Riprendo il filo interrotto in
quell’additare il rotolare, ancora
oggi, del macigno (Camus) e, allo
stesso tempo, nel suggerire il prenderne cognizione, non in base al clima che respiriamo / clima, per il quale l’altro è il corrotto o il criminale o
l’egoista, privo di misericordia verso gli ultimi / clima, risonante un moralismo cieco,
poiché pregiudica la dignità dell’uomo…inequivocabilmente
colpevole, quindi: punibile…lasciando scorrere il reato,
cancrena da sradicare / prenderne,
pertanto, cognizione, in forza di quell’onestà
intellettuale che ci spinge a riflettere…rifrangendola in noi – punto,
per dirla con Nietzsche (La Gaia scienza), di una circonferenza - sulla condizione
cagionatrice di quei fenomeni che
hanno segnato il faticoso ed arduo nostro cammino verso l’emancipazione, e che, oggi, si manifestano in smodata
recrudescenza.
Se quei fenomeni…estrazione umana…resistono al tempo, non segnalano una moria in propagazione, tale da
evidenziare l’impotenza di ogni normativa, anche la più inflessibile?
Non è lecito il sospetto della
presenza di un virus che evidenza in
quei fenomeni la malattia congenita
in ogni organizzazione umana del
nostro vivere da individui in naturalmente attivo (espressione a prestito dall’Emilio di Rousseau) relazionarci
con i nostri simili, e che ci
rende singolarmente sociali? Quel virus non denuncia un problema sociale di pertinenza politica e
non giudiziaria, fermo restando la punibilità del reato? Oggi da emancipati,
annebbiati della confusione delle pertinenze
di quei poteri che un tempo definiva lo Stato
di diritto? Non è individuabile in quella confusione una sfuggente distanza
tra autonomia e indipendenza? distanza, sancita per impedire a quei poteri l’insorgere pretenzioso della
riduzione all’unità di quel equilibrio, argine a ritorni, sovvertiti dalla maturata presa di coscienza popolare?
Perché, noi…né guelfi, né
ghibellini…non proviamo a sbirciare con occhio microscopico quella conflittualità? Non siamo…a prima
occhiata…spettatori inerti di una
spettacolarità angosciante e che raggiunge livelli di assurdità a tal punto da
barattare un accordo tra parti, chiamati ad esercitare un servizio sociale, obliando il vincolo costituzionale e sostituendolo con il rispetto reciproco? Addentrandoci, non salta fuori una anomalia che stride con la genealogia che ha dato vita a questa
nostra organizzazione sociale, e rintracciarla nella dimenticanza della conquista della nostra sovranità, sancendola…nella delega…nel requisito della
responsabilità verso se stessa, cioè il diritto ad attribuirsi l’indipendenza? Più a fondo, non è
visibile una delle cause che oggi generano la crisi della rappresentanza e l’incertezza
del diritto? Tali rilievi non possono costituire l’interrata condizione innovante insorgenze contro le quali abbiamo lottato?
Ci siamo impossessati di tutte
quelle libertà che caratterizzano il
<naturalmente attivo> (ibidem) del nostro agire pensante: prima,
conquistandole attraverso lotte e sofferenze; poi, nell’avvicendarsi dei tempi, sudandole e strappandole a formazioni
sovrane per un loro riconoscimento
giuridico – e il <già è> avviò il suo attualizzarsi in esse, in
forza ad una normativa che noi abbiamo voluto, nella fiducia in noi di aprire una pagina su cui iniziare a scrivere una esperienza di vita.
tratteggiata dalle coordinate della nostra cooperativa produttività, poiché
i delegati della nostra sovranità
continuarono, e continuano ancora oggi, a chiamarsi Stato (leggere Nietzsche, Così parlò Zarathustra), eternando il sempre stato della discriminante separazione fra governanti e governati: governare per
governarci è la corale che oggi unifica le diverse tonalità dei vocati…in appendice la nostra
sovranità.
