si determina genealogicamente in <esperienza di verità) / problema per me che si sviluppa in varco nel problema che pone in dimensione critica il nostro modo di pensare l’antinomia del presupposto che oggi condanna l’uomo, sgravando di responsabilità la istituzionalità della  società.


* problema che mette senz’altro in gioco la mia credibilità, sebbene affermata opinabile / se ho diritto a parlarediritto che in me si trasforma in impegno socialetale diritto non mi esonera di documentare la ragionevolezza del mio dire / per tal motivo interrompo tale rilievo, per aprirlo successivamente, in quanto mi è indispensabile un riordino delle mie idee e un po’ di tempo di rivedere quei riscontri che sostengono la mia opinione – al prossimo.
Franco Riccio

1 commento:

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