martedì 7 febbraio 2017

SESSANTAQUATTRESIMO SOLILOQUIO

Riprendo il diario delle mie esternazioni inservibili / la solita titubanza di chi e di che cosa io vado chiacchierando / albeggia / mi dispongo al fluire dei miei pensieri inutili / utilizzo, aggiornandolo, il materiale indispensabile al mio riflettere, e, nel rivitalizzarlo, mi si ravvivano, rinverditi, i miei pensieri / li sfiato in un virtuale sgolarmi a virtuali uditori
nella speranza di disassuefarli dalla confusione delle idee e del linguaggio in cui viviamo / socializzo le esperienze, legate al mio lavoro e al taglio operativo di una scelta di intervento partecipativo alle vicissitudini di un sociale alterato e strozzato dalle menomazioni inflitte da un capitalismo padrone del mercato finanziario e da una politica senza potere e rovesciata in un brigare...interno a quel “componibile” che li discrimina da noi “spettatori”...fra gli addetti ai lavori per un posto al “sole” / nel trasmettere quelle mie esperienze, necessariamente, mi apro verso la contingenza fluente dell'esterno.

Rifletto su quella brusca interruzione del soliloquio precedente / in quel mio rimuginare è l'accendersi interrogativi che sbriciolano il filo conduttore del discorso sulla cultura, proprio nel momento in cui, con Aristotele, l'argomentazione prende forma e, in essa si fa cultura, la quale prende storia, e, viceversa, la storia si fa cultura.

Reciproca convertibilità, su cui, oggi, è necessario riflettere, sottraendola a quella letteratura / simultaneità che smitizza ogni “fabbricazione” subordinata alla costruzione del “sistema”, che nella sua trasparenzala configura dotata dall'unità del Nome” / defluisce attraverso la commistione di variabili dipendenti e variabili indipendenti che determinano il temporaneo campo di determinazione storica: - un mio pensare che non fa testo.


Mi rendo conto della divagazione. Innegabile svarione / mi dichiaro reo confesso, con l'aggravio di una mia presa di posizione da non credente verso la “corporatura” che prende “facciata” ogni “formalizzata” procedura / in quell'abito, mi chiedo: una formazione discorsiva può auto-legittimarsi? Per quell'auto non deve ricorrere ad una modalità operativa – e, quindi farsi logica? Di conseguenza, auto-costruirsi un linguaggio, il cui simbolismo deve connettersi con quel registro? Proiettarsi verso la contingenza dell'esperienza? Quindi, farsi storia, aut-rivelando una propensione ontologica, spiegata sotto l'unità del Nome, che rende reale il fluente dato di fatto? Propensione, la quale, nei climi differenziati, legati alle durate temporanee...cambiando i fattori, non si muta il risultato...quella propensione, permane, facendosi ontica, - fenomeno, rispecchiato...per memoria culturale...sotto l'unità variante del Nome? Infine, quelle propensioni (logica, ontologica/ontica) non entrano in conflitto con la contingenza, incoativa di per sé, e nella quale, a volte, il caso si fa necessità? Il darsi della contingenza in ondeggiamento rapsodico...per cui basta una indecisione a cambiare la posta in gioco...non rende impossibile il suo essere pensata all'interno di un sistema (Nancy, Le discours de la syncope)?

In essi, il movente / irresistibile inquietudine, per quanto reprensibile nel troncare il filo del discorso e che mi espone al ludibrio degli accademici e della critica burocratica / movenza in contro tendenza: non occuparmi delle strutture interne che assegnano al discorso forma di verità (epoca classica), forma di scientificità (dal moderno ai nostri giorni) / riportare queste ai produttori, cioè ai filosofi, agli scienziati, facendo mia la presa di posizione della Stengers (Concetti nomadi, già cit.): i veri protagonisti / presa di posizione che estendo...con Foucault (Le parole e le cose, già cit.)...all'uomo nella misura in cui questo vive, parla, produce: -

il problema insoluto di un rivolgimento totale della nostra cultura / rivolgimento, non liquidazione: se esaltare la cultura è <ideologico>, come già esternato, <dall'altra parte la teoria della società, e qualsiasi prassi che si orienti su di essa, non può buttarsi col coraggio della disperazione da parte della tendenza più forte, colpire ciò che cade e far propria la liquidazione della cultura: altrimenti si fa complice della caduta nella barbarie> (Adorno/Horkheimer, Sociologia II).

Riportare oggi…fuorviando ogni umanesimo e ogni appiattimento delle diversità...quell'uomo nella misura in cui questo vive, parla, produce... è la scommessa di una configurazione organizzativa della relazione di convivenza basata su quella misura, la quale spezza l'origine della sperequazione sociale / scommessa ragionevolmente fondata nella valutazione dei mezzi della tecnologia mobile in quanto prestazione.

Dibattere in comparazione di idee, estranea al conflitto tra idee...per me... è diradare la nebulosa che offusca le nostre menti e rende lontana la cultura dal nostro vivere quotidiano: il <feticcio supremo> per il turista sfaccendato: la cultura non ha una sua capitale: si impone al di sopra delle geografie politiche e delle razze / non ha compartimenti circoscritti: è un modo di concepire...letto nel suo significato etimologico...il mettere in luce un modo di vivere il nostro passaggio su una terra liberata da ogni profeta, nostro redentore / è un graffiare l'artificiosità architettonica di un sistema formale che ci vede...ancora oggi...democratici in balia delle decisioni di chi si auto-dichiara espressione della volontà popolare.

Bisogna ancora riflettere...

...al prossimo


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