Abbiamo reso possibile la
traduzione della nostra sessualità in sapere, tale da renderla insegnabile nelle scuole / abbiamo
conquistato il diritto alla parola,
in forza dell’ingegno dell’uomo della tecnologia
mobile che ha smacchiato quell’appellativo di massa che ci uniformava nello status
di esseri all’oscuro, e resa visibile la nostra sovranità
di individui, costituente una moltitudine,
legata trasversalmente dalla tecnica
(Duque, già cit. / siamo i padroni
assoluti dell’universo intero / niente ci è oscuro:
abbiamo sfidato la morte, debellando malattie tradizionali e nuove, allungando
la vita; abbiamo dimostrato a Dio la nostra capacità di aver scoperto la particella con la quale ha creato il
mondo / abbiamo ricuperato e evidenziato la capacità della nostra facoltà di pensare oltre al
burocraticismo e formalismo del nostro agire
pensante, esternando la possibilità della nostra immaginazione di una disposizione
configurativa dei rapporti umani
sottratta al dominio capitalistico e ad ogni forma di potere dell’uomo sull’uomo, indicandone la via in un ribaltamento culturale, reso possibile
da una logica al femminile, in grado
di promuovere una partecipazione collettiva nella pratica del vivere la nostra mondanità: il sessantotto – utopia,
dimostrata praticabile negli anni
settanta e ottanta per la concomitanza di più fattori, tra i quali: <lo
sviluppo della tecnologia, il post-fordismo e la smaterializzazione del lavoro,
unite all’esplosione del consumismo e della diffusione delle comunicazioni>
(Bordone, Stato di crisi, già cit.)…eppure…
…viviamo e subiamo un loro
profondo processo di revisione, il quale è più che una <restaurazione>
(Bordoni, già cit.), ma una recrudescenza
del sempre stato.
Il sempre stato: il filo rosso
di una economia in svolta capitalistica,
nel taglio del moderno, oggi in gestione del mercato finanziario che, nella virtualità del capitale, immette e
instrada nel nostro quotidiano il lasciar
fare dello spirito liberista in
chiave di un individualismo in bàlia del
mondo e senza futuro, legandolo a perseguire il proprio vantaggio, promuovendo: lo sfaldamento
della solidarietà, incanalando ciascuno di noi, educati dalla cultura dei nostri padri e vigente nella
nostra operatività quotidiana, verso una cultura
dell’immediato; il trasferimento
della produttività del capitale dalla
fabbrica alla banca, il cui effetto solvente mette in pratica un nuovo padronato: sia in economia,
poiché il visibile capitalista e
individuabile, l’obiettivo delle lotte sindacali, si è virtualizzato nell’anonimato
gestore del mercato finanziario; sia in politica,
dalla quale ne sottrae il potere – altra causa della crisi della rappresentanza, in
quanto provoca <un’effettiva cancellazione di certe prerogative
democratiche>, determinando <l’abbattimento drastico del welfare,
(costringendo ogni Stato) a inserire la pratica del pareggio del bilancio nelle
proprie Costituzioni>, (rendendo più visibile): la disuguaglianza dei
cittadini>; la formalizzazione <di fatto (della) precarizzazione del
lavoro come pratica necessaria per far fronte alle richieste di maggiore
elasticità da parte dell’industria>; <lo sganciamento dai vincoli> di
controllo dello Stato sull’economia, che di fatto implica una crescita e un
consolidamento del capitalismo, rendendo più indipendente il suo anonimato (Barman, Stato di crisi)…
…un eppure, - incitamento ad una riflessione
in correlazione su quei rilievi / indici…nell’utilizzare in
arbitrio il dire di Lacan…eventi del mio corpo pensante…maturanti
in esso un segnale di Adorno: la
convinzione di esperire il vivere l’esperienza della mia mondanità in qualità
di appendice di un processo confusionario di aggiornamento
dell’incatenamento della mia coscienza, già espropriata: - una sua
addizionale abrasione, poiché il modernismo
del suo vincolo non è suscitato da specifici contenuti ideologici, ma da una inoculazione pubblicizzante una riappropriazione di quel detratto subito, in mercanzia di scambio - e il constatarne il rispecchiarla nei mie
conterranei…
…un eppure, - appello per una interdipendenza
di riflessioni fra le nostre singolarità
inalienabili: altra da una dialettica,
fomentatrice di un conflitto tra le interpretazioni, ognuna delle quali in assiomatica ultima parola / circolazione
di liberi pensieri di un noi che lascia affiorare le singolarità degli io,
foraggiata da quella circolazione /
un noi non eletti…senza pulpito, il
podio che ci fa attori…un noi atonali in dissonanza dalla corale unificante in tonalità
in chiave di destra, di sinistra, di centro, diversificato dalle varie note, di anti-politica e di moralismo
politico: manfrine, ambedue, in insegna promozionale, sventagliata in: mani puliti, cinque stelle, show in sceneggiata contro-informazione, misericordiosi: coralità di una necessaria nostra
governabilità per una nostra redenzione
dai mali che hanno sempre afflitto la società…
…e la memoria rinnova in me l’annosa questione: il presupposto di quei mali: l’esperienza umana nel suo determinarsi storicamente o
la società, in funzione della quale quel presupposto
diviene il risultato.
