SESSANTAQUATTRESIMO
SOLILOQUIO
Riprendo
il diario delle mie esternazioni inservibili / la solita
titubanza di chi e di che cosa io vado chiacchierando /
albeggia / mi dispongo al fluire dei miei pensieri inutili /
utilizzo, aggiornandolo, il materiale indispensabile al mio
riflettere, e, nel rivitalizzarlo, mi si ravvivano, rinverditi, i
miei pensieri / li sfiato in un virtuale sgolarmi a virtuali
uditori
nella
speranza di disassuefarli dalla confusione delle idee e del
linguaggio in cui viviamo / socializzo le esperienze, legate al mio
lavoro e al taglio operativo di una scelta di intervento
partecipativo alle vicissitudini di un sociale alterato e strozzato
dalle menomazioni inflitte da un capitalismo padrone del
mercato finanziario e da una politica senza potere e
rovesciata in un brigare...interno a quel “componibile” che li
discrimina da noi “spettatori”...fra gli addetti ai lavori per un
posto al “sole” / nel trasmettere quelle mie esperienze,
necessariamente, mi apro verso la contingenza fluente dell'esterno.
Rifletto
su quella brusca interruzione del soliloquio precedente / in quel mio
rimuginare è l'accendersi interrogativi che
sbriciolano il filo conduttore del discorso sulla cultura, proprio
nel momento in cui, con Aristotele, l'argomentazione prende
forma e, in essa si fa cultura, la quale prende
storia, e, viceversa, la storia si fa cultura.
Reciproca convertibilità, su cui, oggi, è necessario riflettere, sottraendola a quella letteratura / simultaneità che smitizza ogni “fabbricazione” subordinata alla costruzione del “sistema”, che nella sua “trasparenza” la configura dotata dall'unità del “Nome” / defluisce attraverso la commistione di variabili dipendenti e variabili indipendenti che determinano il temporaneo campo di determinazione storica: - un mio pensare che non fa testo.
Mi rendo
conto della divagazione. Innegabile svarione / mi dichiaro reo
confesso, con l'aggravio di una mia presa di posizione da non
credente verso la “corporatura” che prende “facciata”
ogni “formalizzata” procedura / in quell'abito, mi
chiedo: una formazione discorsiva può auto-legittimarsi?
Per quell'auto non deve ricorrere ad una modalità
operativa – e, quindi farsi logica? Di conseguenza,
auto-costruirsi un linguaggio, il cui simbolismo deve
connettersi con quel registro? Proiettarsi verso la
contingenza dell'esperienza? Quindi, farsi storia, aut-rivelando
una propensione ontologica, spiegata sotto l'unità del Nome,
che rende reale il fluente dato di fatto? Propensione,
la quale, nei climi differenziati, legati alle durate
temporanee...cambiando i fattori, non si muta il risultato...quella
propensione, permane, facendosi ontica, - fenomeno,
rispecchiato...per memoria culturale...sotto l'unità
variante del Nome? Infine, quelle propensioni (logica,
ontologica/ontica) non entrano in conflitto con la contingenza,
incoativa di per sé, e nella quale, a volte, il caso si fa
necessità? Il darsi della contingenza in ondeggiamento
rapsodico...per cui basta una indecisione a cambiare la posta
in gioco...non rende impossibile il suo essere pensata all'interno di
un sistema (Nancy, Le discours de la syncope)?
In essi,
il movente / irresistibile inquietudine, per quanto reprensibile nel
troncare il filo del discorso e che mi espone al ludibrio degli
accademici e della critica burocratica / movenza in
contro tendenza: non occuparmi delle strutture interne che assegnano
al discorso forma di verità (epoca classica), forma
di scientificità (dal moderno ai nostri giorni) / riportare
queste ai produttori, cioè ai filosofi, agli scienziati,
facendo mia la presa di posizione della Stengers (Concetti nomadi,
già cit.): i veri protagonisti / presa di posizione
che estendo...con Foucault (Le parole e le cose, già
cit.)...all'uomo nella misura in cui questo vive, parla,
produce: -
il
problema insoluto di un rivolgimento totale della nostra cultura /
rivolgimento, non liquidazione:
se esaltare la cultura è <ideologico>, come già esternato,
<dall'altra parte la teoria della società, e qualsiasi prassi che
si orienti su di essa, non può buttarsi col coraggio della
disperazione da parte della tendenza più forte, colpire ciò che
cade e far propria la liquidazione della cultura: altrimenti si fa
complice della caduta nella barbarie> (Adorno/Horkheimer,
Sociologia II).
Riportare
oggi…fuorviando ogni umanesimo e ogni appiattimento delle
diversità...quell'uomo nella misura in cui
questo vive, parla, produce... è la scommessa di una configurazione
organizzativa della relazione di convivenza basata su quella misura,
la quale spezza l'origine della sperequazione sociale / scommessa
ragionevolmente fondata nella valutazione dei mezzi della tecnologia
mobile in quanto prestazione.
Dibattere
in comparazione di idee, estranea al conflitto tra idee...per
me... è diradare la nebulosa che offusca le nostre menti e rende
lontana la cultura dal nostro vivere quotidiano: il <feticcio
supremo> per il turista sfaccendato: la cultura non
ha una sua capitale: si impone al di sopra delle
geografie politiche e delle razze / non ha compartimenti
circoscritti: è un modo di concepire...letto nel suo
significato etimologico...il mettere in luce un modo di
vivere il nostro passaggio su una terra liberata da ogni profeta,
nostro redentore / è un graffiare l'artificiosità architettonica di
un sistema formale che ci vede...ancora oggi...democratici in
balia delle decisioni di chi si auto-dichiara espressione
della volontà popolare.
Bisogna
ancora riflettere...
...al
prossimo
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