La storia della nostra cultura,
proprio nelle sue varianti, ne
testimonia la rilevanza /
esplicitarla ne svaluterebbe la gravità:
primavere ravvivanti orizzonti di
approfondimento in ogni campo del sapere:
dalla filosofia alle varie scienze dell’uomo; dalla fenomenologia alla etologia
e all’ecologia; dal positivismo logico alla psichiatria, alla psicologia
analitica, alla psicanalisi, alla psicobiologia / ogni disciplina, comprese
quelle che mi dimentico, ci hanno permesso l’approccio ai processi soggiacenti
a quel presupposto.
Quel che mi preme sottolineare e
portarlo alla riflessione…in un suo
fluire in correlata disposizione…è una questione, che ritengo centrale, e
che quelle discipline sorvolano,
nella diversità dei registri e codici linguistici dei loro rispettivi
generi discorsivi.
In questo momento…in cui la comunicazione manifesta opacità che concima la confusione dei linguaggi,
rendendola più pericolosa, in quanto la
sua non trasparenza mette in gioco la
nostra convivenza civile, rendendo inumata,
in essa, l’atrofia di tutto ciò che umano
(Adorno, Minima moralia)…<non
vale la pena esaminare come la realtà sociale appare a livello della conoscenza
umana>: suggerimento di J. Gervet (Comportamento,
in Concetti nomadi, cit.)? Questione in oblio, effetto solvente
delle citate formazioni discorsive e inumata negli ordinamenti pratici della vita
(Adorno)?
Un mio indice di valutazione / un
mio problema / esigenza “educata”, proposta alla riflessione
senza valersi di uno statuto di esclusività
né di oggettività / esigenza: bisogno
di storia, sottratta al
farneticamento delirio del vocio, in atto alternatesi tra retorica e chiacchiericcio
/ storia in chiave genealogica dell’operato degli uomini a costruirsi e viverla
l’esperienza temporanea della propria
mondanità: Nietzsche, vitalizzante in
Foucault nell’attualizzare quella esperienza <il campo di determinazione
storica> all’interno del quale l’uomo <vive, parla, produce>(da Le parole e le cose a L’archeologia del sapere) – esperienza
di fatto che (e qui è illuminante Lacan) che si determina genealogicamente in <esperienza di verità) / problema per me che si sviluppa in varco nel problema che pone in
dimensione critica il nostro modo di
pensare l’antinomia del presupposto che oggi condanna l’uomo, sgravando di
responsabilità la istituzionalità della
società.
* problema che mette senz’altro in gioco la mia credibilità, sebbene
affermata opinabile / se ho diritto a parlare…diritto che in me si trasforma in impegno sociale…tale diritto non mi esonera di documentare
la ragionevolezza del mio dire / per
tal motivo interrompo tale
rilievo, per aprirlo successivamente,
in quanto mi è indispensabile un riordino
delle mie idee e un po’ di tempo di rivedere quei riscontri che sostengono la
mia opinione – al prossimo.
Franco Riccio
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